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occhi verso quella parte ove egli è molto pauroso e per la sua ineffabile cortesia lo saluta virtuosamente (1), se ora alcuno gli proponesse: O giovinetto, tu d'ingegno e di gloria sarai grande come nessuno in terra latina: ma innanzi ti vedrai morta nell' età più fiorita la donna tua; e bandito dalla tua terra per barattiere ti sentirai condannato, ove tu venga in forza de' tuoi nerai, ciò sono i tuoi cittadini e parenti, ad esser arso fin che tu muoia: e non basta, ché dovrai vergognarti de' tuoi compagni d'esilio, dovrà rincrescerti la tua parte, e molti odieranno te e tu odierai molti; e mendicando la vita salirai e scenderai per l'altrui scale a chiedere un pane che tal volta ti negheranno e sempre ti sarà amaro; e apparrai vile agli occhi dei cortigiani e dei savi superbi, e príncipi e buffoni ti motteggeranno, te sangue romano e degli onorevoli cittadini del primo cerchio; fin che raccolto a gran pietà da un signor romagnolo morrai, tu che pure speravi riposare l'animo stanco e la tua gloria in Firenze, tu che pensavi agli onorati sepolcri che biancheggiano intorno al bel San Giovanni, morrai senza che ti suoni presso al letto il dolce eloquio onde ti parlavano madonna Bella e Beatrice, e vedendo dispersa la tua famiglia, e sentendo irreparabilmente svanir con te i tuoi desideri tutti i tuoi voti -: se alcuno, dico, in questo punto gli proponesse ciò, accetterebbe egli il partito? E pure bisogna che i fati si compiano. Questa bella poesia, sbocciata a

(1) V. N. mi.

un punto con la costituzione del 1282, questa scuola fiorentina, che incominciata dal Cavalcanti e da Dante si fa a poco a poco scuola toscana di parte bianca, bisogna che divenga, mercé la sventura e l'esilio, letteratura italiana e nazionale. Come ella ha di molto avanzato tutte le scuole che la precederono, cosí i termini di lei devono esser trapassati a volo da un uomo :

Cosí ha tolto l'uno all' altro Guido
La gloria della lingua, e forse è nato
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido (1).

II.

"

Ma nemo fit repente summus, et alta aedificia paullatim aedificantur,, diceva Gregorio settimo (2), che di alti edifizi doveva conoscersi un poco. Quando l'Allighieri cominciò a rimare, viveva ancora in Toscana una tal quale poesia di transizione. L'abbiamo già notato: ora dichiariamo meglio la cosa. Alcuni v'erano, Dante da Maiano per esempio, i quali, come se nulla fosse mutato, seguitavano l'opera. dei provenzali e de' siciliani. Altri, e alla lor fronte Guittone, sentendo che cotesta maniera di poesia era finita o su 'l finire, crederono poter rinnovarla con allargarne le facoltà, con modificarne le forme. A costoro Dante procedé forse troppo severo: perocché un senso vago dell' italianità essi lo ebbero,

(1) Purg. XI 97. (2) Epist. II XLIII.

avvertirono che a costringere la poesia entro un solo argomento si risicava non tanto di mortificarla quanto anche di snaturarla e rivolgerla dall' officio suo; ond'è ch' e' tolsero piú d' una volta argomenti religiosi e morali alle lor canzoni, e Guittone e Pannuccio pisano segnatamente indirizzarono primi alle città d'Italia e a' lor grandi parole nobili e ispirate veramente dall'amor della patria e del bene. Ciò non toglie che e' non esagerassero il già esagerato linguaggio di moda, ch' e' non iscambiassero per novità i concetti sforzati le frasi oscure e contorte, ch' e' non fossero e nella sostanza e negli esterni adornamenti fastosamente meschini. Plebei, secondo ne li taccia Dante, intieramente non furono. Vero è che accettavano liberamente forme e cadenze da vari dialetti, e vi andavan mescolando provenzalismi e francesismi in buon dato. Ma il principale e più fastidioso lor vizio sta anzi nella ri cercatezza e nella pretensione: essi abondano d'iperbati e di modi latini. Si vede che già con le idee della ristorazione romana il latinismo filtrava nelle vene della nuova letteratura; ma non essendo ella ancora tanto robusta quanto bastasse ad assorbirlo e assimilarselo, ne seguitò come un' indigestione, che dimagrava e chiazzava di lividore e di pustole il bel viso della giovane figliuola di Roma. Aggiungasi a ciò la smania del difficile, propria d' ogni letteratura di transizione che non può conseguire la grandezza vera dell' arte; smania che suggeriva a quei rimatori l'accozzo de' metri men consenzienti e certe lungaggini di stanze con la monotona e trista

ripetizione dei medesimi suoni; che li spingeva a intrudere la rima al mezzo fin due o tre volte nel corpo d'un verso e con lontanissime combinazioni, a scomporre il logico ordine del sonetto e triplicarlo. e quadruplicarlo con versi minori; aggiungasi insomma i soliti mezzucci, che vengono ad essere soli argomenti di singolarità in certi periodi dell' arte, ed avremo l'idea della scuola di transizione del secolo decimoterzo, mezzo provenzale e mezzo latina, mezzo cavalleresca e mezzo civile, mezzo monastica e mezzo sensuale, mezzo aristocratica e mezzo plebea. Al di sotto della quale altri rimatori v'erano, come Rustico di Filippo in Firenze, Cecco Angiolieri in Siena, Cene della Chitarra in Arezzo e Folgore da San Gimignano, che scorrazzavano pel campo della poesia a quel modo che avrebbero corso una gualdana: costoro o versificavano avvertimenti di morale e di cortesia, o cantavan d' amore alla buona, o si berteggiavano tra loro, o trattavano già la satira familiare e politica: erano in somma gli avi o gli atavi del Pucci, del Burchiello, del Pistoja, del Berni; un po' troppo semplici alle volte, ma candidi; un po' grossolani, ma vivi; un po' villani, ma forti; meglio a ogni modo che le caricature della scuola di transizione.

Ora l'Allighieri, che doveva poi cosí superbamente fastidire Guittone e i seguaci di lui e disprezzare con gravità di critico dottrinale i rimatori plebei, l' Allighieri in principio tenne un po' degli uni e non isdegnò d'accostarsi agli altri. Ed è naturale: ni un ingegno, per grande che sia, può declinare la

forza influente delle circostanze, massime nella giovinezza. Chi considerasse Dante come un poeta primitivo, nel significato un po' incerto e vaporoso che si dà a quell' aggiunto; chi lo chiamasse più determinatamente il creatore della nostra poesia e venisse ripetendo la ricantata imagine della lingua italiana uscita tutt' armata dal capo di lui come Pallade da quel di Giove; quegli mostrerebbe di non intendere né Dante né l'età di lui né la maniera di svolgersi d'una letteratura. Né una lingua né un sistema di poesia si trova o si crea da un uomo, e imaginatelo quanto volete grande e potente: come l' accozzo degli atomi nel sistema di Epicuro, una infinità di elementi a pena percettibili, e combinazioni variatissime, ed esperimenti e mutazioni e innovazioni succedentisi per lo più senza nome e senza storia, compongono la prima età d'una letteratura; ma le forme ci sono già tutte, quando viene l'uomo fatale che, sebbene non le abbia create egli, perché nulla si crea, pur le fa immortali nella sua gloria. L'esametro e l'epos esistevano prima di Omero: prima di Dante esisteva anche di più, perocché il medio evo, tempo di civiltà (dico cosí perché 'non ricordo altro vocabolo piú speciale e confacentesi a questo caso) fermentata dalla corruzione, abondal di produzioni spirituali od artistiche complicatissime e nella esuberanza della forma grottesche e mo

struose.

O non tiene egli, per venire agli esempi, della maniera di que' rimatori che trattavano l'amore alla buona e la poesia con una tal quale natural facilità

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