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dell' originalità non parrà biasimevole a cui non biasima Vittorio Alfieri del non aver voluto per la stessa ragione legger lo Shakespeare: sono scrupoli tra timidi e orgogliosi, non infrequenti nelle età letterarie di seconda formazione.

Se non che come accordare su questo punto l'affermazione del Petrarca col detto di Giovan Battista Gelli, che messer Francesco fosse" del divinissimo nostro Dante non piccolo imitatore, come possono chiaramente vedere tutti quegli che leggono diligentemente l'opere dell' uno e dell' altro (1), ? come accordarla col detto di Iacopo Mazzoni, ch'egli abbia nelle sue poesie volgari " versato dei modi e dei concetti di Dante piú col canestro che con le mani (2) „? I Gelli e il Mazzoni volevano render probabile al gusto schifo de' petrarcheschi d'allora e de tassisti principianti la terribilità dello stile dantesco; e per ciò facean bene a ingegnarsi di mostrare che il poeta barbaro e selvatico avesse pure delle gentilezze e delle grazie da giovarsene il Petrarca. Quei dotti ed eleganti uomini erano oltre di ciò dalla maniera di critica ch' ei tenevano indótti a trovar le imitazioni da per tutto, ne' riscontri casuali di certi vocaboli e di certe forme e figure, non proprie a dir vero piú di Dante che del Petrarca, ma appartenenti al fondo della lingua letteraria e suggerite ad ambedue dall'abito scientifico e

(1) G. B. GELLI, Lezioni all' Accademia fiorentina [Firenze, Torrentino, 1555), pag. 370. (2) I. MAZZONI, Della difesa della Commedia di Dante, parte seconda [Cesena, Verdoni, 1688], lib. vi,

C. XXV-XXIX.

artistico del tempo. Per esempio, quando il Petrarca scrive

Del mio cor, donna, l'una e l'altra chiave

Avete in mano (1),

non ha già pensato, come crede il Mazzoni, a quel di Dante

Io son colui che tenni ambo le chiavi
Del cor di Federico (a);

ma tutt' e due hanno usato una forma occitanica ben venti o trent'anni innanzi Dante fatta naturale alla poesia italiana. Or delle tante imitazioni e rimembranze dantesche scoperte dal Mazzoni nel Canzoniere e sfilate per parecchi capitoli della sua Difesa le novantanove per cento sono di tal fatta; e restano vere e proprie imitazioni solo quelle de' Trionfi composti dopo il 1359, dopo cioè che il Petrarca ebbe letto e ammirato la Commedia. Circa il qual tempo dové essere stato scritto o ritoccato un SOnetto, che è degli ultimi in morte di m. Laura (3), nel quale sarebbe difficile negare l' imitazione di due versi di Dante:

Gran meraviglia ho com' io viva ancora:
Né vivrei già, se chi tra bella e onesta
Qual fu più lasciò in dubbio, non sí presta
Fosse al mio scampo là verso l'aurora:

(1) Nella canz. che incom. Verdi panni... (2) Inf. x11 58. (3) Incom. Ripensando a quel ch'oggi...

tanto inferiore alla franchissima e affettuosa ter

zina,

La mia sorella, che tra bella e buona

Non so qual fosse piú, trionfa lieta

Nell' alto olimpo omai di sua corona (1).

Un'altra e più vera ragion di riscontri lasciò intatta il Mazzoni, quelli vo' dire tra il Canzoniere di messer Francesco e le Rime di Dante, forse perché i tempi del dotto apologista curavano e conoscevan le Rime meno ancor della Commedia. Ben le conosceva e curava il gran critico fiorentino Vincenzio Borghini, e ne fece un paragone a quelle del Petrarca che molto si accosta a ciò che se ne pensa oggigiorno da piú d'uno, non dirò se ragionevolmente." Se Dante in cosa alcuna viene in comparazione col Petrarca, è nelle canzoni sue; e mi maraviglio sopra modo ch' e' [il Bembo] dissimuli cosí questa parte. Delle quali canzoni poco mi accade dire; se non che, considerandosi in tutte le composizioni i concetti e le parole, de' concetti io credo che fra loro sia nulla o poca differenza, ancorché alcuno creda Dante più profondo, più alto, e più, ut ita dicunt, tragico e magnifico, quell' altro piú accomodato a quelli affetti più dolci ed amorosi: io non mi risolvo cosí facilmente, veggendo in Dante molti graziosissimi concetti e nel Petrarca di grandi e magnifici pur assai; e se vantaggio avesse Dante sarebbe quel che disse Quintiliano, che hunc talem

(1) Purg. XXIV 13.

qualis est effecit ex magna parte; ché manifestamente si vede aver da lui preso infiniti concetti e modi Cosí il Borghini (1); e quell' infiniti è un' iperbole : ma oggigiorno a chi ha conoscenza intiera d'ambedue i canzonieri non è difficile a scoprir talora in due o tre versi di Dante un po' troppo semplici e nudi il germe d'un sonetto del Petrarca nutrito allevato accarezzato con isquisitissima coltura, non è difficile a scorgere alcune somiglianze che non paiono puramente imaginarie e derivanti pur da identità di soggetto, come tra la canzone in morte della baronessa De Sade e quella in morte della sposa De' Bardi. E pure mess. Francesco si è protestato che nelle cose volgari e' non fu mai imitatore e tanto meno plagiario d'alcuno. C'è da credergli: ma, quando nella prima gioventú si legge o si ode cosa che ne tocchi il cuore profondamente, al quale effetto basta allora sovente una frase un' imagine una collocazione di sillabe, quelle parole che ne han commosso al fremito o al pianto si improntano altamente nella memoria, si assimilano anzi al sentimento, divengono parte di quel tesoro di forme onde poi vestonsi riccamente e spontaneamente le sensazioni le percezioni gli affetti; riusciamo, senza addarcene, ripetitori e imitatori anche parlando co l' cuore e di vena. Del resto il Petrarca dà ragione del perché giovine non cercasse la Commedia, ma non nega espressa

(1) Comparazione fra Dante e il Petrarca, a pag. 310 degli Studi sulla D. C. di G. Galilei, V. Borghini ed altri, Firenze, Le Monnier, 1855.

mente d'aver conosciuto le rime di Dante. Né poteva: egli ha una canzone di cui piacesi a chiudere ogni stanza co' primi versi d' alcune più famose tra quelle de' suoi antecessori provenzali e italiani, e vi riporta cosí il principio anche d'una di Dante (1). Il Petrarca fin da giovane conosceva Dante come poeta d'amore forse anche troppo: e per ciò a punto si tenne da leggere la Commedia.

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Nota il Foscolo (2) che egli non lodò Dante se non confuso alla schiera de' poeti d'amore accennando al sonetto in morte di Sennuccio (3),

Ma ben ti prego che 'n la terza spera
Guitton saluti e messer Cino e Dante,
Franceschin nostro e tutta quella schiera,

e a quel luogo del trionfo d'amore,

Ecco Dante e Beatrice; ecco Selvaggia,
Ecco Cin da Pistoi', Guitton d'Arezzo (4).

"

Confuso alla schiera de' poeti d'amore, la frase è acerba, e l'idea non vera: ma e in quale schiera dovea o poteva allogarlo il Petrarca che volle riserbato il trionfo della fama a' filosofi e a' soli poeti greci e latini, anzi al solo Omero e Virgilio? Ei dunque l'ha confuso tra' poeti d'amore precisa

(1) È quella che incom. Lasso me ch'i' non so. Di Dante è riportato il primo verso della canz. Cosi nel mio parlar voglio esser aspro. (2) Disc. sul testo del poema di D. LXXIV. (3) Inc. Sennuccio mio, benché doglioso. (4) Trionfo d' Am., IV 30 e

segg.

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