questo numero del nove a dare ad intendere che ella era un nove, cioè un miracolo la cui radice è solamente la mirabile Trinitade. Forse ancora per più sottil persona si vedrebbe in ciò più sottil ragione; ma questa è quella ch' io ne veggio, e che più mi piace. Poi che la gentilissima donna fu partita di questo secolo, rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova e dispogliata di ogni dignitade; ond'io, ancora lagrimando in questa desolata cittade, scrissi a' principi della terra alquanto della sua condizione, pigliando quello cominciamento di Geremia profeta: Quomodo sedet sola civitas! E questo dico, acciò che altri non si maravigli perchè io l'abbia allegato di sopra, quasi come entrata della nuova materia che appresso viene. E se alcuno volesse me riprendere di ciò che non scrivo qui le parole che seguitano a quelle allegate, scusomene, però che lo intendimento mio non fu da principio di scrivere altro che per volgare: onde, conciossiacosa che le parole che seguitano a quelle che sono allegate, sieno tutte latine, sarebbe fuori del mio intendimento se io le scrivessi: e simile intenzione so che ebbe questo mio primo amico, a cui ciò scrivo, cioè ch' io gli scrivessi solamente in volgare. Poi che gli occhi miei ebbero per alquanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano ch'io non potea disfogare la mia tristizia, pensai di volerla disfogare con alquante parole dolorose; e però proposi di fare una canzone, nella quale piangendo ragionassi di lei, per cui tanto dolore era fatto distruggitore dell' anima mia; e cominciai allora: Gli occhi dolenti ec. Accio che questa canzone paia rimanere vie più redova dopo il suo fine, la dividero prima Gli occhi dolenti per pietà del core ch' io la scriva: e cotal modo terrò da qui innanzi. Io dico che questa cattivella canzone ha tre parti: la prima è proemio; nella seconda ragiono di lei; nella terza par 1 Hanno di lagrimar sofferta pena, E perchè mi ricorda ch' io parlai Se non a cor gentil che 'n donna sia; Linca 2. radice, cioè del miracolo: b f; S. B.; radice del miracolo: C. per più sottili ragioni ciò è; ma: P. 4. Poichè fu partita: P. La volgata reca da; leggiamo di col cod. f e l' ed. V. 5. città vedova dispogliata: P.; città quasi vedova dispogliata: f. da ogni f. questa disconsolata: c. 6. alli prencipi: f.- Manca nell'ed. S. il tratto che corre da pigliando a viene. 7. di Geremia: Quomodo: a de f; Fr. G.; di Jeremia: S. B. T. - 9. Se alcuno f. — 11. dal principio: f. 12. a quelle allegate siano: V. 13. mio amico: b; P. T. Fr. G. 15. miei occhi: f. - 27. vivea: f; 29. vuò: P.- parlarne: a c d e; - Rubrica, linea 1. canzone rimanga: P. — più: f. — B. P. (XXXI) (XXX II) Che se n'è gita in ciel subitamente, 15 alle canzone - Ita n'è Beatrice in alto cielo, t theente. La seenda comincia quiri: ha n'è BoaWees la terza quiviPetsan'a a canzone La prima parte st dirle in tre: nella prima dico per che mi muoto a dire: nella seconda die, esi voglio dire; tag tepat dica di evi roq'io dire. La seconda comincia qu'i: E perchè mi Nel reame ove gli angeli hanno pace, Lo giunse di chiamar tanta salute, Non era degna di si gentil cosa. Piena di grazia l'anima gentile, Di sospirare e di morir di pianto, calore, come: P. Linea 1. Che se n'è ita: a cf; Ra. B. T. 3. Ita se n'è: P. V. — en l'alto: f. 7. Nè di 6. quantità: a. S. solo: P. 12. desire: d; P. T. Fr. G. 14. quaggiù: P.; quagiù: b. 19. Ed è sì: P.; E andossi: uno dei codd. trivulziani. 21. cuore: d e. 22. Ch'entrar no' i pote spirito benigno: P.; Ch' entrar non vi può spirito benegno: i codd., e il più delle ediz. Seguiamo qui, dietro l'esempio del T., il S. e le Ra., nè ci pare di commettere peccato, trattandosi solo di scegliere tra la soppressione di una o di un'altra fra due lettere, le quali entrambe dovettero probabilmente essere scritte negli esem plari più antichi. Colla nostra lez. si dà maggiore evidenza all'idea del non potere, senza punto scemarla a quella dello spirito benigno. 25. doglia: il cod. b, che pone invece voglia nel verso seg. Ma chi faccia bene attenzione a quella specie di crescendo nei sentimenti che viene qui espressa, e noti come più sotto si rappresenti persona che piange realmente, e non soltanto inclinata al pianto, si manterrà, crediamo, con noi fedele alla lez, volgata. 26. Ma n'ha: 30. ella c'è: a. - Rubrica, Fr. G. 29. Chi vide: P. - 7. La prima si: P. T. Fr. G. 9. dico che mi muove: f; T.; dico che mi move: B. cagione perche tolia ne fu; appres-, so diéo come aliri si piange della sua partita, e comincia questa parte quivi: Partissi della sua. Questa parte si dioide in tre: nella prima dico chi non la piange; nella seconda dico chi la piange; nella terza dico della mia condizione. La seconda comincia quici: Ma vien tristizia e doglia; la tersa: Dannomi angoscia. Poscia quando dico: Pietosa mia canzone, pario a questa Dannomi angoscia li sospiri forte, Quando il pensiero nella mente grave Che dalle genti vergogna mi parte. Mi strugge il core ovunque sol mi trovo, Che ogni uom par che mi dica: Io t'abbandono, a e; T. Fr. G.; Quando lo imaginar: Ra. B.; Et quando lo 'maginar: f. mi vien ben: df; Ra. B. 8. tanta pieta: c. - 12. Po'' P. — 16. Mi stringe : P. 17. chi m'udisse: a cd f; P. Diamo la lez. introdotta dagli edd. Mil., sebbene tra i nostri codd. sia recata dal solo b, non già perchè sentiamo orrore della rima (poco costerebbe il leggere udesse), ma perchè ci sembra probabile che la volgata si debba agli scrupoli di chi non trovava convenevole che si gne: f. 4. pia· 14. dico la mia: f; B. · 18. la III quivi: f. 1 (XXXII) mia canzone, desi- donne sen rada, e Pietosa mia canzone, or va piangendo; A cui le tue sorelle Erano usate di portar letizia; E tu, che sei figliuola di tristizia, Vattene sconsolata a star con elle. Poi che detta fu questa canzone, sì venne a me uno, il quale secondo li gradi dell'amistade, è amico a me immediatamente dopo il primo: e questi fu tanto distretto di sanguinità con questa gloriosa, che nullo più presso l'era. E poi che fu meco a ragionare, mi pregò che io gli dovessi dire alcuna cosa per una donna che s' era morta; e simulava sue parole, acciò che paresse che dicesse d' un' altra, la quale morta era cortamente: ond' io accorgendomi che questi dicea solo per quella benedetta, dissi di fare ciò che mi domandava lo suo prego. Ond' io poi pensando a ciò, proposi di fare un sonetto, nel quale mi lamentassi alquanto, e di darlo a questo mio amico, acciò che paresse, che per lui l'avessi fatto; e dissi allora questo sonetto che comincia: Venite a intender ec. Questo sonetto ha due parti: nella prima chiamo li fedeli d'Amore che m'intendano; nella Venite a intender li sospiri miei, seconda narro della mia misera condi zione. La seconda O cor gentili, chè pietà il disia; Molte fïate più ch' io non vorria, Linea 2. E ritruova: f; E truova: d. - 6. Vatten disconsolata e f. 6. Qui termina la canzone; solo l'ediz. S. aggiunge tre versi, dei quali non sappiamo a chi dar merito: D': Beatrice, più che l'altre bella, E ha lasciato Amor meco dolente. 8. amistà: f. era amico: P. Fr. G. immediate: b. Lasso di pianger: T. Fr. Che affogherieno il: S. Ra. T. Se male non ci apponiamo, le varianti di questi due versi si debbono allo studio di chiarire il senso, non piano per certo, di questa quartina. Ma sospettiamo che il rimedio s'abbia a cercare altrove. Forse in luogo di lasso è a leggere lassi; ce ne dà sospetto il raffronto colle parole, evidentemente analoghe, che precedono la canzone antecedente, e soprattutto la voce affaticati che colà si trova. Forse gioverebbe anche trasportare la virgola dopo primo verso, congiungendo il secondo col terzo. O dovrebbesi forse vedere nel lasso un verbo, anziché un aggettivo? Comunque siasi è indubitato che le spiegazioni degli edd. Pes., del Fr., del Witte, riescono forzate e sono ben lontane dal dissipare le incertezzo. Rubrica 1. lin, 1. a questa canzone: f. - 3. se ne vada: f.; donne vada: e 4. stiesi: e. Rubrica 2. lin. 2. che m'intendano nella mia misera condizione. La seconda comincia quivi: Li quali.: P. Voi udirete lor chiamar sovente La mia donna gentil, che se n'è gita Al secol degno della sua virtute; E dispregiar talora questa vita, In persona dell' anima dolente, Abbandonata dalla sua salute. Poi che detto ebbi questo sonetto, pensandomi chi questi era, cui lo intendeva dare quasi come per lui fatto, vidi che povero mi pareva lo servigio e nudo a così distretta persona di questa gloriosa. E però innanzi ch' io gli dessi il soprascritto sonetto, dissi due stanze di una canzone; l'una per costui veracemente, e l'altra per me, avvegna che paia l'una e l'altra per una persona detta, a chi non guarda sottilmente. Ma chi sottilmente le mira, vede bene che diverse persone parlano; in ciò che l' una non chiama sua donna costei, e l'altra sì, come appare manifestamente. Questa canzone e questo sonetto gli diedi, dicendo io che per lui solo fatto l'avea. La canzone comincia: Quantunque volte, ed ha due parti: nell' una, cioè nella prima stanza, Quantunque volte, lasso! mi rimembra si lamenta questo Ch' io non debbo giammai mio caro amico, distretto a lei; nella seconda mi lamento io, cioè nell' altra stanza che comin cia: E' si raccoglie. E così appare che in questa canzone si lamentano due persone, l'una delle quali si lamenta come fratello, l'altra come scrridore. Veder la donna, ond' io vo sì dolente, Ch' io dico: Anima mia, che non ten vai? Nel secol che t'è già tanto noioso, Come soave e dolce mio riposo; E dico: Vieni a me, con tanto amore, 17. donna mia b. 27. Ch' i' Rubrica, li sonetto: f. dicendo io a lui: a c f; T. acciocchè persone; l'uno si lamenta : P. (XXXIV) |