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e l'impero da ben tre secoli lo mantenevano. Quasi lo stesso operò verso la letteratura e l' arte; a cui rese l'abito la lingua la tradizione nazionale, disconoscendo pur tuttavia il popolo che è d'una letteratura nazionale grandissima parte, disconoscendolo al segno da negarne l' opera prima ed organica nella formazione e conservazione della lingua. E, come quella che teneva dalla sua origine il solo processo d'analisi, ebbe difetto d' una critica vigorosa e ricreatrice; contenta a riattaccarsi per le norme dell'arte alla bella età della coltura regolare anzi che ai grandi periodi della originale letteratura, abbenché ella restituisse prima il culto di Dante, cui non per tanto sentí fortemente più tosto che lo intendesse. Per ciò stesso corresse soltanto e perfezionò le forme dell' arte, le quali volevansi anche inno vare e allargare, e s'indugiò troppo a frangere i ceppi che a quella aveva imposto la tirannia delle accademie nell' anteriore decadimento. Vero è che non tutte le note generali della scuola potrebbero appropriarsi con verità a' singoli scrittori; alcuni de' quali si levano ed altri si abbassano oltre i gradi qui segnati. A ogni modo ella è questa del rinnovamento classico una forte e nobile scuola, e da lei riconosce l'Italia, dopo i tempi del Tasso e del Galileo, le più proprie e nobili glorie letterarie: ella, gran segno di temperamento artistico, ha spedito e sicuro il movimento del pensiero e nervosa e netta la espressione; raccoglie e condensa in un raggio vigoroso la luce della idea, non la oscura né la illanguidisce dissipandola e rifrangendola.

Contro alla scuola del rinnovamento classico, e dalla opposizione alla filosofia e letteratura del secolo passato che s'incominciò per sentimento nazionale in Germania e per odio alla rivoluzione in Francia e che quindi con le ristaurazioni del 1815 invase l'Europa, insorse la scuola che in poesia fu denominata dei romantici e in filosofia e in politica de' nuovi cattolici e de' nuovi guelfi: la scuola della quale è poeta maggiore Alessandro Manzoni a cui seguono il Grossi ed il Pellico, della quale è critico pure il Manzoni e un illustre vivente, sono storici il Balbo il Troya e anche un vivente illustre, filosofi il Gioberti e il Rosmini. Principio e fondamento a cotesta scuola è la fede: cosí nella filosofia propriamente detta ella ritorna ai Santi Padri, nella filosofia storica e civile parimente ai Santi Padri e al concetto in speciale di Agostino e del Bossuet; in poesia e ritornò al medio evo e intese a ritrarre il reale, ma presto divagò dal reale, presto precipitò al misticismo e al sentimentalismo, depravazioni dell' intelligenza e dell' affetto che ben convengono insieme. Noi, tenendoci stretti a toccare dell'opera sua in materia di lettere, vogliamo anzi tutto mettere in rilievo i meriti ch' ella ha, e non di poco momento, verso l'Italia. E confessiam volentieri che nella critica, in primo luogo, più tosto impostaci nei tempi di decadimento che propria nostra, quanto ristretta nelle idee altr' e tanto falsa nell' applicazione, bisogno di un rinnovamento vi era. E la scuola. della fede e della tradizione cotesto rinnovamento lo fece, per una di quelle contraddizioni non rare

nelle parti cosí politiche come letterarie, con l'istrumento del libero esame, e al pensiero rese piú franco e piú spedito l' andamento nell' arte. In secondo luogo ella riconobbe prima potestà nella lingua essere il popolo, e indagò e studiò con insistenza, lodevole quand' anche non felice né dotta, i vestigi della letteratura del popolo, e al popolo rese la parte che gli spettava nella letteratura più culta. Ed anche nella storia, avvezza da lungo tempo a registrare solo i trionfi e le catastrofi dei potenti, furono le condizioni del popolo nei varii secoli messe in chiaro e sottilmente disaminate dagli eruditi di questa scuola; il che forse le torna a maggior lode che non l'attribuirle intieramente il risorgimento della critica storica, che non sarebbe, parmi, vero all' in tutto. Del resto, non ostante i suoi meriti incontrastabili, questa scuola nell'arte propriamente detta segna, a parer mio, un nuovo decadimento. Ed in fatti, se l'oscurarsi e l'illanguidir della luce dell'idea, se l'introduzione dell' elemento femminino (con che intendo la prevalenza del sentimento diffuso su l'affetto raccolto, della eccitabilità imaginosa e coloritrice su la scultrice fantasia), se il lusso della descrizione e della metafora vaporosa, se la sostituzione d'una prolissità concettosa alla maschia semplicità, se la liquidità sonora della versificazione sono argomenti di decadimento, è pur forza confessare che questa scuola non ebbe pari all' ardimento dei concetti la facoltà dell' esecuzione. Di che forse è da riferire la causa a questo, che il suo principio filosofico e politico era fuori del secolo.

Il bene che fece, e fu grande l'aver restaurato l'elemento democratico della letteratura, lo fece contro il suo ideale. Perché ella, pur rimanendo fida al concetto della indipendenza nazionale, osteggiò la rivoluzione.

III.

Ma ormai cotesta scuola è finita: finita in letteratura, da che Alessandro Manzoni riprovò egli stesso il maggior portato di essa, il romanzo storico; da che Vincenzo Gioberti, difensore a oltranza in sua gioventù di quelle dottrine, propose in altra scuola l'esempio della letteratura civile e salutò ultimi degl' italiani il Giordani e il Leopardi; finita in filosofia e in politica da che il Gioberti stesso modificò nella Protologia e nella Riforma Cattolica i principii della Teorica del sovrannaturale e della Introduzione, da che rinnegò co 'l Rinnovamento il Primato: è finita da che gli ultimi avvenimenti hanno smentito con la più valida delle prove i vaticinii e le teoriche de' nuovi guelfi. E fu gran bene per la civiltà che l' Europa sanasse da quella che un potente ingegno chiamò la" scrofola romantica „. No: gli ideali d'un' età schiava della superstizione e della forza, gl' ideali vinti e caduti sotto i colpi della ragione, non si vogliono né si possono rilevare con l'arte: chi si provasse a farlo, colui attenterebbe al progresso; e ne sarebbe punito con l' inesorabile oblio. Si racconta che i granatieri di Francia, poi che la risvegliatasi

libertà ebbe cancellata dal suolo la Bastiglia e con essa tutto il vecchio edifizio europeo, formassero, de' sassi onde componevasi la mole nefanda, un giuoco di dadi, e ne presentassero il Delfino reale: documento della rivendicata autorità popolare e della diminuta tirannide. Ma stolta opera sarebbe a voler rinnovare sí fatti giuochi in letteratura: or si trastullano le nazioni come i bambini dei re?

Non per questo potrebbesi credere che maggiore fosse la potenza di vita nella bella scuola del rinnovamento classico. Rimangono di lei i grandi esempi letterari, ne arridono tuttora, e arridano pure per lunga stagione, le forme. Ma a lei fu morte l' individualismo, cioè quello stesso principio che fu vita ed anima alla filosofia all' arte alle rivoluzioni del secolo scorso. Tre grandi ingegni hanno con stupendi ardimenti condotta agli ultimi termini l'arte dell'antica Europa: Giorgio Byron, figliuolo dello società corrotta ed uscito de' suoi fianchi, splendido Nerone nell' ordine morale, per avvelenare la madre: Volfango Goethe, tranquillo notomista della filosofia che è principio e termine a sé stessa; e disperato martire di quella, Giacomo Leopardi. Ma la potenza dl almeno due di quei poeti, de' due piú passionati, intendo, fu tutta personale e negativa; e che ella non fosse destinata a dare il verbo dell'arte a tutta una età, lo provano ancora le piccolezze e vanità degl' imitatori.

Intanto d' un'arte nuova e feconda non un segno apparisce né un bagliore, non solamente in Italia, ma né in Europa. Sarebbe dunque vero che questa

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