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se non più frequenti certo non meno ingenui o lepidi che ne' provenzali: basti rimandare il lettore al sonetto del notaro da Lentino che incomincia: Io m'aggio posto in core a Dio servire (1). Ed è cosa da notare che la sensuale poesia occitanica precesse e si accompagnò all' eresia degli albigesi e alle loro dottrine carnali; che la corte di Federico secondo era presso i fedeli in sospetto d'incredulità e d'essere intima del materialismo d' Averrois; che d'incredulità furono tacciati molti tra i ghibellini d'altre parti d'Italia seguitatori della politica e della civiltà imperiale. Ma quando la lirica d' amore toccò le contrade mediane d'Italia, trovò ben diversa la disposizione degli spiriti. Il fervor religioso vampeggiava più forte che mai, riacceso da' due ordini novellamente sorti all'aiuto del cattolicismo contro le minaccianti eresie; quel dei predicatori che avea preso per sua parte la scienza, quel de' minori che aveva eletto la carità. Quindi le due principali forme della civiltà ancor sacerdotale del secolo decimoterzo, la scolastica e la mistica. E come queste influirono efficacemente nell' arte, cosí poterono e dovevano, se non accettare, né pur contrastare certe tendenze della società nella quale esse manifestavansi. Di fatto, una tal quale relazione apparisce tra esse e la cavalleria e la gaia scienza. Ond'è che Tommaso d'Aquino propone e discute nella somma con l'acutezza scolastica consueta quattordici questioni su la

(1) In Poeti del pr. sec. [Firenze 1816] 1 319 e appr. NAN CCI, Man. della lett. pr. sec. [ediz. Barbèra] 1 123.

natura su le cause su gli effetti d'amore (1). E Francesco d'Assisi, che giovane piacevasi tanto delle canzoni amatorie, anche datosi a vita di spirito designava per cavalleria il servigio di Dio, per sua dama la povertà, e non disdegnava prendere a testo delle predicazioni versi di amore mondano:

Tanto è il bene ch'io aspetto,

Ch'ogni pena m'è diletto (2).

E l'amore e la poesia onde ridondava l'anima di Francesco passò ne' suoi discepoli; in Bonaventura, il lirico del misticismo, il teologo innamorato di Maria Vergine; in Iacopone che le astrazioni devote riveste di caldi colori e di sembianze anche troppo sensibili e materiate. E già in quel che dell' amore divino scriveva il Gersenio non si scorge il fiore delle migliori teoriche della gaia scienza e i piú alti intendimenti della lirica di Dante ? Grande cosa e perfetta è l'amore mediante il quale ogni cosa grave diventa leggera ed ogni cosa sinistra è tollerata pazientemente; imperò ch' e' porta il peso senza gravezza, e le cose amare gli diventano dolci e piene di sapore. L'amore nobile di Gesù Cristo costringe al ben operare e cercare appresso sempre le cose più perfette. L'amore vuole esser sopra ogni cosa, e non vuole esser tenuto da alcuna cosa terrena. Niuna cosa più dolce, niuna cosa più

(1) S. THOMAE AQUIN., Prima sec. partis summae theolog., (2) FIORETTI DI S. FRANCESCO: Delle sacre sante

XXVI-XXVIII

stimmate, I.

forte, niuna piú alta, piú monda, piú gioconda, niuna migliore, niuna più perfetta in cielo e in terra, quanto è l'amore, il quale nato da Dio non si può riposare se non in Dio. Quei che ama, corre, vola, sta allegro ed è libero. L'amore alcuna volta non ha regola né modo, non sente peso e non considera fatica, e desidera fare più che non può, e non si scusa della possibilità, ma ogni cosa pensa di poter fare. L'amore sta vigilante e non dorme contro a' nemici; s'affatica e non si stanca; essendo costretto è libero; ed impaurito non si conturba, ma, come fiamma ardente, ascende sempre alle cose di sopra. Quei che non è apparecchiato a patire. cgni cosa e star contento alla volontà del diletto non è degno d'esser chiamato amatore. Bisogna che quei che ama abbracci volentieri tutte le cose aspre ed amare per lo diletto, e non si parta giammai da lui per alcuna cosa prospera od avversa (1).

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La relazione che ho accennato tra l'amor divino dei mistici e il mondano de' poeti si chiarisce poi meglio negli ultimi venti anni del secolo decimoterzo; anzi è curioso a osservare che, tanto quello assume forme più umane, altrettanto diviene più ideale questo. E già il Guinizzelli, morto fresco d'età nel 1276, due anni dopo Tommaso d' Aquino e Bonaventura, cantava della sua donna,

Passa per via sí adorna e sí gentile,

Che bassa orgoglio a cui dona salute

E fa'l di nostra fe' se non la crede (2):

(1) IMITAZ. DI CRISTO, III VII; volgarizz. antico, Modena, 1847. (2) App. NANNUCCI Man. della lett. del pr. sec. [ediz. Barbèra] 1 45.

CARDUCCI.

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ciò parecchi anni prima che Dante affermasse che l'aspetto di madonna

giova

A consentir ciò che par meraviglia,

Onde la nostra fede è aiutata (1).

Dante nella canzone più volte ricordata dice:

Ancor le ha Dio per maggior grazia dato,

Che non può mal finir chi le ha parlato (2).

Ma Guido aveva già detto:

Ancor ve ne dirò maggior virtute:

Null' uom può mal pensar fin che la vede (3).

Anche, il poeta bolognese osa portare l'amor suo nella gloria dell' empireo, osa comparare la sua donna alla intelligenza del cielo cui splende Dio creatore, si spinge con la fantasia al solenne momento che Dio lo giudicherà e ardisce parlamentare con lui a scusa del suo affetto terreno.

Donna, Dio mi dirà Che presumisti?
Sendo l'anima mia a lui davante

Lo ciel passasti e fino a me venisti,

E desti in vano amor me per sembiante.

A me convien la laude

E alla reina del reame degno

Per cui cessa ogni fraude -.

Dirgli potrò Tenea d'angel sembianza
Che fosse del tuo regno:

Non mi sie fallo s'io le posi amanza

(4).

(1) Conv. III. (2) V. N. XIX. (3) Appr. NANNUCCI, loc. cit.

(4) Appr. NANNUCCI, op. cit. 35.

Non sentite qui l'aura annunziatrice della poesia di Dante? non comprendete perché egli salutasse suo padre e maestro il bolognese? Del resto, nelle canzoni di que' tempi ha certe stanze che io non posso non imaginarmi concepite tra gli austeri colonnati delle grandi cattedrali, alla luce d' uno splendido. tramonto d'aprile che si rifrange nelle vetrate colorite e impallidisce innanzi al vermiglio fiammeggiar dei doppieri, mentre il fumo e l'odor dell' incenso avvolge l'altare della Vergine, e l'organo sona, e voci argentine di donne empiono d' un malinconico inno le volte oscure. Allora dové Dante vedere in mezzo a una nube odorosa, irradiata nella bianca fronte dalla dubbia luce del sole occidente e dal chiarore de' ceri, la fanciulla de' Portinari; dové udire la voce di lei inginocchiata salire a Dio nel suono del lamento e del desiderio: allora il tempo e lo spazio si dileguarono dinanzi dalla sua mente, ed egli mirò in visione il paradiso e l'inferno; il paradiso che invocava lei, l'inferno che lui aspettava; e pensò i solenni versi che sono il primo annunzio della Divina Commedia.

Angelo clama in divino intelletto

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