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lissima e gentilissima fra le donne, idoleggiata quindi come visibile esempio d'ogni virtù, potesse trasformarsi in simbolo eccelso di queste virtù stesse. Soltanto coll' essersi sciolta da ogni sensibile apparenza e da ogni corporea fralezza, la finita e caduca beltà di Beatrice si cangia in bellezza infinita e spirituale: Il piacer della sua beltate, Partendo sè dalla nostra veduta, Divenne spirital bellezza grande (1). Così si veniva formando entro la fantasia di Dante una immagine nuova, nella quale il volto che Beatrice aveva avuto in vita, era circonfuso di luce divina: essa è incoronata in cielo, come Cino da Pistoja assicura all'amico per consolarlo, e la sua memoria divien tutta santa (). E già innanzi di ritrarla in versi immortali, Dante nel primo anniversario della morte di lei, provandosi a disegnarne la figura sopra certe tavolette, ritraeva invece, quasi inconsapevolmente, il volto di un Angelo (3).

Chi crederebbe che un amore durato tanti anni, salito a tanta altezza e purità, santificato dalla morte e avvivato dal pianto, potesse mai illanguidire nel cuore di Dante, e permettergli altri affetti verso altre donne? Nulladimeno -tanta è l'umana fralezza! questo avvenne. Se non che l'origine, o almeno l'occasione, del nuovo amore è pur sempre, in certo modo, Beatrice. Breve è questo episodio; e la momentanea distrazione degli affetti vale quindi a rivolgere, con nuova possanza, tutte le forze del cuore e dell'ingegno verso l'antico obbietto.

Stando adunque Dante nel continuo pensiero della defunta giovinetta, e non trovando conforto all' intenso dolore, ecco sopravenirgli un caso che sarebbe stato tale forse da renderlo colpevole di vero tradimento verso Beatrice, se la immagine di lei fossegli stata meno profondamente sculta nella memoria. Imperciocchè un giorno standosi in luogo che gli rammentava il tempo passato, e pei dolorosi pensamenti che in lui sorgevano mostrando di fuori una vista di terribile sbigottimento, accorgendosi del suo travagliare e volendo conoscere se altri lo vedesse in quella misera condizione, ei levò gli occhi, li girò intorno, e gli si mostrò una gentildonna, giovane e bella molto, la quale pietosamente lo riguardava, non ignara certo della sventura ond' era percosso (). Ed egli, provando nuova voluttà nel vedere che altri compatisse al suo affanno, a poco a poco cercò la presenza di lei; e scorgendola sempre pietosa in vista (3), dalla

(1) Canz: Quantunque volte ec. p. 46 (§. XXXIV). (2) ... «La vostra donna... è in ciel coronata, Ond'è la vostra speme in paradiso E tutta santa ormai vostra memoria ». Rime, ediz. Carducci, pag. 11.

(3) V. N. p. 46 (§. XXXV).

(4) V. N. p. 47 (§. XXXVI).

(5) « Occhi gentili e dolorosi pianti » Son: Color d'amore ec. p. 49 (§. XXXVII).

compassione argomentando l'amore, venne a persuadersi che nobilissima cosa dovesse esser l'affetto di donna così gentile (1). Laonde le diresse un Sonetto esprimente i pensieri che in lui sorsero quando la vide così misericordiosa della sua vita oscura (); e poichè anche il pallido volto di questa gentile gli rammentava quello di Beatrice, spesso ei ritornava a vederla, quasi per contemplare un vivente ritratto della defunta; e gli occhi si struggevano in lagrime, in lei scorgendo color d'amore e di pietà sembianti (3).

Ma a poco a poco, e naturalmente, accadde che questo misterioso consentimento di dolore minacciasse di divenire vero sentimento d'amore (*). Il cuore fu sommosso (5) dalla vista della donna gentile: gli occhi cominciarono a dilettarsi troppo () di guardarla per la sua propria beltà: sicchè Dante, quando di tal vaghezza si riscuoteva, crucciavasi forte con sè medesimo, rimproverandosi quasi di fellonia (7), e vituperando la vanità degli occhi suoi: Voi non dovreste mai, se non per morte La vostra donna che è morta obliare (8). Questa nuova battaglia (9) fra l'antico affetto e il nuovo sentimento che s'insinua furtivo, questo conflitto tra la fedeltà dello spirito e la propensione del senso, tra la memoria e la vista (10), tra l'anima e il cuore (1), vien descritto in alcuni Sonetti della Vita nuova che, senza il commento dell'autore stesso, sarebbero di assai difficile intelligenza, e contribuirebbero a render sempre più intricata questa materia dell' amore di Dante.

Ma a salvarlo dal pericolo a cui incautamente correva, mosso dagli occhi di quella pietosa Che si turbava delli suoi martiri (12), soccorse una nuova visione (13), nella quale ei rivide Beatrice collo stesso aspetto giovanile e con le vesti stesse sanguigne, in che già gli era apparsa nella prima visione della Vita Nuova. Questa provvida apparizione, ricordandogli i primordj dell'amore, e da questi rivolgendo la fantasia a ripercorrerne le lunghe vicende e gli episodj, fu di tanta virtù che per essa il nuovo malvagio desiderio venne discacciato; e tutti i pensamenti si rivolsero di nuovo alla gentilissima Beatrice ("). Ravvivandosi la rimembranza si riaccesero i sospiri: le lagrime del dolore antico si meschiarono a quelle della nuova penitenza; e quasi per castigo della loro vanità,

(1) V. N. p. 48 (§. XXXVI).

(2) Son: Color d'amore ec. p. 48 (§. XXXVII). (3) V. N. p. 48 (§. XXXVII). (4)Deh che pensiero è questo che in così vile modo mi vuol consolare! » V. N. p. 50 (§. XXXIX). (5) Son: Videro gli occhi. p. 48 (§. xxxvi). (6) V. N. p. 49 (§. XXXVIII).

(7) V. N. p. 51 (§. XXXIX): « Pensiero . . . . vilissimo ».

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gli occhi si ottenebrarono e si velarono per un cerchio di colore purpureo (1), sicchè indebolendosi la vista sensibile si acuiva vieppiù la intellettuale.

Per tal modo ritornato del tutto al pensiero di Beatrice, e sbandito dal cuore ogni affetto per altra donna, Dante ricevè in ricompensa da Beatrice stessa quella pura consolazione che venendo da altri, era insidia; e una nuova e più solenne visione gli mostrò l'amata fanciulla in tutta la sua gloria. Appresso, ei scrive, apparve a me una mirabil visione, nella quale vidi cose, che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, infino a tanto che io non potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com'ella sa veracemente. Sicchè, se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, spero di dire di lei quello che mai non fu detto d'alcuna. E poi piaccia a Colui ch'è sire della cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, che gloriosamente mira nella faccia di Colui, qui est per omnia saecula benedictus (2).

In queste parole stà quasi in germe (3), tutta la Divina Commedia. Ciò ch'egli scorgesse in questa visione, colla quale ha termine la Vita Nuova, Dante non vuole e non può dire, chè la sua mente, non è ancora da tanto; ma la Divina Commedia è narrazione ampia e diffusa di questa visione, nella quale ei contemplò rapidamente, ma compiutamente e quasi come in un quadro, tutto quello che poi ritrasse nel poema. Ciò che Dante contemplò in un attimo in quell' estatico rapimento, è descritto nel poema come veduto successivamente con distinzione di giorni e di ore; e l'estasi subitanea della fantasia che veloce trascorre e veloce si innalza dalle cose mortali e caduche alle eterne ed immortali, per affisarsi poi, come in ultimo termine, in Beatrice beata (1), venne ad assumer forma di viaggio nei regni del male, della penitenza e del sommo bene.

Non era facile, al certo, il trattar degnamente di Beatrice, e il dir di lei quello che mai non fu detto d'alcuna; e a tal fine Dante chiedeva lunga vita a Dio, studiando in questo mezzo quanto più poteva, per trarne virtù a sciogliere il voto. Incomincia così per Dante una vita di meditazione, di studio indefesso, di fatiche, di vigilie, che lo faranno per più anni macro. Il poema esiste già

(1) Id. Id. << Amore Gli cerchia di corona di martiri » Sonetto: Lasso per forza ec. p. 53 (§. XL).

(2) V. N. p. 56 (§. XLII).

(3) Il primo germe, o almeno il primo accenno al poema, vuolsi comunemente trovare nei versi della Canz.: Donne che avete ec. i quali dicono, fingendo che Dio parli agli Angeli: Diletti miei, or sofferite in pace Che vostra speme

sie quanto mi piace Là ov'è alcun che perder lei s'attende, E che dirà nello 'nferno a' malnati: Io vidi la speranza dei beati. L'accenno è assai poco esplicito, e convien dire, come osserva il GIULIANI, che nell'esecuzione del disegno, Dante non abbia poi avvisato conveniente di rammentare nell' inferno ai malnati come egli ebbe tanta grazia da veder quella ch' era speranza dei Santi. (4) V. N. p. 39 (§. XXIX).

in germe: coll'occhio dell' intelletto egli lo vede già quasi come sognando ('), ma bisogna ancora architettarne tutte le parti con mirabile armonia: la ragione e il fine di esso sono la esaltazione di Beatrice, e la visione stà sempre presente alla memoria, vigile custode di ciò ch' ei vide: ma resta a trovare in gran parte, e a lavorar poi, l'ordito di una vasta trama: resta a disporre con arte ed euritmia l'accumulata materia. Non si tratta più di sfogare il dolore in una ballata o in un sonetto, o chiudere nel picciol quadro di una canzone le lodi della cara defunta: più ampia forma è necessaria all' intelletto del poeta, che prenderà un acqua non mai corsa da altri prima di lui (2). Imperocchè nella mente di Dante, avvezza, come dicemmo, a cogliere i nessi e le relazioni fra le cose, il poema, nato da un giuramento di affetto e destinato a glorificare la defunta fanciulla, diventa poema universale, che deve riprodurre tutto quello che gli ferve nell'animo, e raccogliere in sè tutti gli elementi della vita mondiale la storia, la politica, la religione; tutte le forme dell' arte - la lirica, l'epopea, il dramma; -e collegare tutti i varj generi poetici l'Inno, la Satira, la Tragedia, la Commedia. E questa vasta descrizione del mondo e dell'uomo debbe finire coll' apoteosi di Beatrice, perchè Beatrice è per Dante principio e termine insieme della conoscenza e dell'affetto, e sola fonte copiosa di ispirazione; ma ciò deve effettuarsi in modo, che non ne soffra la intrinseca unità del poema, e le cose più disparate sieno artisticamente connesse fra loro, come sono unite nella mente di Dante; in modo, che la vastità e varietà della materia non faccia obliar Beatrice, e Beatrice non paia inferiore a tanta grandezza di subietto; ma, nella nobiltà ed importanza dei concetti pei quali via via trapassa la mente del lettore, si presagisca che non è donna pari alle altre, colei che il poeta va cercando nei mondi fantastici, e che appare finalmente quando e il poeta e il lettore sono fatti degni di contemplarla da presso.

IV.

Questo periodo di preparazione dottrinale al Poema, è in gran parte segnato nel Convito, che compie opportunamente una lacuna della Vita Nuova (3). Nella quale, infatti, Dante dichiara non volere assemprare ogni fatto appartenente alla sua gioventù lo dice nel proemio, e lo ripete più volte dappoi. Invero, nella Vita Nuova, oltrechè son taciuti molti episodj riguardanti il suo amore, nulla è scritto da Dante nè delle sue imprese guerresche, nè dei suoi primi passi alle pubbliche faccende o almeno alle lotte delle fazioni, nè degli

(1) Conv. II. 13. (2) Parad. II. 7.

(3) Innanzi cioè al §. XL. Vedi ciò che dicemmo nell'Avvertenza p. XIV.

studj filosofici. Per aver notizia di quest'ultimo periodo, che segue immediatamente e si intreccia coll'episodio di quella gentildonna, che Dante più tardi immedesimo colla filosofia, bisogna appunto aver ricorso al Convito. Era naturale, del resto, che affaticandosi a raccoglier tutto quel tesoro di cognizioni che, più tardi, doveva servire al monumento poetico da innalzarsi all'amata, e compiacendosi nella bellezza e nella nobiltà degli studj (1), qualche volta il pensiero di Dante fuorviasse, sebbene momentaneamente, dall'antico objetto; e correndo dietro ad altre immagini di intellettuale bellezza, il cuore paresse dimenticare, o meno acutamente ricordare, Beatrice. Già abbiamo notata, a proposito della gentildonna pietosa, una di queste deviazioni del pensiero e del cuore di Dante. Un altra è quella rimproverata da Beatrice stessa al poeta sulla cima del Purgatorio, quando a lui rammenta le false immagini di bene Che nulla promission rendono intera: alludendo con ciò, secondo a me sembra, nou solo al suo secondo amore, e alla vita dissipata onde si tocca nell'episodio di Forese (2) e fors' anche in un Sonetto del Cavalcanti (3), ma anche, e più, alle gare di parte, agli odj di setta, e sopratutto a quella appassionata partecipazione nelle pubbliche faccende che gli fu cagione del bando e della vita ramminga per tutta Italia (*). Una terza deviazione è questa verso gli studj, verso la scienza per sè medesima, narrataci nel Convito: anch'essa poi interrotta nel suo corso dal risorgere possente dell'affetto, sicchè l'opera medesima ne rimase imperfetta e monca. Tutte insieme queste divergenze dal supremo scopo degli affetti e dei pensieri del poeta, comprendono uno spazio che si può racchiudere dalla morte di Beatrice all'esilio: della prima parlasi nella Vita Nuova, della seconda accennasi nel Purgatorio, della terza trattano le rime e i commenti del Convito.

Cominciando ora a studiare il Convito, per cercare di tôr di mezzo molte difficoltà suscitate ed accresciute dai critici e dagli interpetri, ricordiamo anzi tutto quello che l'autore stesso scrive sul bel principio: E se nella presente opera la quale è Convito nominata, e vo' che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa, quella (5). Le due scritture sono, adun

(1) « Cominciai a andare là ov'ella (la filosofia) si dimostrava veramente, cioè nelle scuole de' religiosi e alle disputazioni dei filosofanti, sicchè in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a sentire della sua dolcezza, che il suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero ». Conv. II. 13.

(2) Purg. XXXIII, 116-8.

(3) Io vengo il giorno a te infinite volte. E trovoti pensar troppo vilmente: Molto mi duol della gentil tua mente, E d'assai tue vertù che

ti son tolte. Solevati spiacer persone molte, Tuttor fuggivi la noiosa gente, Di me parlavi sì coralemente Che tutte le tue rime avea accolte. Or non mi ardisco per la vil tua vita Far dimostranza che 'l tuo dir mi piaccia Nè 'n guisa vegno a te che tu mi veggi. Se'l presente sonetto spesso leggi, Lo spirito noioso che ti caccia Si partirà dall'anima invilita ». (Son. XXII, ed. Cicciap.)

(4) Honores, dignitates, magistratus, vel scientias mundanas aut poeticas » ec. BENV. IMOL. (5) Conv. I, 1.

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