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raginosa e contradditoria) sono lasciati ciarlare e scrivere più che non si convenga in frangente di guerra; il popolo, dico, con la tranquilla fermezza degli avi, quasi l'atavismo del senato di Roma e di Venezia fermenti più nel sangue plebeo che nelle esauste vene dei parlanti e scriventi, sostenta il fiotto delle tristi notizie e aspetta prossima la ven detta di Alagi e Makallé (Applausi); nomi eterna. mente memorabili nei fasti dell' esercito italiano.

Perocché passando al secondo oggetto e affret tando al fine delle mie parole, questo esercito, da diecine d'anni esposto, come corpo vile, alle espe rienze d'ogni inquisizione; assillato, accaneggiato, torturato, con ipocrite proteste d'amore, un po'da tutti e un po'da per tutto; abituatosi a essere il soffridolori (non so come nobilmente tradurre il termine francese) del malumore dei partiti; questo esercito in Africa ha dimostrato e dimostra, e prima e ora, esser egli la parte più sana, piú educata e piú resistente della nazione e che in lui la patria può secura affidarsi e tutto da lui ripromettersi. Diciamo gloria, o signori, con reverenza di dolore, con devozione di gratitudine, con pietà d'ammirazione, all'anima di Pietro Toselli (bene !); il quale compiuto fino all' ultimo ogni officio di capitano e soldato, non potendo reggere piú, volge la fronte e il petto contro l' Africa da ogni parte irruente, e cade; e cadono con lui gli àscari fedeli che non vogliono sopravvivere al bianco signore: tanto può e vale gentilezza italiana (applausi). Diciamo gloria a Giuseppe Galliano e a' compagni, serenamente pronti,

dopo tanta e vittoriosa resistenza contro tanti, a li bare l'ultimo vino alla morte e alla patria, se COmando superiore non li arrestava. (applausi).

E voi, signore e signorine, datemi vi prego, il permesso, datemi l'ordine, di mandar significando i vostri saluti e i plausi, i vostri sorrisi e le vostre lacrime, ai nostri fratelli d' Africa, ed augurare e raccomandar loro anche da parte vostra, che vincano. Non è questo, o signori, il sentimento di voi tutti e d'Italia?

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I centenari, da quello di Dante in poi, se n'è fatti e se ne fa troppi nel nostro paese: ma bisogna pur compatirla, questa povera Italia: pagana e cattolica nell' ossa, ell' ha bisogno di aver tuttavia delle feste e delle processioni; o di arvali e di santi, o di filosofi e di miscredenti, o di vergini e martiri o di poeti, è lo stesso. E un po' insieme di tutto questo si direbbe apparire, chi ben consideri, Giacomo Leopardi; il cui centenario si festeggerà in Recanati nel giugno del 1898. All' Italia, che, su 'l risorgere, pativa, eroica aspettante, le ultime battiture dei tempi, il Piceno, ne' due massimi ingegni che mai producesse, Gioacchino Rossini e Giacomo Leopardi, diè anche i due massimi tipi della diversa attitudine e potenzialità, storia e destinazione, di nostra gente; l'artista felicissimo

e il più sovranamente infelice. E pure chi ben pensi ed ami, benché profondamente persuaso che ambedue quelle eccessività del senso e dello spirito im portino un manco di perfezione alla sana e degna ed equilibrata personalità umana, benché non meno persuaso che dalle manifestazioni di tali eccessività debbano del pari uscire effetti non de' più conducenti alla grandezza e gloria vera d' un popolo; e pure, dico, chi bene ami e pensi, se la conscienza gli permetta l'orgogliosa ipotesi della scelta tra' due, più tosto che la beatitudine del Giove olimpico della musica e della gastronomia vorrà eleggere la miseria sconsolata del giovine Job del pensiero e della poesia d'Italia. E quel Job, in quel giorno di giugno del 1898, che sarà splendido certamente di sole, e la giovine estate riderà, fiorente, serena, odorosa, per il bellissimo paese digradante a spec chio dell'azzurro Adriatico, qualcuno potrà imagi narselo levarsi su, vivo, nella piazza del natio borgo selvaggio, co 'l penoso atteggiamento che già diede alla povera persona il povero scultore Ugolino Pa nichi, morto anch'esso anzi tempo. E parrà udirlo rimessamente dire: - O duri umani, perché festeg. giate il giorno del mio nascere, che fu principio a me d'ogni male? Meglio per me sarebbe stato non essere; ma non, è vero, per voi. Festeggiate, festeggiate; da poi che tutti, e voi del mio sangue, e voi della mia terra, e voi sacerdoti e institutori, e voi dottori e maestri, e voi donne ed amici, voi tutti, inconsci e tranquilli instrumenti della falsa e debole e crudele depravazione italiana, l' anima che

Dio mi diede nobile e alta, l'intelligenza sortita dalla natura a vedere la intima fiammella del vero e del bene nei profondi dell' essere, voi la straziaste, la frangeste, la spremeste, come dell'olive e dell'uva si fa co'l torchio; e del vino del mio sangue v' inebriaste e vi spalmaste con l'olio del mio cervello alle vostre dilettazioni. Eccomi. Io sono la vittima della postrema servitú d'Italia.

Morte domanda

Chi nostro mal conobbe e non ghirlanda.

Voi godete; e siate liberi, se potete; ma per essere tali, odiate e scuotete da voi la falsità la vanità la vigliaccheria dell' educazione e del pensiero, che fu la tabe de' vostri vecchi. Cosí io credo che parlerebbe Giacomo Leopardi agl' italiani, se i morti si curassero di far la predica ai mal vivi.

II.

Intanto il senatore Filippo Mariotti, mente e anima del centenario leopardiano, intende a trarne vantaggio per gli studi, raccogliendone la direzione e la condotta nella Deputazione di storia patria per le province del Piceno; dalla quale ha fatto deliberare, con altre cose, la impressione d' un catalogo della biblioteca di casa Leopardi qual era al tempo di Giacomo e premi a chi metta insieme altro catalogo descrittivo e ragionato degli sparsi manoscritti

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CARDUCCI.

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