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lezione tenuta da messer Giovanni nel suo commento, riman tuttavia questo: che almen gli esametri i quali precedono il poema non possono essere scritti di man del Boccaccio. È impossibile che egli, l'autore, manomettesse cosí ignorantemente "'opera sua. E badate, che la lezione nel fondo è buona e genuina: ma il copista non sapendo, o poco, di latino, e forse non leggendo franco nell'originale, l'ha contaminata di spropositi plebei, ben diversi da quelli che allora commettevano scrivendo anche i letterati. Resta dunque o che il codice vaticano sia una copia fatta in quel secolo su l'esemplare mandato dal Boccaccio al Petrarca, o, se vuolsi che sia quello stesso esemplare come mostrerebbero gli stemmi, che messer Giovanni lo desse a trascrivere a un elegante amanuense ed ignorante scrivano. A noi per adesso premono i versi latini intitolati Francisco Petrarchae poetae unico atque illustri e segnati a piede Johannes de Certaldo tuus (1).

(1) Due lezioni corrono di questi versi: quella data da mons. LOD. BECCADELLI nella sua Vita del Petrarca edita primieramente dal TOMMASINI nel Petrarcha redivivus e ristamp. nel Petrarca del Comino [1732] e in quel del Morelli [Verona, Giuliari, 1799]; la seguono il MANNI, Ist. del Decam., Firenze, 1742, p. 1 cap. x; il DIONISI, Preparazione istorica e critica alla nuova ediz. di D. A. Verona, Gambaretti, 1806, pag. 161, che dà dei versi un volgarizzamento metrico un po' duro, riprodotto anche dal LEVATI, Viaggi di F. Petrarca, Milano, Soc. tipog. de' class. ital., 1820, vol. v, pag. 83; il DE ROMANIS nelle Annotazioni alla vita di Dante del Tiraboschi ristampata nell' edizione romana della D. C. del 1815 e nella padovana della Minerva; e ultima

CARDUCCI.

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"Onore omai certo d'Italia

latino messer Giovanni

canta nel suo

a cui il senato romano

cinse le tempia d'alloro, accogli quest' opera di Dante, gradita ai dotti, mirabile al volgo, senza esempii, in tal maniera di poesia, de' secoli innanzi. Né ti sia duro mirar versi che tengono la loro armonia sol dalla patria favella: sono d'un poeta esule, che, gran peccato della fortuna, non ebbe corone. Ma l'esilio gli fu cagione di voler mostrare agli avvenire che potesse in versi il volgare mo. derno; non che 'l facesse, come sparse chi ne freme d'invidia, per ignoranza Notate delicatissima arte. Sapeva il Boccaccio d'aver a fare con uomo ombroso; il quale onorato da per tutto, ogni onor suo, bene o male ch'egli tenesse, ripeteva dalla restaurazione dell'antichità; che per ciò non amava di molto le cose volgari, né salvava, o almen correane la voce, da questa noncuranza pur Dante. Prima dunque che al dotto l'ammirazione, cerca il Boccaccio di persuadere la pietà al gentile animo dell' amico. Si contenta di qualificare la Commedia gratum opus doctis, vulgo mirabile; e poi, rappresentando l'esilio di Dante, senza consolazione di gloria dinanzi allo splendore del Petrarca laureato in Campidoglio, onore omai certo d'Italia (certo, notate anche Dante pareva al popolo essere un

onor dell' Italia, ma dissentivano dei dotti gran

mente il sig. FRACASSETTI nelle annotazioni alle lettere del Petrarca Delle cose famigliari da lui volgarizzate, vol. iv, Firenze, Le Monnier, lib. xx1, lett. xv; l'altra del cod. vat. 3199, prodotta dal FANTONI nella sua edizione rovetana.

parte), e crescendo con questo raffronto la gloria dell' amico e la pietà, perocché gli uomini contenti di loro stessi sieno più facili a impietosire per gli altri, A te glorioso, prosegue, a te onorato non sia duro (potea egli dire di meno e di più?) volger gli occhi a un infelice:

Nec tibi sit durum versus vidisse poetae

Exulis ex patrio tantum sermone sonores
Frondibus ac nullis redimiti.

E come ingegnosa e vera la scusa, necessaria presso tal dotto, dell' aver l'Allighieri scritto volgare in argomento sí nobile! Non ne fu cagione ignoranza, come dicono gl' invidiosi (finissimo avvertimento al Petrarca, caso mai si lasciasse andare a pensar cotesta o simile cosa): rimasto in patria l'Allighieri avrebbe proseguito, come principiò, in latino: esule gli bisognò vincere con la gloria del nome e dell'opera sua la crudeltà degli avversari e conciliarsi il favore di principi e popoli che il latino non sapevano e non gradivano.

E séguita toccando poeticamente gli studi filosofici di Dante e com' egli per amore di sapienza cercasse Parisios demum serumque Britannum. "Quindi la propria virtú gli diede con bello accordo titolo egregio di teologo e poeta e insieme di filosofo, e divenne un' altra gloria della sua gente. E già questa era per concedergli il meritato alloro, di cui la morte troppo affrettata gli vietò coronarsi

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Belle parole, ma quanto più franche quelle d'una lettera del 1361 ov' egli pone a dirittura Dante innanzi a tutti i nuovi poeti e solo dopo lui nomina.

il Petrarca non più che perfezionatore. "Vedemmo, o potemmo vedere, in capo agli altri degni di nota, né a te incresca di leggerlo, un uomo celebre e versato nei lari della filosofia, il nostro Dante Allighieri, aver bevuto alla fonte da molti secoli trasandata, non ricercandola tuttavolta per quella via che gli antichi, ma non senza affannosa fatica per certi diverticoli sconosciuti a' maggiori.... Egli ridestò le nove sorelle addormentate, e osò costringerle a cantare nella sua lingua materna. Né fece, come alcuni vollero, opera plebea e rusticale, ma artificiosamente più profonda nell' intendimento che morbida nella corteccia. In fine, che è da vero degno di compianto, superata la fatica dell' inclito volume, fu da morte immatura sottratto all' onor meritato ma lasciò, oltre il sacro poema, l' esempio, onde, rialzato e divulgato da lui il nome lungamente depresso dalla poesia, potessero, quei che vogliano, apprendere dal novo poeta che cosa ella sia e quale il suo officio ed il fine (1). E già nella vita dell'Allighieri composta del 1357 aveva detto che "egli primo non altrimenti la poesia volgare tra noi italici esaltò e recò in pregio che la sua Omero tra' greci o Virgilio tra' latini, (2). Le quali cose scrivendo, non aveva innanzi agli occhi la persona del Petrarca, ch' ei temesse come di offendere elevando troppo a riscontro quella di Dante.

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(1) BOCCACCIO, Iac. Pizinge sereniss. principis Federigi Trinacriae regis logathetae: lettera pubbl. dal Baldelli a pag. xxv e segg. delle Rime di G. Boccaccio, Livorno, Masi, 1802. (2) Vita di Dante, nelle Opere di G. BoCCACCIO, ediz. Moutier, xv, 35.

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Sebbene, procedendo, anche in questo carme latino gli cresce l'animo; e, rotto il ghiaccio, non si périta in fine a credere che lo stesso Petrarca, letta bene la Commedia, dirà l'Allighieri secondo súbito dopo Virgilio. " Che se al primo aspetto quei versi ti vengono innanzi poveri e nudi [conosceva ben egli il debole di questi latinanti, e ricordava il consiglio di Giovanni del Virgilio, Nec preme castalias indigna veste sorores (1)], dischiudi e penetra con tutta la mente i chiostri di Plutone, ascendi co 'l poeta il monte superbo e riguarda il soglio di Giove vestito di sacra caligine; e scorgerai quali sensi sublimi essi versi contengano, vedrai le Muse agitare su 'l vertice di Nisa il plettro d'Iddio e ogni cosa con mirabile ordine condotta; e dirai di gran cuore Secondo da quello che meritamente lodi ed onori sarai (2) per ogni secolo, o Dante, cui Firenze generò, gran madre di poeti, e venera fesosa, e scòrta dal nome del figlio leva grande il suo nome tra le grandi città Sic, divine senex, ak sic eris alter ab illo, aveva già detto all' Allighieri vivente il Del Virgilio (3): ma affermare cotesto in faccia al Petrarca, tutto pieno l'anima e "'ingegno della poesia latina ed autore dell' Affrica, era ben ardua impresa. E il Boccaccio se n'è accortamente cavato, conducendo il discorso in modo

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(1) IOAN. DE VIRGILIO, Danti Alagerii, nelle Op. min. di D. A., I 432, Firenze, Barbèra, 1856. (2) Leggo eris invece di erit nel testo latino, confortato dal contesto e dal verso di G. Del Virgilio, recato piú innanzi, che il Boccaccio aveva in mente componendo il suo. (3) Nelle Op. min. di D. A., 1. c.

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