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nascita di Dante, ne trae la conseguenza che però appare questo innamoramento sia finto, e ciò che ne dice si dea intendere allegoricamente. Così il difetto di ragionevole interpretazione letterale e storica, lo trae di necessità alla spiegazione allegorica; e dal confessare ch' ei fa poco appresso: questo pensieri m'abbo fatto per cagione solamente de' nomi, si vede ch' egli ignorava la esistenza della Portinari, che non conosceva l'esplicita testimonianza del Boccaccio, e che solo per trovare una Beatrice storica, facea ricorso alla figlia dell'Imperador di Costantinopoli, la quale a lui e al suo pisano uditorio era notissima, perchè morta e sepolta in Pisa (1). Ma poi, naturalmente non soddisfatto di questo pensieri fatto solamente per cagione de' nomi, Messer Francesco si prova ad una interpretazione allegorica, e scuopre in Beatrice il simbolo della Teologia, della quale il nostro autore si innamorò in fin ch'elli era fanciullo o vero garzone; e però finge ch'ella fusse giovanetta, imperò che puerilmente la studiava e la intendeva: e poi finge che la santa donna morisse, cioè che cresciuto lo intendimento a lui, sicchè intendea già le cose grande, a lui venne meno lo desiderio di tale studio, e questo fu lo morire e partirsi di questo mondo, imperocchè si parti della fantasia sua occupata da'beni ingannevoli del mondo, ma non sì che sempre non sentisse nella mente sua un grande desiderio di ritornare ad essa ed amarla ferventissimamente (). Qui ogni parola vorrebbe una confutazione, benchè più d'una si confuti da se stessa; ma procederemo oltre, chè la via lunga ne sospinge.

(4) .... Moritte a Pisa.... e sotterrossi nella tomba che è ora ne la mura de la chiesa maggiore pisana inverso lo campanile ». E ricordo che non son molti anni, un Cicerone del Camposanto pisano perpetuava ancora la strana confusione fatta dal Buti, mostrando il monumento della Contessa Beatrice come contenente le ceneri della amata di Dante.

(2) Alcuni fra gli antichi commentatori danno, come è noto, la preferenza all' interpretazione mistica nell'esporre i simboli della D. C., e quindi ritrovano in Beatrice, la Teologia o altra consimile significazione. Il BUTI, Inf. II, (pag. 65, ed. Nistri): «Per questa che Dante figura qui donna, e che di sotto la nomina Beatrice, allegoricamente si dee intendere la sacra Teologia, la quale accompagnante con la grazia cooperante e consumante, beatifica l'uomo, ammaestrandolo a conoscere et amare Iddio, la quale qualunque uomo perfettamente conosce, quanto è possibile all'umana specie, sì l' ama perfettamente, e amandola perfettamente è beato in questa vita per grazia,

e nell'altra per gloria, e però ben li si conviene questo nome Beatrice, imperocchè molti sono stati già grandi teologi che sono stati dannati e non beatificati. E Beatrice si dice perchè beatifica ecc. » E PIETRO DI DANTE (p. 512, ed. Vernon): « Autor vult figurare quod jam dilexit studium theologiae, et in eo postea cessarit ... De quo Beatrix, idest scientia theologiae, in eo et in suo pectore reprehendit eum. Ideo.... vocatur ab ipsa Theologia nomine proprio, quia prout nominatus erat auctor Dantes, ita dabat sive dedit se ad diversa: scilicet primo ad Theologiam, secundo ad poetica ». E JACOPO (p. 9, ed. Vernon ): «Beatrice, dicendo la qual per tutto questo libro la divina scritura s'intende, sicome perfetta e beata ». Le CHIOSE SOPRA DANTE (p. 21, ed. Vernon ): « E per Beatrice dei intendere la santa teologia nella quale Dante istudio ». I LANA (Vol. II, p. 320, ed. Scarabelli): «Beatrice la qual figura teologia ». Altri però non tacciono che nel senso litterale, Beatrice è l'amata di Dante: L'OTTIMO (Purg. xxx, Proem. vol. II,

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Giovan Mario Filelfo (1), posta la massima degnissima di un retore, che i poeti molte cose fingono per solo esercizio di stile (exercendi ingenii gratia), volle recarne prova spiegando Dante, e vide in Beatrice una favolosa Pandora arricchita dall' Alighieri di ogni corporea ed intellettuale bellezza, e da lui formata ed immaginata a quel modo, come oggetto e termine di poetico culto. Pel Filelfo adunque la poesia erotica di colui che cantò: Io mi son un che quando Amore spira, noto; ed a quel modo Ch'ei detta dentro, vò significando, sarebbe mero esercizio di stile; e la donna celebrata nel verso, nome senza soggetto, inventato da Dante per comodo, al solo scopo di illudere se stesso con artificioso entusiasmo, e 'l lettore con falsa apparenza di verità. Che si pensassero e scrivessero queste cose in tempi ne' quali la crescente corruzione del costume aveva inaridito e svigorito gli affetti forti e gentili, e la poesia era tenuta come imitazione

p. 525, ed. Torri ): « Introduce qui Beatrice, la quale pone per la teologica scienza.... E più laicamente si potrebbono sporre a lettera le parole di Beatrice, prendendo lei semplicemente per quella madonna Beatrice, ch'egli amò con pura benivolenza, siccome mostra nelle sue Canzoni e nella sua Vita Nuova, la quale, partita dal mortal corpo, tosto dimenticò, ed amò quella per la quale disse: Io mi son pargoletta bella e nova ». E al verso Alcun tempo il sostenni (p. 539): « E questa lettera ha due sposizioni: l'una puoi riferire ch'ella parli di Beatrice in quanto ella fu tra' mortali corporalmente, che aveano tanta forza le sue bellezze in Dante, che toglievano di lui ogni malo pensiero, e inducevano e cercavano ogni pensiero buono, secondo che appare in sue Canzoni e in suoi Sonetti, e ancora di Messer Cino da Pistoja dov'elli disse di lei; e qui cadrebbe una lunga dimostrazione, la quale per brevitade è da lasciare: l'altra è da referire a spirito ed intelletto, che l'autore incominciando lo studio di teologia infino da fanciullo, al quale era ottimamente abituato, come dice cap. XV Infern. quivi « Veggendo il cielo a te cosi benigno ec.» che questo studio per più tempo il sostenne e difese da non cadere nelle lascivie e viziositadi del secolo ». L'ANONIMO RICCARDIANO (Vol. I, 42, ed. Fanfani): « Chi fosse Beatrice è da sapere che nella verità questa fu una donna da Firenze, la quale Dante amò in sua gioventù con grande affezione, et fece per lei molte cose in rima, canzon morali et ballate. Fu questa giovane figliuola di Folco Portinari et moglie di Messer Simone de' Bardi: ma allegoricamente s'intende per questa Beatrice la santa Teologia ». E anche

più sotto (p. 51): « Amò costei xvi anni, come egli racconta nella sua Vita Nuova, però che quando ella morì aveva ella xxIII anni et egli XXV, et questo chiarisce egli nel Purgatorio, dov'egli dice ch'era stato dieci anni senza vedere Beatrice: però che l'autore cominciò questo suo libro i xxxv anni. Egli amò questa Beatrice con grande affetto. Ancora allegoricamente s' intende per Beatrice la Teologia ». L'ANONIMO del Vernon (p. 31): « Questa donna si fu Beatricie, e come è detto a dietro, parla di lei Dante; avegna che fosse una donna di cui esso Dante già sentì amore, ora ne parla in questo libro per quella vertù che fa beate le cose ». Il testo laurenz. citato dal Selmi (p. 11) legge invece: « E come è detto a dietro là dove Dante parla di Biatrice, avvegnachè fosse una donna fiorentina, non è Biatrice di cui Dante sentì già corale amore: egli ne parla qui pure per quella virtù che fa biate le cose ». Il BOCCACCIO, finalmente (ed. Moutier, 1, 143) scrive: « Apparisce in più luoghi in questo volume, Beatrice essere stata una gentildonna fiorentina, la quale l'autore onestamente amò molto tempo... E perciocchè questa è la primiera volta che di questa donna nel presente libro si fa menzione, non pare indegna cosa alquanto manifestare, di cui l'autore in alcune parti della presente opera intenda, nominando lei, conciosiacosache non sempre di lei allegoricamente favelli. Fu dunque questa donna, secondo la relazione di fede degna di persona la quale la conobbe, e fu per consanguineità strettissima a lei, figliuola di un valente uomo chiamato Folco Portinari >>.

(1) Vita D. A., pag. 20, Flor., 1828.

ed arte di far versi sopra illustri esempj, di leggieri si comprende. E si comprende anche, come non potendo immaginare l'indole propria dell'affetto di Dante, venisse il Filelfo a quest' altra prova contro la esistenza di Beatrice, almeno contro la veracità dell' affetto descritto dall' Alighieri: Nessuno, egli argomenta, fu più incorrotto, più innocente e più moderato di Dante; possiam dunque manifestamente congetturare esser egli stato amico soltanto della onestà e della virtù, imperocchè coloro che veggono il sommo bene soltanto nella gloria immortale, non si pongono sotto l'imperio delle voluttà che ci conducono in rovina. Bellissima sentenza! Se non che, da qual verso, da quale immagine, da qual parola avrebbe potuto il Filelfo dedurre che Dante abbia trattato amori profani e voluttuosi? quale indizio storico o tradizionale poteva fargli confondere la casta fanciulla fiorentina con le Lesbie, con le Corinne, con le Cinzie e le Delie dei suoi prediletti poeti latini? (').

Circa alla interpretazione data da Gabriele Rossetti dirò poche parole, dacchè mio disegno non è tanto di negare e combattere le speciali significazioni allegoriche alle quali vuolsi accomodare il nome di Beatrice, quanto di negare e combattere il sistema di farne una astrazione, un simbolo senza entità reale, sia esso filosofico o politico. Dappoichè, quando si disconosce l'amore di Dante e la esistenza storica di Beatrice, tanto vale una spiegazione morale, quanto una d'altra natura: chè in un modo e nell' altro si giunge sempre a quest' ultimo punto comune, di negare, cioè, la ispirazione che vien dall' affetto, negando a Dante, giovane di venticinque anni e poeta, quei sentimenti che si concedono, non dirò ad altri poeti, ma a tutti quanti gli uomini.

Pel Rossetti, adunque, non solo la Vita Nuova e la Commedia, ma tutta la nostra antica letteratura, non è altro che perpetuo simbolismo e linguaggio settario. E non solamente i poeti, ma anche i prosatori di cotesta età, vanno intesi altrimenti da quello che suona la parola nel suo proprio e comune significato. Liriche, poemi, novelle del dugento e del trecento non sono opere ispirate dall'arte, ma meditata combinazione e faticoso accozzamento di parole e di forme con speciale senso allegorico; la chiave del quale, ritrovata ai dì nostri dal Rossetti,

(4) Dalla volgare schiera dei BISCIONI, dei FILELFI e loro pari, va sceverato e posto in loco distinto l'illustre e a me carissimo Prof. CENTOFANTI, unico tra i fautori del sistema allegorico che della Beatrice e della Vita Nuova abbia dato una interpretazione degna, comunque voglia giudicarsene la intrinseca bontà, di Dante filosofo e poeta. È da dolersi però che il sistema del CENTOFANTI non sia noto che per una Lezione ultima sulla V. N. (Padova, 1845) dalla quale si scorgono soltanto i capitali concetti del suo metodo

interpretativo, sicchè sia difficile giudicar questo in tutti i particolari, e apprezzare il modo col quale sono superate le maggiori difficoltà che contrastano alla spiegazione allegorica. Io sono ben persuaso della realtà storica di Beatrice e della verità dell' amore di Dante; ma se la mia voce potesse avere autorità alcuna presso il CENTOFANTI, io vorrei dirgli che la compiuta esposizione delle sue idee in questo nostro proposito, sarebbe utilissima agli studj danteschi ed alle lettere italiane.

era in allora posseduta soltanto da taluni adepti. Dopo la strage degli Albigesi, la caduta degli Svevi e il sormontare di parte guelfa in tutta Italia, fu necessario ai Ghibellini, secondo pensa il Rossetti, l' adoperare codesto linguaggio di convenzione; nel quale anche la parola Beatrice ha un suo proprio valore datole da Dante, che sostituì questa alla forma generica di donna o madonna, per significare con essa la Monarchia Imperiale, in contrapposto di suono e di senso con Meretrice che designava la Corte di Roma.

Molto corredo di erudizione storica e filosofica ha ultimamente raccolto il sig. Francesco Perez per venire a concludere che la donna celebrata da Dante, non « altro può essere se non la intelligenza attiva, illuminatrice dell'intelletto possibile che, unendosi a quello, si fa beatrice beata (1) ». Non a tutti crediamo, questa affermazione sembrerà di «matematica evidenza »: e non che a quanti ascoltino per la prima volta il nuovo responso, neppur a coloro stessi i quali abbiano seguitato l'autore nel suo faticoso cammino a traverso le età dei Padri e degli Scolastici, fra i neoplatonici di Alessandria e i filosofi arabi dell' Oriente e della Spagna. Nè noi negheremo che il simbolismo prevalesse nell'età di mezzo, e si estendesse ad ogni genere di discipline e ad ogni forma di artistica o dottrinale manifestazione; neghiamo bensì che il significato simbolico distruggesse al tutto la espressione letterale e la reale sembianza degli obbietti ai quali si sovrapponeva, e senza cui, anzi, non poteva sussistere. Certo, vuolsi, secondo le dottrine dell' età media, chiaramente espresse da Agostino, « anteporre il senso recondito al letterale, come l'anima al corpo (2)»; ma ciò non vuol dire che l' uno, sebbene abbassato e diminuito di pregio, venisse dall'altro interamente annullato e Dante stesso nel Convito esplicitamente professa che « sempre lo litterale dee andare innanzi, siccome quello nella cui sentenza gli altri sono inchiusi; e massimamente all' allegorico è impossibile, perocchè in ciascuna cosa che ha 'l di dentro e 'l di fuori, è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di fuori (3) ». Or noi concederemmo che Beatrice allegoricamente raffiguri l'Intelligenza attiva o Sapienza (*), sebbene ci paia poco conforme all' alto ingegno e alla virtù plastica del poeta, ch' egli abbia talmente nascosto e involuto il suo concetto da volerci seicent' anni prima che altri lo ponesse in luce: ma non possiamo punto concordare col Perez quando egli non appoggia il simbolo a nulla di reale e di vivente, e, pretendendo che Beatrice sia designazione di qualità, vuol che cotesto nome si abbia a scrivere col b piccolo (5). Secondo il nostro autore, adunque, Beatrice vuol dire che bea, al modo stesso come donna vuol significare che signoreggia,

(1) La Beatrice svelata, Palermo, 1866,

p. 196.

(2) PEREZ, op. cit., p. 31.

(3) Convito, II, 1. Ma vedi tutto questo ca

pitolo rilevantissimo, per ben conoscere il senso

e l'uso dell' allegoria nelle opere di Dante.
(4) PEREZ, op. cit., p. 217.
(5) ID. id., p. 81.

predomina. Or questo fondamento di tutta la teorica del Perez, standosi tutto sopra una lettera minuscola anzi che majuscola, può parer facilmente infido e puerile; ma certo è che nelle opere di Dante molte volte, anzi il più delle volte, coteste due parole hanno un senso ben definito, e appellano a persona di questo secolo e a femmina vivente. Ed ei può bene nel sunto che dà della Vita Nuova chiamar sempre l'amata di Dante « la beatrice (1) »: ma il fatto è che essa appar donna e non personificazione nella maggior parte dei luoghi ove di lei è fatta parola (2); e che resterebbe sempre a sapere che voglia dire allegoricamente l'altro nome di Bice (3) che sì di sovente vien dato dal poeta all'amata sua.

Povera Beatrice! A dir del Filelfo, essa non è altro che un vano obietto di finti amori: secondo il Biscioni non è al più che una vicina di casa del poeta: al Rossetti serve soltanto per far contrapposto col suo nome gentile, all'infamato nome del vizio e della corruzione, e il Perez, la condanna, senz'altro, alla maxima capitis diminutio! (')

Esposte brevemente e senza entrare in minute confutazioni, le varie sentenze dei contradittori, intendo proporre sul tanto disputato argomento una opinione, la quale, o io mi inganno, nuova mi sembra, non già nella conclusione finale, ma nel metodo tenuto affin di giungere a conciliare le molte difficoltà del problema. E mentre fino ad ora i seguaci del sistema storico negarono ogni valore alle conclusioni dei propugnatori del metodo allegorico, e gli ultimi dal canto loro, disconobbero in tutto le testimonianze e le argomentazioni dei primi, io invece vorrei raccogliere dall'un sistema e dall'altro e mettere in accordo ed in armonia, quel che ciascuno ha in sè di buono e di vero. Ma non sì ch' io aderisca alla sentenza di coloro i quali, tenendo il mezzo e volendo giungere appunto alla conciliazione delle molte difficoltà, pensarono due essere le significazioni, forse fortuitamente e fors' anco pensatamente, accolte da Dante nel nome di Beatrice (5). Aver lui, cioè, amato di vero affetto ne' suoi primi anni, la

(1) ID. id., pag. 81 e segg.

(2) Io vidi monna Vanna e Monna Bice (V. N. p. 35, §. XXIV) Di tutto me pur per B e per ice (Purg. VII, 14).

(3) Potrebbesi fors' anco ammettere col PEREZ che il nome di Beatrice sia appellativo di virtù in alcuni passi: per es.: la gentilissima Beatrice (V. N. p. 29. §. XXIII): questa gloriosa Beatrice (Id. p. 52. §. XL): Ella ha perduto la sua Beatrice (Id. p. 54. §. XLI): quella gloriosa Beatrice (Conv. II, 2 ): dove però nulla osta a che quel nome si prenda anche per appellativo di donna di questo mondo; ma certo non si piegano all'interpretazione del PEREZ questi altri

passi: Ita n'è Beatrice in l'alto cielo (V. N. p. 42. §. XXXII): Chiamo Beatrice e dico: or se'tu morta (Id. p. 43. §. xxx11): Perocchè spesso ricorda Beatrice (Id. p. 55. §. XLI); quella viva Beatrice beata (Conv. II, 9) ec.

(4) Vi è perfino chi è giunto a scrivere: «< 0 il più mendace o il più scellerato ipocrita della terra sarebbe Dante se, Beatrice nella V. N. non fosse un allegoria ». Risparmiamo al lettore la dimostrazione del terribile dilemma!

(5) Hoc autem fuit certissimum pronosticum et augurium futuri amoris quem habiturus erat ad Beatricem sacram, ad quam erat pronus a natura. BENV. IMOL.

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