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il vaghissimo sonetto a Guido Cavalcanti, ove son nominati ed egli e Lapo e monna Vanna e monna Bice cosí famigliarmente e contro alla legge cavalleresca, che poi s'impose per alcun tempo il poeta, di tacere il nome della donna sua? Vero è che Dante ha pur sempre rialzato e rinsanguato la maniera de' suoi predecessori e coetanei un po' piana e pedestre, un po' smorta: co 'l fervore del cuor suo meditabondo egli ha dato al realismo un colorito quasi magico e alla famigliarità un afflato lirico, ha dato al verso semplicissimo un' ala come di colomba, in quelle due quartine, cosí lontane dall' alta intonatura e dal fare sostenuto di lui, cosí uniche nella poesia italiana, in quelle due quartine le quali favellano e cantano e sognano e volano tutt'a un tempo:

Guido, vorrei che tu e Lapo ed io

Fossimo presi per incantamento,

E messi in un vascel ch' ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio;
Sicché fortuna od altro tempo rio

Non ci potesse dare impedimento,
Anzi, vivendo sempre in un talento,
Di stare insieme crescesse il disio.

Divina ebrietà, nella quale il giovane sfugge alla vita per meglio sentire la vita! divino sogno di Dante quello di sperdersi con l'amore e la felicità su l'oceano immenso, sempre avanti, sempre avanti, e per il sereno e per la tempesta, fuori dalle vicende della natura e dalla società umana, nell' oblio

del tempo, in immortal gioventú! Come rimpiccoliscono al paragone questi versi del Monti, che rendono il sentimento nostro moderno, il sentimento di quando adolescenti leggevamo i romanzi! e pur son versi assai belli, imitati, parmi, da un luogo del Werther:

Oh se lontano dalle ree cittadi
In solitario lido i giorni miei
Teco mi fosse trapassar concesso!
Oh se me 'l fosse! Tu sorella e sposa,
Tu mia ricchezza, mia grandezza e regno.
Tu mi saresti il ciel, la terra, e tutto.

Io ne' tuoi sguardi e tu ne' miei felice,

Come di schietto rivo onda soave

Scorrer gli anni vedremmo; e fonte in noi
Di perenne gioir fôra la vita (2).

Come perde, non ostante il suo giardino rosso e i colloqui delle rose e delle viole, anche l' aspirazione indiana di Arrigo Heine (2)!

Lungi, lungi, su l'ali del canto
Di qui lungi recare io ti vo';
Là, ne' campi fioriti del santo
Gange, un luogo bellissimo io so...

Oh che sensi d'amore e di calma

Beveremo ne l'aure colà!

Sogneremo, seduti a una palma,
Lunghi sogni di felicità.

(1) MONTI, Poesie liriche; ediz. Barbèra, 1862, pag. 219

(2) Lyrisches Intermezzo, IX.

Altra cosa è l'oceano! Ma nei terzetti Dante ritorna

al fare del tempo suo:

E monna Vanna e monna Bice poi
Con quella ch'è su 'l numero del trenta
Con noi ponesse il buono incantatore:

E quivi ragionar sempre d'amore:

E ciascuna di lor fosse contenta

Siccom'io credo che sariamo noi.

L'un di questi versi, e propriamente il secondo del primo terzetto, accenna a quella epistola sotto forma di sirventese che Dante compose nella prima gioventú e dove raccolse i nomi delle sessanta piú belle donne di Firenze, tra le quali la donna amata da Lapo Gianni era, a quel che nel sonetto dicesi, la trentesima e Beatrice la nona. Ora anche cotesto sirventese, non ostante la sua denominazione cavalleresca, non doveva, egualmente che gli altri sirventesi italiani, uscire dal genere della poesia borghese o popolare. L'idea prima poté esserne tratta dall'Amoroso Carroccio di Rambaldo di Vaqueiras (1), ove il trovatore mise in campo, co 'l loro proprio nome e la patria, tutte le gentildonne italiane che avean nome di leggiadre, a contendere invano il pregio della bellezza alla Beatrice marchesana di Monferrato: : ma, se, come Dante lo qualifica (2), era

(1) Vedilo illustrato da Giov. Galvani nella modenese Rivista di scienze e lettere, t. I, n. 1, settembre 1845. (2) V. N, VI.

epistola, non poteva di conseguente avere l'andamento lirico della canzone di Rambaldo, e, anziché alla Battaglia delle giovani colle vecchie, poemetto del Sacchetti (1) che è come un' amplificazione del concetto del trovator provenzale, doveva assomigliare a un capitolo di terza rima del Boccaccio, intieramente borghese e pedestre, che enarra i nomi e le famiglie di molte bellezze fiorentine del secolo decimoquarto; a punto come faceva su 'l finire del decimoterzo il sirventese di Dante, sopra il quale probabilmente fu foggiato e col quale dovè aver comune la materia e la forma, da poi che la terzina altro non è che una delle forme del sirventese. Se non che più di cotesto capitolo e più ancora della caccia di Diana, altro lungo trionfo di gentildonne napolitane tribuito pure al Boccaccio, resta probabile dia imagine del sirventese dantesco quel

Leggiadro sermintese pien d'amore

che Antonio Pucci compose

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per ricordo delle belle donne ch' erano in Firenze nel мCCCXXXV, (2) e appartiene alla poesia semipopolare.

A me non pare da ricacciar tra gli apocrifi l'apologo della cornacchia, a cui forse dette occasione

(1) Pubblic. piú compiutamente dal RIGOLI in Saggio di rime di diversi buoni autori, Firenze, Ronchi, 1825. (2) Pubbl. ✯ Â. D'ANCONA nelle sue illustrazioni alla V. N. [Pisa, Nistri, :872), pag. 71 e segg.

un rimatore che si facea bello delle cose altrui o un

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(1) Fu pubblicato la prima volta dal Redi nelle Annotazioni al Bacco in Toscana. Firenze, Matini, 1685, pagg. 104-105.

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