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Beatrice Portinari; ma dopo questa passione giovanile e dopo che la morte gli ebbe tolta l'amata donzella, esser sorto più ardente nell'animo suo l'intellettuale culto della Sapienza, chiamata da lui col nome di Beatrice, vuoi per dolce memoria della perduta fanciulla, vuoi perchè la Sapienza è colei che sola beatifica l'uomo; cosicchè collo stesso vocabolo, si designerebbero da Dante una donna reale ed una donna ideale, congiunte nel nome ma nell'esser loro distinte e diverse. Or io vorrei provarmi a sciogliere quest' antico problema per mezzo di uno studio psicologico su Dante; e per tal modo dimostrare come una sola (1) è la Beatrice a cui il poeta consacrò l'affetto e il verso: e come essa, nelle varie opere di lui, è donna, personificazione e simbolo, per successivo innalzamento e progrediente purificazione dell'amore. Dappoichè invero non vi ha quasi un momento nella Vita Nuova in cui Beatrice sia soltanto una vaga giovanetta, una creatura mortale al pari di tante altre: al modo stesso come, e converso, non vi ha un momento nella Divina Commedia nel quale colei che siede accanto a Maria nell' empireo cielo, non sia anche la leggiadra figlia di Folco Portinari, la pargoletta (2) per cui Dante sospirò e scrisse nell' età giovanile.

II.

Comincio questo studio dalla Vita Nuova e dalle Liriche del nostro poeta. La Vita Nuova fu scritta da Dante quando ei giunse alla metà del cammino della vita, nè ancora si trovava involto nelle pubbliche faccende e nelle brighe partigiane che gli fruttarono i lunghi dolori dell' esilio: ed unici affetti del cuor suo erano una santa memoria e il culto della poesia. La Vita Nuova è un appassionato racconto dove si ricordano da Dante, quali erano scritti nel libro della memoria (3), i forti moti e i dolci pensieri che Amore suscitavagli in seno alla vista della vaga donzella: è una candida e melanconica storia di affetti profondi; una ingenua e piena confessione di ciò che v'era di più intimo e segreto nel cuore dell' amante. Ma un presentimento funesto della vanità della vita umana, un aura quasi di morte penetra e si aggira per entro a questa gentile narrazione d'amore, e la cinge di tristezza, dalla prima visione in che al poeta apparisce Amore che, tenendo in braccio Beatrice avvolta in un drappo

(1) II DIONISI, Preparaz., pag. 72 dimanda: «E come può essere che due donne (Beatrice e la Sapienza) così diverse, sieno divenute quasi una sola? Io mi dispenserò con destrezza da tale istanza, rimettendo l'interrogante studioso a richiederne la soluzione allo stesso poeta ». A tale dimanda,

risolta con destrezza dal Dionisi, vorremmo appunto rispondere con questo studio critico-psicologico.

(2) Ball: Io mi son pargoletia: e Son. Chi guarderà giammai ec.

(3) V. N. pag. 1 (§. 1.)

sanguigno, la porta verso il cielo ('), fino all'ultima parola colla quale, avveratasi la profezia funesta, si prenunzia l'apoteosi. In questa prosa semipoetica e di soavi poesie tutta quanta cosparsa, è ritratta insomma una vita intera di affetti, di speranze, di timori, espressi col linguaggio della passione, che è linguaggio del vero: e chi sa per prova che sia un amore alto, gentile, ma sfortunato, quegli sentirà meglio come questa sia storia verace. Ma chi poi voglia ostinarsi a trovar da per tutto simboli ed allegorie, bisogna pure che disconosca e neghi l'indole veramente drammatica di questo libro, nel quale la parte prosastica non è semplice commento, ma animata e vivace esposizione delle occasioni storiche di ciascun sonetto e di ciascuna canzone. Ogni componimento poetico infatti è quasi sostanziale episodio di più ampio dramma che si svolge nel cuore di Dante, e si riflette di fuori nelle due forme appropriate di verso e di prosa. Che se l'affetto di Dante fosse stato invece rivolto alla Filosofia, esso, per quanto intenso, avrebbe dovuto esser placido e calmo per la natura sua propria e per quella dell'oggetto amato; e tutti quei particolari di fatto, tutte quelle descrizioni di scene reali, tutta insomma la parte narrativa sarebbe o menzogna o inutile sforzo d'ingegno. Ed è noto come volendo interpetrare allegoricamente quei fatti, che hanno vero valore e reale importanza sol quando si intendano a lettera, i commentatori sieno molte volte caduti nelle sottigliezze e nel ridicolo (2). E ad ogni modo del metodo adoperato da Dante per esporre filosoficamente i proprii versi, rimane un saggio nelle prose del Convito, ove alla vivace narrazione drammatica, si sostituisce l'austero argomentare dello scolastico e il freddo discutere del moralista.

Nè a riconoscere nella Vita Nuova un racconto di fatti reali può opporsi la forma speciale adoperata di preferenza dal poeta. Non si può ragionevolmente negare che la Vita Nuova sia racconto di amore vero verso una donna vivente, sol perchè la forma abbia alquanto del mistico, e vi abbia sì gran copia di estasi e di visioni. Imperocchè ciò deriva dalla natura propria della mente di Dante. Ed egli che, negli anni suoi più tardi descrisse l'universo immaginando una visione, e narrolla altrui con mirabile magistero di allegorie e di simboli, ben poteva negli anni suoi giovanili, quando più fresca e vigorosa era la fantasia, descriver la storia dell'amor suo con visioni, allegorie e simboli. Polisensa è la Commedia perchè la mente stessa del poeta era polisensa; chè il suo ingegno

(4) V. N. p. 4 (§. 1): « Lo verace giudicio del detto sogno non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifesto alli più semplici ».

(2) Ripeterò quì alcune fra le dimande fatte dal TORRI ai fautori del sistema allegorico: Se Beatrice è la filosofia o una idea politica, che significa il farla nascere in Firenze? chi è la

compagna di lei morta in giovane età? chi è il padre di essa, di cui pur si racconta nella V. N. la morte ? e la morte stessa di lei che significa? E vi sarebbero da far anche altre dimande. So bene che i fautori dell' allegoria cercano di superare il meglio che possono queste difficoltà: ma lo fanno eglino sempre in modo da soddisfare il lettore ?

concepiva e significava le cose nella pienezza dell'esser loro, e in tutti gli aspetti e le relazioni di che sono capaci. Mistica e comtemplativa è la Vita Nuova, perchè cosiffatta era pure la mente di Dante; e perchè l'affetto, come egli lo chiama, novissimo ('), fuori cioè d'ogni consuetudine ed abito umano, non soffriva di esser espresso colle forme adoperate prima di lui da altri poeti, a significare sentimenti men puri e gentili dei suoi. Di quì un grande ostacolo a ben intendere questo amore, del quale, noi, uomini moderni, possiamo non difficilmente discernere le varie vicende e i fenomeni, ma non agevolmente conoscerne la propria natura, se non ricostruendo, direi quasi, per forza di intelletto e di fantasia, la figura individua del poeta, e ponendola in quei tempi che furono veramente la gioventù serena, immaginosa e poetica la Vita Nuova della schiatta italiana (2).

Del resto, l'Allegoria è forma nella quale naturalmente si adagiava un intelletto avvezzo per propria indole, a riconoscere e cogliere i nessi, le rassomiglianze, le attinenze intime che le cose han fra loro nell'aspetto attuale e nella essenza ideale. E così anco le Visioni, delle quali è cosparsa la Vita Nuova, non sono nè sogni volgari nè allucinazioni di infermo, ma rapimenti estatici con assoluto distacco dai sensi (3), in cui l'anima si sublimava, facendosi scala della meditazione profonda alla ideale contemplazione. Ma nè l'Allegoria nè la Visione sono per Dante, spediente o, se vuolsi, forma studiata di arte; sono, invece, modo proprio, naturale e spontaneo di considerare, e di rappresentare poi le cose, derivante dalla tempra speciale dell'animo e dell'intelletto del poeta.

La Vita Nuova adunque, col mezzo principalmente delle forme sopra ricordate, è la storia di un amore puro ed intenso verso una donna adorna di virtù e di bellezza, che indi a poco a poco diventa pel poeta amante la personificazione stessa della Bellezza perfetta (') e della somma Virtù (5).

Ma nella Vita Nuova debbonsi, per quanto a me sembra, distinguere tre diversi periodi e tre diverse manifestazioni dell' affetto. La gentile immagine di Beatrice pargoletta appare sul principio del racconto, attraendo l'attenzione di chi legge, fino al momento in che il bel fiore della gioventù di lei è reciso; e

(4) V. N. p. 19 (§. XVIII.)

(*) Acutamente osserva GINO CAPPONI a proposito di Beatrice: « Intorno ad essa noi disputiamo lite impossibile a risolvere, fatti incapaci come noi siamo a insieme congiungere e comprendere in un pensiero solo, la forma terrena ed una ideale bellezza, e ad innalzare l'affetto senza attenuarlo, svanito fuori d'ogni realtà, sì ch'esso divenga concetto sterile della mente..... Questo continuo trapassare che facevano gli animi più

elevati dalle sensibili alle astratte e di quì alle divine cose, fu la poesia di quell'età. (Lettera 3. al Capei sui Longobardi).

(3) Confr. Purg. XVII, 13-18.

(4) « Per esemplo di lei beltà si prova ». Canz. Donne che avete. p. 22 (§. XIX).

(5) « Distruggitrice di tutti i vizi, e reina delle virtù » V. N. p. 9 (§. x ) « Conciossia che.... questa donna fosse in altissimo grado di bontade ». V. N. p. 26 (§. XXII.)

benchè, dalla prima apparizione alla morte, vengano via via a farle corona i leggiadri volti di altre donzelle, nessuno di questi distoglie l'occhio da lei che sola campeggia nel quadro, diffondendo su tutte un raggio della sua vivida luce. Beatrice è sempre sino al fine della Vita Nuova, il personaggio principale di questo dramma di amore: è persona viva e reale che or gli si mostra nei ritrovi festivi (1) e per via (2) e nella casa paterna (3) ed in chiesa (), ed ora gli apparisce nei sogni affannosi dopo le fiere battaglie dei diversi pensieri (5): che talvolta gli si mostra benigna (6), tal altra scorucciata (7), e persino si burla donnescamente di lui (8); ma per ciò che spetta ai sentimenti ch'ella desta nel poeta e al modo col quale ei li significa, vi hanno nel libro alcune differenze che intendo brevemente.

notare.

Certo l'amore è sempre provato ed espresso da Dante in modo che sostanzialmente differisce da come l'avean descritto i poeti del paganesimo ed anco gli antecessori e contemporanei provenzali o italiani; ma pur nonostante, sul principio della Vita Nuova abbiamo la immagine di un affetto che, per quanto purissimo, ha radice e fondamento nella realtà della vita, e nasce dalla vista sensibile (9) dell'oggetto amato e per essa si mantiene, manifestandosi, come sempre accade in casi consimili, con pianti, tremori, brevi gioje, intenso desiderio, ardenti parole (1o). Ciò che Dante cerca in questo primo momento dell'amor suo è l'inchinar del capo e la parola cortese, è il saluto di Beatrice; ciò di che si duole, è la momentanea privazione del saluto stesso. Il suono della sua voce lo inebria (11): nel saluto sta tutta la sua beatitudine (12); ma se l'uno o l'altro gli vengono meno, egli bagna la terra d'amarissime lagrime e chiama Amore in ajuto del suo fedele (13). Poi l'affetto sempre più si purifica: diventa una adorazione spirituale della donna amata, un idoleggiamento contemplativo; e il fine dell'amore è la lode soltanto di Beatrice (14). Quando, in ultimo, l'affetto si converte, per la morte della bella fanciulla, in santa reminiscenza, quando alla vista è sostituita la memoria, allora noi arriviamo al terzo momento; e già nella fantasia del poeta comincia quella trasfigurazione di Beatrice che poi ci si mostra intera nella Divina Commedia. Nel primo momento, Beatrice è donna

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reale; nel secondo, è vivente personificazione; nel terzo, è simbolo animato in cui si uniscono e congiungono intimamente la donna e la personificazione. A quest'ultima meta già accennava di poter giungere, fino dal suo primo manifestarsi, l'amore di Dante per la Portinari: la morte rese possibile la glorificazione dell'oggetto amato, e questa fu compiuta pel sopravvivere della passione nel cuore dell' amatore, e pel lungo studio fatto affine di alzare a Beatrice imperituro monumento di lode. Così si ritrova quella unità di pensieri e di affetti che collega insieme fra loro tutte quante le opere di Dante: unità che risiede in una continua progressione ed in una purificazione continua del primo affetto, e si mantiene malgrado quelle deviazioni, di cui pur troveremo le tracce procedendo oltre in questo nostro studio psicologico.

Incominciamo intanto dall'analizzare la Vita Nuova, distinguendo accuratamente quei tre diversi gradi di affetto e di espressione, a cui di sopra

accennammo.

Da principio abbiamo dunque un amore che, mentre non è procellosa passione (1) o dilettazione sensuale, non differisce però molto da un forte affetto che abbia stanza in qualsiasi cuore alto e gentile, in che lo spirito ha impero sul senso, e sovra l'istinto il sentimento (2). La prima volta che Dante vede Beatrice, non gli occhi soltanto rimangono presi dal nuovo spettacolo di bellezza: il cuore trema, l'intelletto si meraviglia, la voce esce in suono di lamento (5): e l'anima, le cui potenze tutte sono soggiogate e vinte, a ragione dice loro che la bella figura d'ora innanzi le signoreggerà: E sarà donna sopra tutte noi Tosto che fia piacer degli occhi suoi (*). Da questo momento l'affetto per Beatrice si immedesima in Dante colle cagioni del vivere: nessun atto o pensiero si sottrae all'imperio della passione: l'anima è misteriosamente disposata (5) ad Amore: gli occhi han vigore soltanto per ammirare la bellezza di lei, la intelligenza per comprenderne la virtù, la memoria per raffigurarsela.

Ma la condizione di vita che in allora comincia pel poeta non differisce, come io diceva, sostanzialmente da quella di un qualsivoglia fervido amatore; dacchè questo amore è tuttavia, sebbene lievissimamente e purissimamente, un amore umano e naturale. Codesta vita è, come per tutti coloro che fortemente e puramente hanno amato, una vicenda di sospiri e pianti, di desiderj e lamentazioni, di scoramenti e speranze. Ei cerca la presenza della donna amata, dacchè

(1) « Ed avvegna che la sua imagine... fosse baldanza d'amore a signoreggiarmi, tuttavia era di sì nobile virtù che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse senza il fedel consiglio della ragione ». V. N. p. 2 (§. 11). « Amore mi comandava secondo il consiglio della ragione » p. 5 (§. IV).

(2) « Buona è la signoria d'Amore però che
trae lo 'ntendimento del suo fedele da tutte le
vili cose ». V. N. p. 13 (§. xш).
(3) V. N. p. 2 (§. II).

(4) Canz: E' m'incresce di me ec.
(5) V. N. p. 2 (§. 11).

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