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Pag. 42, lin. 28.

E D' OGNI CONSOLAR L'ANIMA SPOGLIA: priva: ed è metafora cara agli antichi rimatori, come nell' opposto senso vestire. Purg. XXXI 27 ... perchè del passare innanzi Dovessiti così spogliar la spene; PETRARCA (canz. Verdi panni):... come questa che mi spoglia D'arbitrio.

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DANNOMI ANGOSCIA LI SOSPIRI. Il poeta, osserva qui il WITTE (Anm. p. 34) distingue la pura rimembranza di Beatrice che lo fa divenir pallido come persona morta, e lo immergersi del suo pensiero nella imagine di lei, appresso il quale egli trema nel suo dolore ed evita l'incontro degli uomini. Allora gli ritorna in mente come quella orribil cosa potrebbe essere non avvenuta, e grida chiamando: Sei tu veramente morta? e, com' egli dice, crede udir la risposta come d' uno spirito presente: e gli ritorna, addolcitrice, la beatitudine del dolore.

Pag. 43, lin. 2.

NELLA MENTE GRAVE: penosa, dolorosa. Inf. VII 89: la città c'ha nome Dite Co' gravi cittadin, col grande stuolo.

Pag. 43, lin. 4.

PENSANDO LA MORTE ME NE VIENE UN DISIO TANTO SOAVE ec. Cfr. la canz. Donna pietosa (pag. 33 §. XXIII), ne' primi sei versi dell' ult. str.

Pag. 43, lin. 11.

DALLE GENTI VERGOGNA MI PARTE. PETR. (Son. Solo e pensoso): E gli occhi porto per fuggir intenti Ove vestigio uman l'arena stampi.

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LINGUA NON È CHE DICER LO SAPESSE. Ricorda un verso di JACOPO DA LENTINO: Cor non lo penseria nè 'l diria lingua.

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UNO IL QUALE SECONDO LI GRADI DELL'AMISTADE, È AMICO A ME IMMEDIATAMENTE DOPO IL PRIMO, E QUESTI FU TANTO DISTRETTO DI SANGUINITÀ CON QUESTA GLORIOSA CHE NULLO PIU PRESSO L'ERA. Nelle pag. seg. (Rubric. lin. 15), si chiarisce che questi era un fratello di Beatrice: ma qual fosse, sarebbe difficile l'accertarlo. Dal Testamento di Messer Folco, scritto nell'anno 1287 15 ab intrante mensi Januario (nel RICHA, Chiese fiorent. VIII, 32) si rileva che in cotesto anno erano già maggiori Manetto e Ricovero, e perciò essi venivan istituiti tutori dei tre minori fratelli Pigello, Gherardo e Jacopo. Ma nel 1290 o al principio del 91, poteva già esser maggiore anche il primo di questi ultimi; del quale sappiamo (ved. VILLANI VIII, 41, e PUCCI, Centil. XXXVI) che fu poi morto di veleno nel 1300 da Ser Neri degli Abati soprastante delle carceri, ove egli si trovava con altri come appartenente alla fazione nera. Ma più probabilmente l'amico di DANTE fu o Manetto o Ricovero, che dovevano esser nel 1290 o 91 di età pari a quella del poeta. Ricoverus filius quond. Folchi Portinari si trova sottoscritto come Camerarius Camere Communis Florentie in un atto del 16 Dec. 1299, pubblicato dal PADRE IDELFONSO nelle Delizie degli Eruditi, x, 129. Ad ogni modo la storia ci accerta che più fratelli ebbe la Beatrice de' Portinari: e i seguaci del sistema simbolico ci farebber cosa assai grata sapendoci dire chi possa essere il fratello di Madonna Teologia o di Madamigella Filosofia.

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Pag. 44, lin. 23

LASSO DI PIANGER SÌ LA DONNA MIA. Pare impossibile che il FRATICELLI abbia posto un punto ammirativo dopo Lasso! spiegando: «perocchè gli occhi sarebbero molto più ch' io non vorrei, rei, debitori, inverso di me, lasso! di piangere la donna mia, sì che piangendo lei sfogherei il core ». Invece qui vuol significare come gli occhi rifiutandosi spesso di dar lagrime, egli al pianto sostituisce i sospiri, senza l'aiuto dei quali, mancando di sfogo, morirebbe di dolore.

Pag. 44, lin. 24.

CH' 10 SFOGHEREI LO COR PIANGENDO LEI. Il FRATICELLI e il WITTE seguono la lezione del BISCIONI e dell'edizion pesarese: Ch'io sfogherei lo cor; e accettano la spiegazione che di questo quartetto dava l'annotatore di quella edizione, così: « Dice il p.: I miei sospiri sconsolati vanno via, e, se non fossero, morrei di dolore. Prestano dunque i sospiri al p. quell' ufficio che prestar gli dovrebbero gli occhi: perocchè gli occhi, molle fiate più ch'i' non vorria, sarebbero rei (debitori) a me, lasso! di piangere la donna mia, si che piangendo lei sfogherei il core. Esser reo, in senso di dovere, esser obbligato, essere responsabile, può meritare osservazione per la sua provenienza dal latino reus in significato di debitore responsabile: reus voti, reus stationis tutandae ». Così l'annotatore pesarese. E così poi il WITTE nelle Anmerkungen (p. 35) alla versione tedesca delle liriche di DANTE: « Il pensiero (dei primi otto versi) corrisponde a quello espresso nel primo della canzone antecedente (v. 1-6). Solo sospiri trova il p. ad alleggerire il peso del dolore, perocchè le lacrime sono quasi esaurite. Certamente i sospiri non bastano a consolarlo; ma senza di quelli il soverchio del dolore lo finirebbe. Senza i sospiri correrebbe agli occhi l'obbligo di piangere, troppo più spesso ch' ora non facciano e più spesso ancora ch'e' non potessero, la estinta: di piangerla tanto che in quel pianto avesse suo sfogo il dolore. Ora i sospiri dividono almeno, questo dolore con gli occhi ». Ma il GIULIANI mette fuora un' altra lezione e interpretazione a tutto suo conto: «Gli occhi mi sarebber rei, crudi, rifiutandomi le lagrime a sfogo del mio dolore; per questa loro crudeltà, durezza, io, molte fiate più che non vorrei, lascio di piangere la donna mia e di sfogare nel pianto il mio dolore: il quale per ciò non trova uscita che ne' sconsolati sospiri. Così riesce compiuto il pensiero; dove che l'intendere rei per debitori e legger lasso in luogo di lascio, non porge alla mente intero e ben determinato il concetto che il p. aveva già espresso in prosa ». Io per me terrei la lezione dell' ediz. giuntina delle Rime antiche e della sermartelliana, come fecero il TRIVULZIO e il TORRI. Leggerei dunque, Ch' affogherieno il cor; e interpreterei: Se non fossero i sospiri, io morrei per il dolore. Come? Gli occhi piangerebbero anche più spesso ch' io non vorrei, e piangendo così, mi sarebbero rei, mi offenderebbero, affogando il cuore.

Pag. 45, lin. 8.

POVERO MI PAREVA LO SERVIGIO E NUDO A COSÌ DISTRETTA PERSONA еc. A, qui, vale: a comparazione di, in rispetto di... G. VILLANI: XII 50: la moglie ne fece piccolo lamento a ciò che ella dovea fare; PETRARCA (canz. Gentil mia donna): Quanta dolcezza unquanco Fu in cor d' avventurosi amanti, accolta Tutta in un luogo, a quel ch'io sento, è nulla.

Pag. 45, lin. 18.

M'ASSEMBRA accoglie, aduna: qui di fatto psicologico, come in FAZIO DEGLI UBERTI, Ditt. XII, 3; Veracemente dir non ti saprei Quanto dolor sopra dolore assembro.

Pag. 45, lin. 21.

LI TORMENTI CHE TU PORTERAI: sopporterai: come in MALISP. Cron. XVII: la grande malinconia che il mio cuore porta; e CAVALCA V. S. Ilar. 1: Portando molestamente la moltitudine e la frequenza delle genti.

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Pag. 45, lin. 24.

OND' IO CHIAMO LA MORTE. Cfr. la canz. Donna pietosa (pag. 33 §. XXIII) st. VI, e l'altra Gli occhi dolenti (pag. 43 §. XXXII) st. IV.

Pag. 46, lin. 7.

DIVENNE SPIRITAL BELLEZZA GRANDE. In questa seconda stanza, dice il WITTE, (Anm. p. 36) vediamo presentarsi già determinata la trasfigurazione di Beatrice, la quale nelle seguenti poesie seguita ad inalzarsi e tocca al sommo nella D. C. E questi bei versi fan ricordare vivamente quei del Purg. XXX, 128-29: Quando di carne a spirto era salita E bellezza e virtù cresciuta m' era.

Pug. 46, lin. G.

CHE GLI ANGELI SALUTA. CINO (canz. L'alta speranza): L'alta speranza che mi reca amore L'anima mia dolcemente saluta.

Pag. 46, lin. 12.

ERA FATTA DE' CITTADINI DI VITA ETERNA. Nel Purg. XIII 94, alcune anime, domandate dal p. se fra loro fosser latini, rispondono: 0 frate mio, ciascuna è cittadina D' una vera città. E il PETRARCA (son. Gli angeli eletti): Gli angeli eletti e l'anime beate Cittadine del cielo ec

Pag. 47, lin. 2.

NEL CIEL DELL' UMILTATE. «Nota, lettore, un dilicato senso delle voci umiltà, umile, umiliare, usato da DANTE per tutta questa operetta, nè forse ben distinto da' compilatori de' Vocabolarii: cioè di pace, quiete, tranquillità di affetti, cessazione di ogni appetito. Rechiamo qui i luoghi, onde rilevasi agevolmente questo senso: p. 2, §. II: colore umile; p. 10, §. XI: viso vestito d' umiltà; p. 22, §. XIX: e sì l'umilia che ogni offesa oblia; p. 25, §. XXI: pensiero umile; p. 31, 33, §. XXIII: pregava l'una l'altra umilemente... ed avea seco umiltà si verace che parea che dicesse io sono in pace ........ io diveniva nel dolor si umile.... vedendo in lei tanta umiltà; p. 37, §. xxvI : d' umiltà vestita; p. 38, §. XXVII: la vista sua face ogni cosa umile; p. 39, §. XXVIII: e sì è cosa umil che non si crede; p. 42, §. XXXII: chè luce della sua umilitate ». Edd. Pesaresi p. 62. Nota consimile uso della parola anche nel CAVALCANTI: Cotanto d' umiltà donna mi pare Che ciascun altra inver di lei chiam'ira (Son. VII) – Voi vedete che 'l core ha ferite Di sguardo, di piacere e d'umiltate (Son. X) - S'ode una voce che le vien davanti E par che d'umiltà il suo nome canti (Ball. V). Qualche cosa di simile è nei Canti popolari toscani: Quanto son dolci le vostre parole !... Quanto son dolci, son potenti e umile (ed. Tigri, p. 19) Vattene a lello, bel visetto umile Che tutt' e dua non perdiamo il dormire (id. p. 107).

Pag. 47, lin. 26.

LA MIA VILE VITA. Vit. SS. PP. Vit. S. Antonio III, 34: Per la sua iniquità e viltà della vita sua rea.

Pag. 48, lin. 3

TUTTO CIÒ CHE NARRATO È IN QUESTA RAGIONE; in questo ragionamento, in questo discorso. Inf. XI, 67: Maestro, assai chiaro procede La tua ragione, ed assai ben distingue Questo baratro e'l popol che'l possiede; e Purg. XXII 127: Elli givan dinanzi, ed io soletto Diretro, ed ascoltava i lor sermoni Ch' a poetar mi davano intelletto. Ma tosto ruppe le dolci ragioni Un alber che trovammo a mezza strada.

Pag. 48, lin. 5.

LA VOSTRA FIGURA. Figura, qui come in francese, vale: la faccia, le fattezze, l'aria del viso. Così anche SENNUCCIO DEL BENE (ball. Amor, così leggiadra): Talvolta scolorar la sua figura, Mostrando nella vista come il core Era d'amor servente.

Pag. 48, lin. 6.

GLI ATTI E LA STATURA. Slatura, qui vale stato, condizione: come nel MALISPINI XXV tit.: Come e quando Attila venne a Firenze e di sua statura: così il FRATICELLI. Ma statura al luogo presente non indica stato o condizione, ma sì lo starsi pensoso che DANTE faceva, la positura ch' ei soleva prendere, riducendosi quasi immobile per dolorosi pensamenti, che poi gli davano vista d'uomo compreso da terribile sbigottimento: così il GIULIANI.

Pag. 48, lin. 9.

LA QUALITÀ DELLA MIA VITA OSCURA. Altrove, (p. 18 §. XVI): Spesse fiate vegnonmi alla mente L'oscure qualità ch' Amor mi dona.

Pag. 48, lin. 11.

DI DIMOSTRAR COGLI OCCHI MIA VILTATE. Cfr. Inf. IV, 1: Quel color che viltà di fuor mi pinse.

Pag. 48, lin. 19.

D'UN COLOR PALLIDO QUASI COME D' AMORE. Cfr. LAPO GIANNI: Se l'è in piacer d'avermi in podestate, Non sia suo viso colorato in grana Ma sia negli occhi suoi umile e piana E pallidetta quasi nel colore.

D'UN COLOR PALLIDO QUASI COME D'AMORE. HORAT. Carm. III: Et tinctus viola pallor amantium. PETR. (Son. S'una fede amorosa): Un pallor di viola e d'amor tinto. Ma DANTE può darsi che ricordasse quel del De arte amandi (I 729), conosciutissima nel medio evo: Palleat omnis amans: hic est color aptus amanti.

Pag. 48, lin. 19-20.

MOLTE FIATE MI RICORDAVA DELLA MIA NOBILISSIMA DONNA CHE DI SIMILE COLORE SI MOSTRAVA. Un caso consimile è cantato dal CAVALCANTI: Una giovene donna di Tolosa, Bella e gentil, di onesta leggiadria, Tant' è dirilta e simigliante cosa, Ne' suoi dolci occhi, della donna mia, Che fatta ha dentro al cor desiderosa L'anima in guisa che da lui si svia E vanne a lei. (Son. XII).

Pag. 48, lin. 20.

CHE DI SIMILE COLORE SI MOSTRAVA. Canz. Donne ch' avete, st. IV (p. 22 § XIX): Color di perla quasi informa quale Conviene a donna aver, non fuor misura.

Pag. 49, lin. 1-2.

VISO DI DONNA PER VEDER SOVENTE OCCHI GENTILI E DOLOROSI PIANTI. I commentatori italiani passano sopra questi due versi, i quali per altri presentano, come osserva il WITTE (Anm. p. 38) una difficoltà grave. In fatti: se per veder sovente occhi gentili e dolorosi pianti prendesi come l'occasione, come il motivo di quel pallore e di quella espressione di pietà di che è detto ne' primi due versi, allora gli occhi e i pianti mentovati nel v. 4 appariscono poter essere solo quelli del poeta: ma

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allora è anche difficile a rendersi ragione che egli chiami gentili i propri occhi. Questa difficoltà così rilevata dal WITTE, non parmi distrutta dalla spiegazione sentimentale del GIULIANI, il quale annota: «Gli occhi gentili, quelli che rivelano amore (giacchè Amore e cor gentile sono una cosa) svegliano amore in altrui: on le per contrario è detto: Negli occhi porta la mia donna amore, Perche si fa gentil ciò ch'ella mira: (p. 25 §. xx1). I dolorosi pianti invece commuovono a pietà: Non odi tu la pieta del suo pianto?: Inf. II. 107 ». Il FÖRSTER traduce: . . . . . ob viel der adelsreichen Augen und Schmerzensthränen ich gesehen: (cioè: per quanti gentili, nobili occhi e dolorose lacrime io abbia veduti). L'OEYNHAUSEN um sehnlich Neigen Von Blicken schmerzgebeugt sich zu verdienen: (cioè: per meritarsi, o per guadagnare, o per ottenere un passionato inchinar di sguardi gravi di dolore). Il LYELL: Features. Of lady, who had heard the plaints, And watched the eyes, which spoke a tender sorrow. ( cioè: fattezze di donna che aveva udito i lamenti e osservato gli occhi esprimenti una tenera afflizione) Ma come questi sensi possano trovarsi nelle parole dell'originale, il WITTE non sa vedere, e tanto meno io. Tutt'insieme mi par degna di considerazione l'emenda che propone il WITTE, sebbene senza appoggio di mss.: mutare e in i, e interpretare: per quanto spesso occhi gentili abbiano veduto scorrere pianti dolorosi. E fors' anche, aggiunge il WITTE, senza nulla mutare, può accettarsi per giusta la seguente interpretazione: La vista di occhi gentili (di uomo) suole spesso prestare a un viso di donna il color dell'amore: la vista dei dolorosi pianti di un altro dà spesso a' lineamenti di donna, che lo veda piangere, la espressione della pietà. Ma io non ho occhi gentili, sì bene spenti nel dolore; in me sono stagnate le lacrime: e tuttavia si mostra ne' vostri sembianti, ogni qual volta voi guardate il mio dolente aspetto, il maggiore pallor d'amore e la più intima compassione che mai donna mostrasse a tal vista.

Pag. 49, lin. 15.

PIU VOLTE BESTEMMIAVA LA VANITÀ DEGLI OCCHI MIEI. Il verbo bestemmiare ha il signif. di vituperare: Amn. d. ant. 21, 2, 4: È da cacciar via la possibilità della bugia, acciocchè non sia bestemmiato il buono nome nostro; di imprecare: Inf. III, 103: Bestemmiavano Dio e i lor parenti; di male lire: Bocc. nov. 81: Primaccio dolente e bestemmiando la sua ventura, se ne tornò. Qui tiene di tutti tre i significati, ma più dell' ultimo: maledetti occhi, dice infatti più innanzi.

Pag. 49, lin. 25.

L'AMARO LAGRIMAR. In un cod. veneto del sec. XVI trovasi una postilla di altra mano che dice così: «Dimostra il poeta in questo sonetto che andò presso ad innamorarsi di nuovo dopo la morte di Beatrice, e questa donna si pensa che fosse Madonna Vanna che lo movea ad amarla ». FULIN Codici di D. A. in Venezia, p. 106. Ognun sa che molti in questa donna gentile, vedono Gemma che più tardi gli fu moglie: vedi BALBO, II, 8; FRATICELLI, V. A noi non parrebbe bello se DANTE, lasciando da parte in un libro composto e divulgato dopo il suo matrimonio, ogni espressa menzione di questo, avesse poi parlato della Gemma, nel modo come fa, dal §. xxxix, p. 50 in poi, della donna gentile, quando questa e quella fossero state la stessa persona.

Pag. 50, lin. 1.

FACEVA LAGRIMAR. Con la ediz. giuntina delle Rime antiche e la pesarese, con un ms. del WITTE e col GIULIANI, anch' io leggerei: Faceva lagrimar; perocchè nella prosa che precede è detto agli occhi: Or voi, solevate far piangere chi vedea la vostra dolorosa condizione.

Pag. 50, lin. 7.

LA VOSTRA VANITÀ MI FA PENSARE. Il GIULIANI ricordando che nel Sonetto: Venile a intender, il poeta rimprovera gli occhi di mancar di lacrime, interpreta ani di lagrime, perchè hanno cessato dal pianto dopo la morte di Beatrice. A noi pare che rimproveri invece gli occhi di vanità, vaghezza,

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