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me donna bizzarra e riottosa, sicchè Dante una volta da lei partitosi, mai nè dove ella fosse volle venire, nè sofferse che dove egli fosse ella venisse giammai: ma i critici moderni rivocarono in dubbio queste asserzioni, discolpando Gemma, come altri discolparono quella Xantippe moglie di Socrate alla quale s'era voluto paragonarla.

Del resto nè gli studi, nè l'amore, nè le afflizioni o le cure famigliari occuparono tanto l'Allighieri, ch'egli non si desse intieramente alla patria qualunque volta occorreva; e per entrar tra coloro che la potevan servire, si scrisse (giusta le istituzioni di quel tempo) nell'arte dei medici e degli speziali. Combattè contro i Ghibellini d'Arezzo, e fu tra i più valorosi nella famosa battaglia di Campaldino; fu uno de' Priori nel 1300, e rappresentò la repubblica in qualità d'ambasciatore più volte.

I maggiori di Dante erano stati sempre di parte guelfa; la quale aliora predominava nella Toscana, massimamente in Firenze. Ma nel 1300 i Guelfi si divisero in due contrarie fazioni, una delle quali si disse dei Bianchi, l'altra dei Neri: « e trovandosi in arme (sono parole di Niccolò Machiavelli) ambedue le parti, i Signori, de' quali era in quel tempo Dante, per il consiglio e prudenza sua, presero animo e fecero armare il popolo al quale molti del contado si aggiunsero, e dipoi forzarono i capi delle parti a posar le armi e confinarono messer Corso Donati con molti di parte Nera. E per mostrare di essere in questo giudicio neutrali, confinarono ancora alcuni di parte Bianca, i quali poco dipoi, sotto colore di oneste cagioni, tornarono. » I Neri si volsero allora al pontefice Bonifazio VIII, accusando i Bianchi di parteggiare coi Ghibellini. Dante fu subito a Roma a nome dei Bianchi per isventar quelle accuse: ma Bonifazio mandò a Firenze Carlo di Valois con titolo di paciere, e coll' incarico di opprimere i Bianchi. L'Allighieri era in viaggio per ricondursi a Firenze, quando ebbe notizia ch' egli era compreso tra i molti esigliati, che gli avevano arsa la casa e guasti i terreni. La sentenza fu rinnovata in pochi mesi più volte, e sempre più rigorosa, con minaccia fin anche di arderlo vivo qualora tornasse; calunniandolo, che nel tempo del suo priorato, avesse venduta la giustizia.

Di qui ebbe principio l' infelicità dell' Allighieri; ma anche la sua vera gloria: perchè il forte suo ingegno

trasse materia dall' infortunio a spiegare più nobile volo; e lasciati gli argomenti amorosi, pensò di tramandare ai posteri colla notizia delle calamità della patria anche l'infamia di coloro che ne furon cagione. E forse sperò altresì di poter vincere la crudeltà che lo serrava fuor del luogo natío, acquistando tanta celebrità, che ai Fiorentini venisse desiderio di lui.

I Bianchi esigliati non potevano avere speranza di rimpatriare senza collegarsi coi Ghibellini; ai quali, per vero dire, già propendevano. Allora dunque s'accostò a quella Parte anche Dante: e fu per qualche tempo uno dei capi e consiglieri de' fuorusciti, intenti a cercar modo di riacquistare la patria. Come tale fu tra coloro che nel 1304 assaltarono Firenze; e vi entrarono, ma non seppero fermarvi il piede. Laonde egli, conoscendo nella mala riuscita di quell'impresa la dappocaggine de' suoi compagni, si divise da loro per darsi unicamente agli studi. Non vogliamo dire con ciò che rinunziasse fin d'allora al desiderio e alla speranza di ritornare in Firenze. Più volte inviò lettere ai capi della repubblica e al popolo fiorentino, domandando il ritorno; e per questo fine desiderò egli pure la venuta di Arrigo di Lussemburgo nel quale tutti i Ghibellini di quel tempo avevan posta ogni loro fiducia e solo forse dopo la morte di quell' imperatore accolse la dolorosa persuasione di non dover più rivedere la patria. Alcuni anni più tardi i Fiorentini gli fecero potestà di ritornare, purchè si rendesse per qualche tempo prigione, e riconoscesse dalla compassione de' suoi avversari questo favore ma egli rispose che non entrerebbe mai in Firenze per modo si disonorevole, e come persona che sapesse

vivere senza fama.

Continuando pertanto le peregrinazioni cominciate già coll'esiglio, visitò la maggior parte delle città italiane, e fu alle corti di molti principi, vide i costumi dei grandi, si procacciò notizia degli avvenimenti di maggiore importanza nei luoghi stessi dov' erano accaduti. Fu per qualche tempo a Ravenna presso Guido da Polenta padre di quella Francesca della quale raccontò poi tanto pietosamente e l'amore e la morte. Fu a Lucca sotto la protezione di Uguccione della Faggiola; nella Lunigiana ospitato dai Malaspina, la cui casa (dice nel poema) è famosa di liberalità e di valore, nè punto si sfregia del pregio della borsa e della spada. Andò a Parigi dove tutto si diede allo studio della teologia e

della filosofia, meritando che molti lo chiamassero non solo poeta e filosofo ma anche teologo. Stette per qualche tempo in Verona presso Cangrande della Scala, che allora teneva la più splendida corte d'Italia. Ma, qual che ne fosse il motivo, o l'incostanza del protettore o la soverchia libertà e altierezza del protetto, o le mutate relazioni politiche di quel princípe, il nostro poeta lasciò poi anche quella città; e fu a Gubbio presso Bosone de' Raffaelli; in Udine accolto dal Patriarca Pagano della Torre, e finalmente in Ravenna dove Guido Novello da Polenta nipote di Francesca da Rimini onorevolmente lo accolse, e dove morì di cinquantasei anni nel giorno 14 settembre 1321 appena ritornato da una ambasceria a Venezia. Del resto il tempo preciso di questi viaggi e di queste dimore non si trova determinato con sicurezza nè anche dai più diligenti investigatori. Così pure manchiamo di notizie precise circa il tempo nel quale Dante compose i libri che di lui ci rimangono; e sono le Rime, un trattato latino De vulgari eloquentia, la Vita Nuova, il Convito, un altro trattato latino De Monarchia e la Commedia universalmente detta divina.

Le Rime appartengono alla giovinezza dell' Allighieri, e sono sopra materia d'amore, intorno alla quale soltanto credevasi allora generalmente che potesse usarsi la lingua volgare. In queste poesie si mostra, ma non risplende, quella potenza d'ingegno che doveva poi sollevarlo tanto al di sopra degli altri. Alcune Canzoni d' argomento politico e piene d'altissima poesia, che i raccoglitori stamparono sotto il nome generale di Rime ed anche di Rime amorose, furono scritte in età più ma

tura.

La Vita Nuova è un' operetta mista di poesia e di prosa, composta dopo la morte di Beatrice. Le poesie non parlano d' altro che di questa sua donna, dell'immaturo suo fine, e del dolore ch' egli n'ebbe e tuttavia ne sente. Le prose sono tutto insieme una storia e un commento delle poesie; e ragionano della passione amorosa in ciò ch'essa ha di più puro e più nobile. I commenti, sopra tutto per le forme allora comunemente usate nelle scuole, qualche volta ci riescono freddi e di spiacevole effetto; ma in generale poesia e prosa, tutto è qui di maravigliosa bellezza, tutto (rispetto a quel tempo) incredibilmente gentile e leggiadro. Le Rime e la Vita Nuova furono scritte innanzi all' esiglio.

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Misto di poesia e di prosa è anche il Convito: dove l'autore s'aveva proposto di commentare quattordici sue canzoni sì d'amore come di virtù materiate, e il commento doveva essere una larga imbandigione di scienza. Ma di tanto edificio non compiè poi se non una picciola parte, cioè quattro soli trattati. Vi è gran dottrina con gran potenza d'ingegno; e qua e là splendidi esempi di stile ma pur è vero (come dice il signor Tommasèo) che quivi il simbolo ammazza la poesia; le citazioni soffocano la scienza stessa.

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Il più perfetto e più celebrato lavoro dell' Allighieri è il suo poema; al quale egli pose l'umile titolo di Commedia che i posteri denominarono divina; alcuni in considerazione delle cose che tratta, i più per testimonio dell' eccellenza che le attribuivano. Lo aveva cominciato in latino: e ne restano due versi e mezzo citati in una lettera di frate Ilario ad Uguccione della Faggiola. Datosi poi a comporlo in italiano, dicono che avesse condotti a termine i primi sette canti dell'Inferno quando era ancora in Firenze; e che quivi rimasero per qualche tempo ignorati dopo il suo esiglio. Rinvenuti per caso mentr' egli soggiornava nella Lunigiana presso Moruello Malaspina, gli furono inviati colà con preghiera di continuarli: d' onde è poi che l'ottavo canto comincia con quelle parole: I dico seguitando ec. Questa tradizione, tenuta certissima dal Boccaccio, fu rigettata da alcuni, soprattutto perchè in quei primi canti si tocca di cose avvenute più tardi; ma l'obiezione non è d'alcun peso, quando è ben naturale che l' Allighieri, ponendo mano di nuovo al lavoro, ritoccasse anche la parte già scritta per inserirvi i fatti sopravvenuti, e conformarla alle sue opinioni d'allora. Qualunque giudizio poi voglia farsi di quella tradizione, il poema può essere considerato come scritto intieramente nell'esiglio.

Va sotto il nome dell' Allighieri anche una traduzione dei Salmi, del Credo, del Pater noster ec.: ma deve attribuirsi a qualche suo imitatore; ed io non vi ho saputo trovare alcun passo degno d' esser proposto in esempio. Dalle Rime, dalla Vita nuova e dal Convito ho tolti alcuni saggi; pochi forse, rispetto ai molti di non minore bellezza che se ne potevano trarre del Poema stimai necessario di dover far conoscere tutta la tessitura e le principali opinioni ch'essa contiene.

DALLE RIME.

SONETTI.

Negli occhi porta la mia donna Amore;
Per che si fa gentil ciò ch'ella mira:
Ov' ella passa ogni uom vêr lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core.
Sicchè, bassando il viso, tutto smuore,
Ed ogni suo difetto allor sospira: 2
Fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, a farle onore.
Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente;

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Onde è laudato chi prima la vide.

Quel ch' ella par quand' un poco sorride
Non si può dicer nè tenere a mente,
Si è nuovo miracolo gentile.

Vede perfettamente ogni salute

Chi la mia donna tra le donne vede:
Quelle che vanno con lei son tenute
Di bella grazia a Dio render mercede.*
E sua beltate è di tanta virtute,

Che nulla invidia all' altre ne procede;
Anzi le face andar seco vestute
Di gentilezza, d'amore e di fede.
La vista sua face ogni cosa umile;
E non fa sola sè parer piacente,
Ma ciascuna per lei riceve onore:
Ed è negli atti suoi tanto gentile,

Che nessun la si può recare a mente,
Che non sospiri in dolcezza d'amore.

Voi che portate la sembianza umile,

Cogli occhi bassi mostrando dolore,
Onde venite? chè 'l vostro colore

1 E cui saluta. A colui ch'ella saluta fa ec.

2 Ed ogni ec. E allora sospirando si duole d'ogni ec.
3 Laudato. Tenuto in pregio. Altri legge: Ond' è beato.

4 Son tenute di ringraziar Dio come di singolare favore.

5 Face per fa usano ancora qualche volta i poeti.

6 Voi. Parla ad alcune donne che ritornavano da Beatrice alla qual era morto il padre.

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