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contando come l'autore fosse chiamato da una lieta ragunata di donne e richiesto della natura dell' amor suo, e quale fosse la sua risposta intorno al novissimo fine di quello (§. XVIII), che ancor meglio è dichiarato nella successiva canzone (§. XIX): segue una definizione dell'Amore, sulle tracce del maestro del dolce stil nuovo (Purg. XXIV, 55), Guido Guinicelli (§. xx), e un sonetto sugli effetti meravigliosi della bellezza di Beatrice (§. xx1). Poi ancora nuovi accenni alle usanze fiorentine, raccontando la morte di Mess. Folco e gli onori resi alla sua salma (§. xx11), e il dolore di Beatrice, e i primi tristi presentimenti avuti in sogno del prossimo fine di lei, e gli amorevoli conforti di una parente, che è la quinta donna, oltre Beatrice, introdotta in questa narrazione (§. XXII), come la sesta è quella Giovanna di Guido Cavalcanti della quale appresso si fa menzione, dopo narrata una quarta apparizione di Amore e un sesto incontro con Beatrice (§. XXIV). Qui, al racconto si intramezza una digressione già antecedentemente (§. XII) promessa, sull'uso delle personificazioni nella poesia (§. xxv): e poi ripigliasi la loda di Beatrice, cioè del suo divino saluto (§. XXVI) e della mirabil sua virtù sulle altre donne (§. XXVII), finchè riman bruscamente tronca una nuova Canzone che avrebbe dovuto descrivere quanto sia ora soave il giogo che prima gli era sì forte a portare (§. XXVIII). In questa seconda parte, che facciamo principiare, come vedemmo, dall'anno 1287, ventiduesimo di Dante, abbiamo chiara menzione di due date: cioè del 31 Dicembre 1289 in che morì Folco, e del 9 Giugno 1290 in che lo seguì la figlia Beatrice; cosicchè qui trovansi la narrazione dei fatti e dei pensieri di Dante, e le rime da lui composte dal ventiduesimo al venticinquesimo anno dell'età sua.

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La Parte Terza comincia dall'antico paragrafo XXIX e va sino al XXXVI, comprendendo la Morte di Beatrice e le Rime dolorose (§. XXXII), da lui composte dopo che ebbe perduto il primo diletto dell'anima sua (Convit. 11, 13). Assegna, innanzi tutto, il poeta le ragioni per le quali ei non tratterà della partita di Beatrice dal secolo (§. XXIX): e dimostrato in quali mistiche relazioni stesse l'amata donna col perfetto numero nove (§. xxx), prende altra nuova materia (§. xxx1), e celebra la morta fanciulla (§. xxxII), prima per sfogo del proprio dolore, poi anche a richiesta del fratello stesso della defunta (§. XXXIII-XXXIV). Nell' annovale di lei (9 Giugno 1291) ne disegna il volto, e ne ricorda anche la memoria in rima (§. xxxv), ponendo con ciò termine alla terza parte, che racchiude fatti e pensieri della vita di Dante dal Giugno del 1290 al Giugno del 1292, cioè dal venticinquesimo al ventisettesimo anno.

La Quarta Parte è quasi, se così fosse lecito esprimersi, un intermezzo nel bel dramma degli amori giovanili di Dante, e si potrebbe intitolare dall'Amore e dalle Rime per la donna gentile che mostrava impietosirsi de' suoi martìri. Comprendonsi qui i paragrafi dal xxxvI al XL: e prima viene in scena la donna giovane e bella molto, ed è la

settima che si rammemora nel libro, riferendo come essa apparve al poeta (§. xxxvi), come ei prendessse piacere a vederla (§. xxxvII), e come poi cominciasse a rimproverarsi di questa vaghezza degli occhi (§. XXXVIII) e seco stesso battagliasse per vincere la novella propensione (XXXIX). Quest'amore nacque alquanto tempo (§. xXXXVI) dopo l'annovale di Beatrice (9 Giugno 1291): e confrontando ciò ch'ei scrisse nel Convito (1, 2), che, cioè, la stella di Venere due fiate era rivolta... appresso lo trapassamento di quella Beatrice beata... quando quella donna gentile, di cui feci menzione nella fine della Vita Nuova, apparve primamente accompagnata d'Amore agli occhi miei, e prese alcuno luogo nella mia mente, avremo, secondo i calcoli del Lubin (1) due anni precisi, ossia il Giugno 1292. Ma poichè Dante nel Convito, laddove si studia di immedesimare la gentil donna con la Filosofia immaginata come donna gentile, dice che in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciò tanto a sentire della sua dolcezza, che il suo amore (per la Filosofia) cacciava e distruggeva ogni altro pensiero (2), aggiungendo al Giugno 1292 altri trenta mesi, arriveremo alla fin del 1294. Qui troviamo nella V. N. una lacuna da riempirsi colle rime filosofiche del Convito, cominciando dalla Canzone: Voi che intendendo il terzo ciel movete, composta verso il Decembre di quello stesso 1294 (3), per giungere sino al 1299. E così in questa quarta parte si narrano fatti e pensieri della vita di Dante dal 1292 al 99, cioè dal ventisettesimo al trentaquattresimo anno.

Ma dopo questo vaneggiamento d'amore nella donna gentile, e dopo gli studi filosofici e le rime morali, abbiamo il Riaccendimento dell' amore per l'estinta Beatrice, che forma l'argomento della Parte Quinta. La quale comincia con una visione, ed è la terza del libro (§. XL), alla quale succedono il racconto del passaggio dei Romei sotto le case dei Portinari verso porta S. Piero, e i sonetti che a quelli rivolge il poeta invitandoli a piangere seco (§. XLI). Si narra quindi come due donne gentili, e sono l'ottava e la nona introdotte nel libro, preghino Dante di comunicar loro le sue rime d'amore e di dolore (§. XLII). Or è noto come il tempo che molta gente andava a Roma per vedere la Veronica nostra, fosse il 1300 (4). È probabile che le prime frotte dei romei fossero quelle che più colpirono l'immaginazione di Dante, per la novità del caso: onde saremmo in questo punto della V. N. ai primi del detto anno. E così la parte quinta comprenderebbe i casi e i pensieri di Dante dal trentaquattresimo al principiare del trentacinquesimo anno (1299-1300).

() Opusc. cit. p. 22.

(') Conv. II, 13.

(3) LUBIN, op. cit. p. 23.

(*) VILLANI, VIII, 36. La Bolla di Bonifacio vi è datata

VIII Kal. martii: ma si sa che i romei avevano già cominciato ad affluire dal Natale dell'anno precedente, e che nel gennajo e febbraio si ebbe un prodigioso concorso di pellegrini in Roma (MURATORI ad ann.) » V. anche RAYNALDUS ad ann.

Un breve paragrafo (§. XLIII), non maggiore del Proemio, al quale in certo modo corrisponde, forma la Conclusione di tutta l'operetta, e perciò la Sesta Parte nella quale l'abbiamo divisa. In esso si riferisce quella quarta ed ultima visione, che per noi è una cosa stessa con quella della Divina Commedia; e Dante vi narra ch' ei vide cose, che gli fecero proporre di non dir più di quella benedetta, infintantcchè non potesse più degnamente trattare di lei. (').

La Vita Nuova è messa insieme di Rime, Narrazione e Chiose. Le Rime è certo che furono scritte via via dal 1283 al 1300. La Narrazione fu cominciata a scrivere, per illustrazione delle Rime, dopo la morte di Beatrice, dacchè a questo doloroso fatto l'autore accenna fin dal principio (§. 1), a proposito del significato della prima visione, e delle risposte avute dai fedeli d' Amore. Forse nel primitivo concetto, la V. N. doveva essere il monumento inalzato a Beatrice dal superstite amore del poeta: se non che, a terminarla e rivolgere altrove il pensiero, dovette persuaderlo quella visione, che chiude un poco bruscamente l'operetta, e nella quale gli balenò la certezza che ei potrebbe dir di lei quello che mai non fu detto d' alcuna. Le Chiose poi si direbbero compilate quando già il libro era tutto composto, e perfetto omai nelle altre sue parti; e così si spiegherebbe come alcuni testi, anche autorevoli, ne difettino, e come in altri la parte narrativa e la dichiarativa si usurpino a vicenda parole e frasi: indizio probabile che l'autore riponesse le mani all'opera, quando già era uscita una prima volta senza quelle. Il che ritenendo noi, abbiamo cercato di ben distinguere ciò che appartenesse al testo e ciò che fosse da porsi nelle rubriche, attendendo che un più minuto raffronto di tutti i codici confermi le nostre supposizioni. Ad ogni modo, ci sembra da tenere per certo che la V. N. sia stata ordinata

(') Il Prof. WITTE propone una divisione della V. N. in sette parti. La prima narra l'innamoramento di Dante (SS. I-IV); la seconda, il timore che il suo segreto si scoprisse e gli artifizi posti in opera per tenerlo celato (Iv-x); la terza, l' aperta manifestazione dell' amore ed i patimenti da questo prodotti (x-XVII); la quarta, risponde a quello stato dell' animo in cui la contemplazione estatica delle perfezioni di Beatrice paiono al poeta unica vera e adeguata ricompensa all'affetto; e insieme vi si inframmette, a guisa d'episodio, il presentimento della morte dell' amata donna (XVII-XXIX); di questa morte tratta la quinta parte (XXIX-XXXVI); la sesta dell'amorevole compassione della donna pietosa e dei dubbi che suscita nel cuore del poeta (XXXVI-XL); la settima ed ultima del trionfo finale del primiero affetto (XL-XLIII). Per comodo dei lettori abbiamo voluto indicare i capitoli a cui risponde ciascuna delle parti distinte dal dotto alemanno: ma, per essere scrupolosamente fedeli, noteremo che le divisioni sue

accennano più specialmente alle Rime, che vengono a questo modo distribuite: 1. Son. 1. 11. Son. 2-5 - III. Ball. 1, Son. 6-9 IV. Canz. 1-3, Son. 10-16 - v. Canz. 4-5, Son. 17-18 - VI. Son. 19-22 VII. Son. 23-24. (V. op. cit. pag. 4). Di queste sette parti il WITTE reputa le prime cinque già compiute, o poco meno, intorno al 1291, le altre due aggiunte più tardi, in guisa da condurci fino al punto onde avrà poi a muovere la Divina Commedia, ossia all'anno 1300.

Anche l'ORLANDINI nel suo Discorso sulla V. N. (Dante e il suo secolo, Firenze, Cellini, 1866, pag. 387) ne propose una divisione in sei stadj o periodi», dei quali il primo parrebbe comprendere i §§. 1-11, il secondo i §§. III-XIII, il terzo i §§. XIV-XXI, il quarto i §§. XXII-XXVIII, il quinto i §§. XXIX-XXXV, il sesto dal xxxvI alla fine.

Il lettore vorrà da per sè giudicare se abbiamo rettamente modificato le divisioni dei due chiarissimi dantisti che in tal partizione ci hanno preceduto.

nelle sue parti essenziali, di Rime, cioè, e di Narrazione, in assai breve spazio di tempo, e non molto più tardi dell' ultima visione: la quale se è, come non dubitiamo, una cosa stessa con quella avuta nel mezzo del cammin della vita, ci condurrebbe alla primavera del 1300 (1). E tanto più devesi questo ammettere, in quanto, come osserva giustamente il Prof. Lubin (2), la V. N. è dedicata al Cavalcanti (§. xxxI.), e ciò dovette ragionevolmente accadere prima del priorato di Dante, che, ad attutire le ire di parte, esiliò l'amico a Sarzana, donde questi non fece ritorno che verso la fine del 1300, per morire di morbo contratto durante la relegazione (3). Ora il priorato di Dante fu dal 15 Giugno al 15 Agosto, nè il grave ufficio gli poteva certo permettere di porre il suo tempo a questa scrittura d'amore: sicchè tanto più appare che l' opera fosse condotta a termine, e mandata all'amico non ancora esulante, dopo la visione e prima del priorato: cioè tra l'Aprile ed il Giugno del 1300, in quel mese appunto che col ritorno delle feste tradizionali gli ricordava anche il primo incontro coll' amata fanciulla.

Il lettore avrà forse notato che non abbiamo voluto perderci in una ricerca che stimiamo infeconda, circa il preciso significato del noto passo in che Dante parla della V. N. e del Convito: e io in quella dinanzi alla entrata della mia gioventude parlai, e in questa di poi quella già trapassata (Conv. 1, 1). Noi pensiamo col Lubin cotesta sentenza andar « soggetta a due questioni di grammatica, una delle quali è grammaticalmente insolubile (*)»: opinione alla quale consuona anche ciò che scrive in proposito il Selmi, non aversi cioè « argomento di grammatica nè induzioni di consuctudine nella prosa di Dante, che possano condurre a collegare il quella in modo certo, assoluto ed irrefragabile, piuttosto ad entrata che a gioventù (5) ». Cosicchè, « visto che la grammatica non ci scioglierebbe il nodo (6) » anche noi abbiamo avuto ricorso ad altri argomenti, desunti dal libro stesso, per accertar l'anno in che la V. N. dovette giungere al suo total compimento.

Resta adesso a dir di altre cure che ponemmo a questa edizione. La precede il nostro studio sopra la Beatrice di Dante, letto primamente il 19 Aprile del 1866 in Firenze alla Società delle Letture scientifiche e letterarie, stampato poi in Pisa nel Maggio dello stesso anno, per l'occasione del Centenario, ed ora riprodotto con qualche

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aggiunta e qualche correzione. Seguono il testo alcune illustrazioni, nostre in parte o da noi raccolte: le più, e sono quelle distinte con asterisco, dovute all'amicizia e alla dottrina del Prof. Giosuè Carducci, che non ringraziamo, perchè lo studioso vorrà egli stesso mostrarsi grato all' autore di sì bel fregio aggiunto a questa nostra edizione.

Alla quale, finalmente, è nostro desiderio e speranza che non paia inutile ornamento la fotografia che vi preponiamo di un quadro nel quale Vito, fratel nostro, immaginava, come ne disse un poeta gentile testè defunto (1), il giovanetto Dante Nel dì che Beatrice lo saluta. Il quadro, che ebbe già il premio della medaglia d'oro alla Esposizione Italiana di Firenze nel 1861, è posseduto presentemente dal sig. Conte Michele Corinaldi di Padova, che gentile com' è, ci concesse di trarne la copia fotografica che è qui riprodotta.

Pisa, Decembre, 1872

ALESSANDRO D' ANCONA.

() LUIGI MERCANTINI, Simoncello, novella, canto 1.o

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