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e più bello d'Italia e di Roma! [Seguono applausi

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SFOGO

Al sig. Direttore del Resto del Carlino.

Caro signore,

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pare che V. S. abbia gusto alla mia prosa, sí spesso me ne chiede. Oh stampi un po' questo, se ha il coraggio.

Nel numero 5 gennaio del giornale da Lei diretto lessi come Angelo Sommaruga abbia scritto ad amici di Roma ch' egli è per riprendere in Buenos Ayres la pubblicazione della Cronaca Bizantina, e tra i collaboratori sarei anch' io. Io ho caro che Angelo Sommaruga, molto migliore dei moralisti che gli sorsero giudici addosso mentr' egli cadeva vittima politica delle Forche Caudine, delle quali per altro fece male a speculare su la divulgazione, sia per rifarsi in America, con l'ingegno che ha molto e co 'l lavoro, una condizione buona. Che a ciò sia un buon avviamento il ricominciare la Cro

CARDUCCI.

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naca Bizantina, io non credo né anche per l'interesse: se non che il Sommaruga è nel caso suo giudice e padrone. Ma egli non può avere affermato, che io sia collaboratore della nuova Bizantina, almeno per la ragione che né egli ne scrisse a me né io a lui. No, io non sono e non sarò; solo per questo, che, stufo come mi sento dei giornali del vecchio mondo, non ci mancherebbe altro che quelli del nuovo per finir la

cottura.

E anzi, da poi che altre dichiarazioni private e pubbliche non valsero e non valgono, mi permetta, signor Direttore, di protestare novellamente nel suo giornale, ch' io non posso affatto partecipare con scritti miei a giornali politici o letterari, a ri viste, a raccolte, a strenne, a numeri unici.

Non posso. I troppo buoni estimatori dell' opera mia mi fanno l'onore di credere ch'io stia tutto il giorno soavemente affaticato a delibare, pecchia e calabrone dell'arte, il poetico miele dai giardini dell'ideale e del reale, o a lanciare per la cerbottana dell' eloquenza i campanili dell' enfasi, o a faccettare il vetro della frase per incastonarlo nel brillantato discorso, o a rattoppare d'ignoranza e presunzione, di bugie e di formole robivecchie, la vil ciabatteria della critica. Ma questi signori mostrano di non ricordare che io sono pagato dallo stato per offici d'istruzione pubblica. Come quei denari, pochi o molti, lo stato non me gli dà per il mio bel muso, ché io so di non aver diritti e non voglio avere favori, cosí non voglio e non posso riguardare l'in

segnamento come un pied-à-terre (mi perdoni il francesismo) dal quale darmi lo spasso ed esercitare il traffico delle lettere; e per ciò gran parte del mio tempo la devo al mio dovere. Per la parte che mi resta libera ho anche io i miei affari, i miei interessi, i lavori miei. E oramai mi sento giungere da quell' età che, se non comanda ancora di calar le vele, ammonisce di raccoglier le sarte: nella piccola vigilia dei sensi che mi avanza certo è miglior consiglio non distrarsi.

Non posso dunque. E non voglio. E valga anche per la confezione di epigrafi e poesie e per la elaborazione di conferenze letterarie e di allocuzioni politiche.

Non voglio. Pe 'l rispetto, o, meglio, pe 'l concetto che ho dell'arte di dire e di scrivere e della libertà, io parlo e scrivo soltanto quando pare a me, cioè quando l'animo e l'intelletto me lo suggeriscono, e pubblico soltanto quando e come e dove credo opportuno. I signori i quali si compiacciono di chiedermi epigrafi e poesie mi onorano di repu tarmi abile a far loro da segretario, per mettere in bello stile, stavo per dire in buona copia, i loro concetti o affetti. Di che io li ringrazio quanto so e posso grandemente, ma pur troppo sento che la natura mi ha costituito in modo da non poter far l'Annibal Caro né pagato né gratis.

In somma, non scrivo per ordinazione o a richiesta. Quello di star seduto a sporcar di inchiostro la carta bianca e le dita nette, quando uno non ha da comunicare qualche cosa di nuovo e di buono,

o almeno di proprio, è un mestiere che io co' Romani abbandonerei agli schiavi.

E, passando per un momento alla politica, perché qualche volta dissi qualche cosa che potè per avventura parere né inefficace né inopportuna, non ne segue già che io debba far delle prediche a ogni momento. No: né l'Annibal Caro della borghesia, né il padre Segneri della democrazia: né epistolarii di epigrafi, né quaresimali di concioni.

Tornando ai giornali letterari e politici, altra ragione di non collaborarvi per me è questa. Io ammiro ma non partecipo la fede dei tanti che sentono con essi giornali il bisogno anzi il dovere d'illuminare e divertire il genere umano; ammiro ma non partecipo la fede di tanti altri che si pensano con gli stessi giornali poter creare artificialmente ciò che l'Italia per un pezzo ancora non può naturalmente dare ed è bene che non dia, cioè una produzione e una richiesta letteraria congrua. Per me, di pubblicazioni periodiche generali, nel giro delle mie idee e cognizioni, ce n'è a bastanza d'una; e però, quando ho qualche cosa di finito che mi piaccia o bisogni pubblicare, lo mando al prof. Protonotari per la Nuova Antologia. Ma le rare volte che l'amico Protonotari si è attentato di ordinarmi la manifattura d'un articolo, gli ho risposto come agli altri o non gli ho risposto. E se un' altra volta aggiungerà un titolo a' miei versi o leverà un periodo alla mia prosa, io non gli manderò più nulla. Infatti io non so perché egli ultimamente volesse metter nome ballata alla Sacra di Enrico quinto: tanto piú

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