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FRANCESCO ROCCHI

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UESTA mattina alle ore 6 e tre quarti cessò di vivere Francesco Rocchi. Nato nel 1805 in Savignano di Ro

magna, concittadino di Giulio Perticari e di Bartolomeo Borghesi, fu da loro, ancor giovinetto, introdotto nella famigliarità di Vincenzo Monti; e dal Monti apprese la facile e calda e colorata eloquenza, dal Perticari la eleganza squisita accorta erudita nello scrivere l'italiano e nel sentire e giudicare degl' italiani scrittori. Ma dal Borghesi, che gli fu ben presto maestro e amico e quasi un altro padre, apprese l'amore dell' antichità romana, che fu il culto di tutta la sua gioventú matura, di tutta la virilità, di tutta la vita; apprese tutti i segreti della epigrafia e della storia romana. Era un piacer vero e singolarissimo a udire il Rocchi leggere e dissertare e accendersi nella trattazione delle sue questioni d' archeologia. D'un

CARDUCCI.

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marmo, ove rimanevano poche lettere, egli vi rifa ceva la scritta con tanta chiarezza di ragionamento e con tanta facondia di parola arguta e decente, che spesso dimenticavate il dotto per ammirare lo scrittore e il parlatore ingegnosissimo. Di storia romana sapeva quanto pochi in Italia; e il Mommsen e lo Zumpt gli chiesero più volte notizie e pareri, e gli diedero lodi. Né passavano per l'Italia eruditi francesi o tedeschi che non facessero capo al Rocchi. Né raccolte d'iscrizioni romane s'imprendevano in Francia o in Germania, che egli non fosse chiamato a contribuirvi. E se l'Italia avesse avuto altre condizioni politiche e letterarie, nessuno meglio di lui avrebbe potuto fare la grande raccolta dell' epigrafia del centro. E quanto non sapeva egli di lettere la tine e volgari! e che giudizio! che gusto! che facoltà critica! Ma, anzi tutto e più di tutto, che bontà intima e profonda! che semplicità di costumi! che schiettezza di vita! La Università bolognese, di cui fu insigne ornamento, la Deputazione romagnola per gli studi di storia patria, di cui fu vice-presidente, proseguiranno dei dovuti onori la memoria e il nome di Francesco Rocchi. Io, questa sera, non posso che ricordare, che piangere con vere lacrime il collega venerando, l'amico di cui mi onoro, la cara e buona imagine paterna del mio Rocchi. E lo faccio anche a nome di qualche amico lontano. Quando venimmo professori in una Università come questa, ed eravano ancora, si può dire, ragazzi, egli ci raccolse come amici, ci inanimò come figliuoli; ci fece coraggio e ci avviò, con quella sua fami

gliarità arguta e gentile. Addio, caro nome di Francesco Rocchi! noi ti ricorderemo sempre, non che con onore, con tenerezza accorata, memore, reverente.

23 maggio 1875

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