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Pag 19. lin. 4.

MATERIA NOVA E PIÙ NOBILE CHE LA PASSATA. Le dieci poesie contenute sino a questo punto del libro, appartengono per l'età, ai primi anni della gioventù di DANTE: per l'arte, alla sua prima forma, anzi al tempo nel quale egli non aveva ancora trovato la sua propria forma di poetare e per la storia dell'amor suò, alla prima e più naturale maniera dell'affetto per Beatrice. Quanto all'età, esse appartengono ai sette anni che corrono dal 1283 (pag. 3. §. II) ad un tempo alquanto anteriore al 1289: anno indirettamente ricordato più oltre (pag. 26. §. XXII) colla menzione della morte di Mess. Folco Portinari (31 Dec. 1289). Queste prime poesie terminano infatti col §. XVI (pag. 19), e volendo porre un poco di tempo fra il principiar delle nuove rime e i fatti narrati sino al §. XXII (p. 26), diremo che i dieci componimenti cadono fra il 18o e il 22o anno del poeta (1283-87). Quanto alla forma dell' arte, esse manifestano molta inesperienza ed irresolutezza, naturali del resto in età così giovanile: e si può dire che manchino tutte di quell' evidenza che è propria di DANTE. Il primo sonetto: A ciascun alma presa e gentil core non sarebbe, infatti, molto intelligibile a noi se non fosse chiarito dal testo della V. N.; e le risposte ambigue od erronee che gli diedero gli amici di DANTE, i quali non ne conobbero il verace giudicio, nonchè la risposta villana e burlevole del Majanese, comprovano la nostra sentenza. Nelle chiose del secondo: O voi che per la via d'amor passate, l'autore ci indica una nascosta menzione di Beatrice, che solo per forza di congettura ci è dato di scorger nel sonetto. Nel terzo: Piangete amanti poichè piange amore, potremmo credere, se non avessimo la prosa della V. N. che ci soccorre, trattarsi della morte della persona amata, anzichè di una sua compagna ed amica. Nel quarto: Morte villana di pietà nemica, sappiamo che gli ultimi versi riguardano Beatrice: ma anche qui l'allusione è involuta, e l'intera strofa legasi male colla antecedente. Pel quinto: Cavalcando l' altr' ier per un cammino, è necessaria la prosa per non prendere errore nel credere che il novo piacere al quale Amore reca il cuore di DANTE, sia Beatrice anzichè un secondo schermo. Migliore certamente è la Ballata: Ballata io vo' che tu ritrovi Amore, e così anche il sonetto: Tutti li mioi pensier parlan d'amore, dei quali a ragione dice l' ORLANDINI che, «se appartengono tuttavia alla prima maniera del poeta, alquanto rozza e che sa della imitazione dei Provenzali, pure contengono versi bellissimi, e tocchi delicati e flessanimi di verace e sincera affezione (Della V. N. in Dante e il suo sec. p. 396) ». Bello è anche il sonetto: Coll'altre donne mia vista gabbate, ma confuso e contorto è l'altro: Ciò che m'incontra nella mente more; nè molto migliore è l'ultimo: Spesse fiate vienemi alla mente. Ma in tutte queste rime, le forme poetiche e le locuzioni rammentano troppo il fare dei Provenzali e dei Siculi: dottanza, ovranza, allegranza vi ricorrono di continuo e sanno di occitanico: medesimamente dai poeti anteriori sono tratte le voci smagare, donneare, essere a noia e simili, e così il chiamar sè servitore, e servire l' amare. Il torto tortoso è appreso da GUITTONE, e la frequente menzione degli spiriti e spiritelli fa vedere che ancora il poeta segue l'esempio dei suoi contemporanei fiorentini, anzichè andar più oltre e levarsi al di sopra di loro. Il CARDUCCI (Rime di Dante, in Dante e il suo sec. p. 727) così ne scrive: «A me pare che della scuola di transizione risentano le prime dieci poesie della V. N. . . . Non nego che in quelle rime trasparisce a volte il pocta, ma tale che non ha ancora un' idea chiara dell' arte, che non ha eletto la sua via. Egli ondeggia tra le rimembranze cavalleresche e la maniera immaginosa, ma un po' ruvida e senza grande affetto, dei sonetti del CAVALCANTI; anche, dissimula l'esiguità del concetto col cerimoniale della forma, col linguaggio consuetudinario delle corti e del codice d'amore, co' fioretti dello stile ch' era allora di moda; e tal fiata, come i principianti per darsi aria, ingrossa un po' la voce e carica il colorito. Per esempio, anche a cui creda che i grandi poeti possano far a meno del buon gusto, non parranno, spero, immagini vere nè belle queste: Lo viso mostra lo color del core Che tramortendo ovunque può s'appoia E per l' ebrietà del gran tremore Le pietre par che gridin: moia, moia E se io levo gli occhi per guardare Nel cor mi si comincia un terremoto Che fa da' polsi l'anima partire. Altri modi figurati e altre frasi potrebbero recarsi in mezzo a provare l'influenza della scuola di GUITTONE nelle rime giovanili dell' ALIGHIERI influenza che ci è attestata anche da certe forme metriche, come il sonetto rinterzato, che il poeta uscito di giovine non usò più mai, e dall' amore a certi giuochi di suoni e di parole. Lo tuo fallir d'ogni torto tortoso è verso che non invidia nulla a' più motteggiati del frate aretino ».

Quanto alla storia dell'amore di DANTE, queste poesie corrispondono ad un affetto qual era quello di cotesti anni del poeta, cioè puro e gentile, ma naturale ed umano, che si pasce della vista, del saluto, delle parole della donna amata, e vista e saluto e parole prende a soggetto del canto: tutto quello, cioè, che la realtà ha di meno materiato, ma che è pur realtà e senso.

E giova anche osservare come, se lo scegliersi ́non uno, ma due successivi schermi può esser stato consigliato a DANTE dalla prudenza e dal rispetto inverso Beatrice, ciò rammenta anche assai le usanze tradizionali e costanti dei trovatori di Provenza, che studiosamente celavano altrui qual fosse la donna amata, mostrando in vista di volgere ad altra l'affetto e il verso. Ad ogni modo, le forme dell' amore di DANTE, non superano ancora, come dappoi, le comuni consuetudini dei tempi: non sono la passion nuova che avremo fra poco. Ma d'ora in poi le rime avranno altra forma ed altre qualità, al modo stesso come altra natura avrà l'affetto, divenuto quasi contemplativo e spirituale « senza alcun incentivo o refrigerio dei sensi. (CARDUCCI, op. cit. p. 732) ».

Di qui, insomma, incominciano le nuove rime, il dolce stil nuoco; e salvo un accenno al GUINICELLI, che lo iniziò all'arte novella, la musa di DANTE s'erge da sè a volo sublime e intentato, senz' altra guida che l' ardore del genio, e senz'altro impulso che la profonda intensità della passione

amorosa.

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SAPEANO BENE LO MIO CUORE. Qui cuore è pensiero, intendimento, voglia; come Purg. II, 11: gente ...che va col core e col corpo dimora.

Pag. 19, lin. 18.

COMINCIARO AD ATTENDERE IN VISTA LA MIA RESPONSIONE. I GIULIANI interpr. «Attente mi guardavano nell' aspetto per raccoglierne la mia risposta ». e allega quel del Purg. XVIII, 2: L'alto dottore... attento guardava Nella mia vista s'io parea contento. Ma nel Purg. il dottore guardava attento NELLA VISTA DI DANTE; nella V. N. le donne cominciano AD ATTENDERE IN VISTA: il che vuol dire che avevano l'aria di cominciare ad attendere; Purg. XIII, 100: Tra l'altre vili un'ombra che aspettava In vista; e, se volesse alcun dır: Come? Lo mento a guisa d'orbo in su levava. Del resto tutti sanno che in vista usato così assolutamente vuol dire: al sembiante esterno, a quel che pare; PETR. son. LVIII (del ritratto di Laura): Però che in vista ella si mostra umile Promettendomi pace nell' aspetto; e DANTE Purg. I, 79: Marzia tua che 'n vista ancor ti prega, O sunto petto, che per tua la tegni.

Pag. 19. lin 24.

MI PAREA VEDERE LE LORO PAROLE USCIRE MISCHIATE DI SOSPIRI. L'editore pesarese, accettando dal cod. Antaldi la lez. vedere, in vece della volgata udire, nota: «Quantunque la lez. del BisCIONI, e degli altri sembri più regolare, perchè le parole parlate più facilmente si odono di quello che si veggano; pure, se si avverta che le donne parlano intra loro, e che DANTE non dice di che parlassero, può benissimo adottarsi la nostra lezione, dicendosi con verità di vedere alcuni parlar tra loro quando non se ne ode il discorso ». Il GIULIANI accoglie questa lez., riportando a conforto quel dell' Inf. XXVIII, 9: Parlare e lacrimar vedrai insieme.

Pag. 20, lin. 2.

DISSI COTANTO. Cotanto e tanto, DANTE nella D. C. li usa spessissimo nel semplice valore di questo, questa cosa: Inf. XV 91: Tanto voglio che vi sia manifesto: Pur che mia coscienza non mi garra, Ch' alla fortuna come vuol son presto. E nella prosa del tempo: Nov. ant. 3: Lo cavallo è di bella guisa; ma cotanto vi dico, che 'l cavallo è nutricato a latte d'asina.

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LA MIA LINGUA PARLÒ QUASI COME PER SE STESSA MOSSA. È quello stesso che dice nel Purgat. XXIV 52: Io mi son un che quando Amore spira, noto, ed a quel modo Che detta dentro vò significando. Cfr. anche con quel che dice più sotto: parole che il core mi disse con la lingua d'amore (p. 34. §. 24).

Pag. 21, lin. 6.

ANGELO CLAMA IN DIVINO INTELLETTO. « Il p. esalta la donna amata dicendo come il cielo istesso la desidera. Le due seguenti stanze dipingono la terrena apparizione di Beatrice e la influenza della beltà e virtù di lei. In questa st. v'è già un presentimento allusivo di quella transfigurazione a cui DANTE dovea poi sollevar Beatrice defunta, ed è facile a trovare negli ultimi due versi una indicazione del futuro pellegrinaggio per l'inferno (ROSSETTI, Spir. antip. pag. 345, Comm. anal. I. 377: FRATICELLI, Canzoniere pag. LXI: FORSTER, Das neue Leben, pag. 130). Per intanto puossi anche per inferno e dannati intendere il mondo co' suoi abitatori in gran parte corrotti. È notevole ancora il trovar già qui nel desiderio dell'angelo e nel consentimento del cielo e dei santi, un precoce presentimento della morte di Beatrice: per ancora la Pietà difende la parte della terra: nella canz. Gli occhi dolenti (st. 4) della morte dell' amata verrà data ragione con questo, che Dio ha riconosciuto la terra indegna di possederla. » WITTE, Anmerkungen, p. II, 22.

CLAMA IN DIVINO INTELLETTO. Anzi tutto leggerei chiama col più delle stampe e non clama come piacque al FRATICELLI e al GIULIANI nella prima ediz.; perchè anche altrove nella V. N. (p. 7. §. VIII), abbiamo a pietà donne chiamare, ove chiamare ha pure il significato di gridare: sebbene qui veramente valga quasi esclamare, come nel Purg. XXII 38, ove STAZIO dice a VIRGILIO: Quand' io intesi là ove tu chiame Irato quasi all' umana natura: Perchè non reggi tu, o sacra fame Dell'oro, l'appetito dei mortali? E poi starei fermo per la lez. in divino intelletto. Certo che qui si amerebbe meglio il determinato nel; ma ciò non m'indurrebbe mai ad accettare per buona la lezione antaldina dell' ediz. pesarese: Angelo chiama nel divino intelletto, nè pur con la bella scusa che il verso è della foggia dei noti: Ecco Cin da Pistoia, Guitton d' Arezzo, e Uccise un prete la notte di natale. Leggerei dunque in divino intelletto, col FRATICELLI e con le ant. stampe: ma non interpreterei con lui con santo intendimento, e nè pur col FORNARO in un linguaggio divino. Ben notò il GIULIANI che traendo in divino intelletto a significare con santo proponimento si verrebbe a mostrar possibile o almanco a supporre che quello che si fa in cielo non fosse tutto santo. Ma non per ciò fece bene egli ad accettar per vera, in nota nella prima sua edizione e nella seconda nel testo, la lez. del magliab. 143 e dei riccard. 1030 e 1094 (il divino int.) interpretando poi: Un angelo grila a Dio, lo invoca; come avea fatto il FÖRSTER che tradusse Den göttlichen Verstand anruft ein Engel. I KANNEGIESSER invece, secondo la miglior lezione: Im göttlichen Verstande ruft ein Engel: ma non è, a parer mio, nè vera nè conforme al testo l'annotazione del WITTE « Il rappresentare l'angelo come dicente questo in faccia di Dio, parve al poeta troppo antropomorfico; il perchè fa che Dio intenda il discorso nel suo spirito ». Ricordiamo piuttosto i due versi del GUINICELLI: Splenle in la intelligenzia dello cielo Dio creator, più ch'a' nostri occhi il sole, e facciamo un po' di filosofia scolastica. Con un atto che fece essere congiuntamente forma e materia, Dio, a un tempo col mondo, creò nell' empireo l'intelligenze. Di queste, le attive movono le sfere celesti; le speculative, gli angeli, guardano continuamente in Dio. Esse, vedendo e conoscendo Dio come causa universale, in lui veggono e conoscono le cose superiori e inferiori, come effetti, ciascuna secondo la sua natura, nel proprio ordine e grado; e la forma umana conoscono in quanto ella è idealmente per intenzione regolata nella mente divina: quindi non possono conoscere tutto con sicurezza: l'avvenire, per esempio, lo conoscono solo dalle cause, e quindi solo quel tanto che da esse consegue; il resto, per conghiettura. Dopo tutto questo, è facile a comprendere che in divino intelletto vuol dire: per quel che vede in Dio.

Pag. 21, lin. 8.

MARAVIGLIA NELL'ATTO. « Una meraviglia effettiva, attuale » WITTE Anmerk. II, 22.

Pag. 21, lin. 9.

QUASSÙ RISPLENDE. «Il discorso dell'angelo deve necessariamente chiudersi qui: altri lo estendono fino al v. 7.o: E ciascun santo ec.» WITTE id. id.

Pag. 21, lin. 13.

SOLA PIETÀ NOSTRA PARTE DIFENDE. Soltanto, cioè, la compassione, la misericordia di Dio prende a difendere la nostra causa; poichè così parla, risponde, Dio misericordioso, il quale intende dire di Beatrice, sapendo egli qual meraviglia ell'è e per qual fine ancora si rimanga quàggiù. Così press' a poco si accordano a interpretare il FRATICELLI e il GIULIANI. E bene. Ma già il TRIVULZIO nella edizione sua accennava all'opinione di un critico, il quale credeva doversi il verso seg. corregger così: Che parla Iddio? che di madonna intende? E questa parve sensatissima interpunzione al TORRI, il quale l'ammise nella sua edizione, intendendo che il verso fosse in bocca dell' angelo. E piace al WITTE, che per altro riconosce ammissibile e rettamente interpretabile anche l'altra. La quale io vorrei conservata per le ragioni addotte dal FRATICELLI: questo verso e l' antecedente doversi intendere come detti dal poeta: le due frasi interrogative romperebbero e altererebbero la maestosa narrativa, e sarebbero, aggiungo io, poco rispettose in faccia a Dio.

Pag. 21. lin. 21.

GITTA NE' COR VILLANI EC. II CAVALCANTI (Ball. X): Non è la sua biltate conosciuta Da gente vile.

Pag. 21, lin. 22

DICO: QUAL VUOL GENTIL ecc. Il seme dei concetti di questa stanza è nei terzetti di quel Son. del GUINICELLI che incom. Io vo' del ver ecc. cioè: Passa per via si adorna e si gentile, Che bassa orgoglio a cui dona salute E fat di nostra fe' se non la crede, E non la può appressare uom che sia vile: Ancor ve ne dirò maggior virtute, Null' uom può mal pensar fin che la vede; e forse nella ball. VIII del CAVALCANTI: Ch' 'truovo Amor che dice: Ella si vede Tanto gentil, che non può 'mmaginare Ch'uom d'esto mondo l'ardisca mirare Che non convegna lui tremare in pria; Ed io, s'ï' la guardassi, ne morria. Poi DANTE stesso li riprese e svolse ne' due sonetti: Negli occhi porta, e: Vede perfettamente.

Pag. 22, lin. 5.

CHE GLI AVVIEN CIÒ CHE GLI DONA SALUTE. « Giuoca, come spesso nella V. N., col doppio senso della parola salute (salute e saluto) » WITTE, op. cit. 23.

Pag. 22, lin. 6.

E sì L'UMILIA. Nel senso cristiano di rendere virtuosamente umile e rassegnato, e non in quello più comune di abbassare, avvilire.

Pag. 22, lin. 2...

DICE DI LEI AMOR ecc. CINO DA PISTOIA (son. Gli occhi vostri gentili): Come potea di umana

natura Nascere al mondo figura si bella Com' sete voi? maravigliar mi fate. E dico nel mirar vostra bellate: Questa non è terrena creatura: Dio la mandò dal ciel, tanto è novella.

Pag. 22, line 13.

COLOR DI PERLA. Prendo a prestito alcune parole dell'amico CARDUCCI (op. cit. p. 921) « DANTE adora non le bellezze, sì la bellezza. La parte materiata. . ei non vi attende; gran che se della sua donna ricorda il color di perla, proprietà angelicata, e gli occhi, dei quali non ci fa mai sapere se neri sieno o cilestri, se languidi o ardenti, ma che in essi ella porta amore».

COLOR DI PERLA ecc. Sono descritte particolarmente, osserva il WITTE (op. cit. p. 24), le principali bellezze di lei: il colorito e la figura. Ella realizza (informa) il color della perla in giusta misura: cioè, tiene il mezzo fra il rosso villano e la malaticcia pallidezza. Questo conveniente pallore, proprio di Beatrice, il p. lo ricorda ancora distintamente più oltre, cioè a pag. 48 (§. XXXVII): Si facea d'una vista pietosa e d'un color pallido quasi come d'amore: onde molte fiate mi ricordava della mia nobilissima donna, che di simile colore si mostrava tuttavia.

Pag. 22, lin. 17.

DEGLI OCCHI SUOI ecc. « Le due essenziali bellezze hanno sede negli occhi e nella bocca (cfr. la seconda canz. del Conv.: Amor che nella mente, st. 4 v. 3, e il commentario nel Conv. stesso, III. 8). Gli occhi (vers. 9-12) sono la sorgente dell' amore; la bocca ne è il termine, cioè il beatifico saluto di madonna. Secondo la lezione di tutti i mss. e delle edizioni a me conosciute, la canzone nomina soltanto gli occhi, e poi (v. 13), in luogo di parlare della bocca, ritorna sul viso in generale. Ma il testo in prosa (la divisione o chiosa) fa menzione espressa della bocca, la cui lode è richiesta anche necessariamente dal parallelismo con la canz. del Conv.: e io tengo quindi per più che solamente probabile la congettura partecipatami per lettera dal TRIVULZIO, che al v. 13 sia da leggere riso in vece di viso ». WITTE pag. 24.

Riso, bocca; come Inf. V. 133: Quando leggemmo il disiato viso Esser baciato da cotanto amante.

Pag. 22, lin. 18.

SPIRTI D'AMORE INFIAMMATI CHE FIERON GLI OCCHI A QUAL CH' ALLOR LA GUATI E PASSAN SÌ CHE 'L COR CIASCUN RITROVA. Il GUINICELLI: Apparve luce che rende splendore Che passando per gli occhi il cor ferio. Il CAVALCANTI (Son. VII): Ahi Dio, che sembra quando gli occhi gira? Dicalo Amor, ch' io nol saprei contare. (Son. XXXIII): Si dolce sguardo Per mezzo gli occhi passò dentro al core. E Ball. V.: Veggio negli occhi della donna mia Un lume pien di spiriti d'Amore Che portano un piacer nuovo nel core. E Ball. X: Io veggio che negli occhi suoi risplende Una virtù d'amor tanto gentile Ch'ogni dolce piacer vi si comprende. E Canz. II: Per gli occhi fiere la sua claritade. E CINO (ed. Ciampi, p. 68): Si rinfresca e si rinnuova Quella ferita la qual ricevei Nel tempo che de' suoi occhi si mosse Lo spirito possente, e pien d'ardore Che passò dentro si che 'l cor percosse.

Pag. 23, lin. 6.

PER FIGLIUOLA D'AMOR GIOVANE E PIANA. Piana qui vale modesta: DANTE stesso, altrove: A chi era degno poi dava salute Con gli occhi suoi quella benigna e piana: PETR. Son. 137: Ho preso ardir con le mie fide scorte D'assalir con parole oneste, accorte, La mia nemica in atto umile e piano; e in prosa il GIAMB. 59: Dee il povero nella sua povertade essere piano ed umile e non superbio.

Pag. 23. Rubrica, lin. 9.

E ACCIÒ CHE QUINCI SI LEVI OGNI VIZIOSO PENSIERO. «Questa scrupolosità ombrosa e quasi

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