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que, fra loro unite, ed insieme, distinte; e mal fa colui che vuole l'una coll'altra confondere, e interpetrare la Vita Nuova col Convito; tanto più che questo è evidentemente scritto sotto l'impero di sensi ed intendimenti diversi da quelli che ispiravano Dante quando ei scriveva l'opera sua giovanile. Diciamo qui dunque qualche parola sul Convito, lasciando da parte il IV. libro di esso che non contiene materia d'amore (1)

(1) Senza entrar quì in minute indagini sul tempo in che fu scritto il Convito, parmi però potersi ritenere per indubitato: 1.o Che le Canzoni: Voi che intendendo, e: Amor che nella mente, illustrate nel 2.o e nel 3.o libro, sono anteriori al §. XL della V. N. (cfr. LUBIN, op. cit. p. 22-3): scritte e pubblicate, e l'ultima anche musicata, innanzi all'esilio non solo, ma al 1300, perchè ricordate espressamente nella D. C.; e la data della loro composizione potrebbe determinarsi verso il 1294 (LUBIN, ib.) — 2.o Che i commenti in prosa sono posteriori alla composizione delle Canzoni: cosa ammessa dal benemerito FRATICELLI per ciò soltanto che spetta alla seconda, facendo invece contemporanei il Commento e la Canzone Voi che intendendo; sebbene, come or ora dirò, senza prove molte valide. 3. Che il Trattato primo, il quale fa come da Prefazione generale al Convito, è senza dubbio posteriore all'esilio, benchè, come osserva il BALBO, non ci sia bisogno di assegnarli per data il 1313, secondo vorrebbe il FRATICELLI, dacchè già nel 1304 DANTE avea percorso quelle varie parti d'Italia delle quali fa in esso libro menzione.

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Quanto poi a decidere se i Commenti, posteriori secondo me alle Canzoni, sieno anteriori o posteriori all'esilio, dirò nel testo del discorso le ragioni che mi fanno propendere col BALBO per la seconda opinione. Ma anche ammettendo col FRATICELLI che i libri del Convito fossero composti in varj tempi, e il 2.° e il 4.° scritti innanzi al 1.° e al 3.o, non mi sembra persuadente la sua argomentazione volta a provare che il 2.o debba riferirsi al 1297 — e ad ogni modo ad un tempo anteriore all'esilio sol perchè nella D. C., che DANTE riporta al 1300, vien rettificata una opinione scientifica in quello contenuta (II. 14). È noto come DANTE sia stato nel poema scrupoloso osservatore della cronologia storica, parlando come di uomini viventi, di tali che eran già morti quand'ei scriveva, ma che nel 1300 respiravano tuttora l'aer dolce che del sol si allegra. Ma, come osservò anche il VEN

TURI (In qual anno fosse da D. dettato il Conv., Roma, Belle Arti, 1844) eravi ragione per DANTE di mantenere la stessa scrupolosa e pur necessaria esattezza, rispetto a semplici opinioni scientifiche? A Dante poteva parer necessario di rettificarne talune sulle quali, anche in tempo posteriore al 1300, aveva proferito pubblica sentenza in qualche suo scritto; nè un anacronismo di così lieve momento e che non toccava fatti storici, poteva ragionevolmente trattenerlo dal correggere ciò che per nuove meditazioni sembravagli erroneo. Ciò fece appunto due volte nel Paradiso (II. 61: XXII. 141) dove parla della causa delle macchie solari; e nel primo passo notisi ch'ei ritratta la opinione primitiva, non già come scritta, ma come pensata (già la credetti rara e densa). Perchè adunque il Poema si finge scritto nel 1300 non può supporsi che Dante dovesse avere la contradetta opinione innanzi al 1300, sicchè in cotesto tempo soltanto possa aver egli composta la parte del Convito ove si contiene l'errore rettificato. E nel Poema vi sono anche altri simiglianti anacronismi di lieve momento, quando si tratta non di fatti esterni, ma di opinioni o sentimenti dell' Autore; e ricordisi ad esempio il celebre: Se mai continga ec.

Lo stesso ragionamento debbe farsi circa la implicita rettificazione che nell' vin. 36 del Parad. si fa ad una opinione del 11. 6 del Convito. Dante nel Parad. non fa altro che cambiare l'indirizzo del verso: Voi che intendendo il terzo ciel movete, trasportando l'invocazione dai Troni ai Principati. Nè vale la osservazione fatta dallo SCOLARI e ripetuta dal FRATICELLI, che il Commento dev'esser contemporaneo alla Canzone, perchè senza illustrazioni non si sarebbe capito ch'ei rivolgeva il discorso alle celesti intelligenze motrici; chè la cosa è chiara per le parole intendendo e movete: poteva soltanto esser non ben chiaro di quali intelligenze ei favellasse, e dopo aver detto nel Convito che erano i Troni, nel Paral. volle che fossero i Principati. Se non che e' fece questa correzione come se non avesse mai pensato altrimenti: A' quali tu nel mondo

La Canzone: Voi che intendendo il terzo ciel movete, contenuta e commentata nel II. libro del Convito (1) spetta ai tempi in che Dante della perdita di Beatrice consolavasi negli studj, e descrive una singolare condizione dell'animo suo, sorta dal combattimento tra l'affetto verso la defunta e la nuova beatitudine (2) della quale lo riempie la meditazione filosofica. In questa Canzone adunque, Dante ragionando alle angeliche intelligenze che guidano i moti del cielo di Venere, narra come un soave pensiero che gli parlava di Beatrice ed era vita del cuore dolente, soleva innalzarlo sino a Dio, a' cui piedi vedeva gloriare la sua donna. Ma adesso apparisce chi fa fuggire quel primo dolce pensiero; ed è pure una donna, la quale par che porti scritta negli occhi la salute e la beatitudine. Però questa vittoria del secondo pensiero sull'antico non è senza contrasto, dacchè l'anima che già consolavasi nella contemplazione d'un angiola che in cielo è coronata, si duole amaramente d'esser derelitta dal pietoso ricordo, e si lamenta cogli occhi i quali si lasciarono vincere dalla bellezza della nuova apparizione. A questo rimprovero risponde un gentile spirito d'amore, rassicurando l'anima sbigottita, mostrandole quanto questa donna, di cui teme, ha tramutato il viver suo, e come essa debba ormai esser chiamata e riconosciuta per signora della sua vita. Accomiatando questa Canzone, a dritto le dice il poeta: Io credo che saranno radi Color che tua ragione intendan bene Tanto tu parli faticosa e forte.

Or chi è costei della quale qui si parla come di nuova regina e dominatrice del pensiero e del cuore di Dante? come di tale che ha virtù di cancellare la rimembranza di Beatrice, che sino allora teneva la rocca della mente (3) di lui? Odansi le parole stesse colle quali Dante spiega il nascimento e le ragioni di questa sua nobil Canzone: Appresso lo trapassamento di quella Beatrice beata, che vive in cielo cogli Angioli e in terra colla mia anima, quella gentil donna di cui feci menzione nella fine della Vita Nuova, apparve primamente, accompagnata da Amore, agli occhi mici, e prese alcuno luogo nella mia mente. E siccome è ragionato per me nell'allegato libello, più da sua gentilezza che da mia elezione venne ch' io ad esser suo consentissi:

gia dicesti: Voi ec., e così evitò lo scoglio a cui sarebbe andato incontro rammentando l'opinione diversa come scritta nel Convito. E anche nel XXVIII 135, ripete questa rettificazione sulla gerarchia angelica, ma anche in questo caso senza citare il Convito, e destramente addossa l'errore a S. Gregorio, narrando com'ei ridesse di sè medesimo quando, entrato nei cieli, conobbe l'errore in che era caduto da vivo.

Tutto ciò insomma prova soltanto che il Paradiso è posteriore al 2. Trattato del Con

vito, ma non vale a determinare la data di questo ad un tempo anteriore al 1300.

(4) I LUBIN, Intorno all'epoca della V. N., Graz, 1862, prova che la Canzone fu scritta alla fine del 1294. Certo deve esser posteriore alla morte di Beatrice (Giuguo 1290), e anteriore alla venuta in Firenze e alla morte di Carlo Martello (1295).

(2) La dolcezza ch'io sento in quello ch'io a poco a poco ricolgo». Conv. I. 1.

(3) Conv. II. 2.

chè passionata di tanta misericordia si dimostrava sopra la mia debole vita, che gli spiriti degli occhi miei a lei si fêro massimamente amici, e così fatti dentro lei, poi fero tale, che 'l mio beneplacito fu contento a disposarsi a quella immagine (1).

Secondo la lettera, adunque, avremmo qui di nuovo, per quanto Dante ne afferma, la gentildonna pietosa. Ma chi legga attentamente la Canzone, vedrà chiaro come quì si tratti, non di persona umana, ma di un essere astratto e simbolico; e si persuaderà chè solo posteriormente, nel commento prosastico, Dante volle far una cosa stessa della gentildonna pietosa e di questa immagine allegorica, quasi per nascondere e velare in una forma di spirituale significato, una passione momentanea, o per dir meglio, un principio di passione, di cui, qualunque ne fosse la causa, sentiva profondo rincrescimento e somma vergogna. Nella Canzone, che notisi bene - nella Vita Nuova non è registrata fra le poesie che accompagnano l'episodio della gentildonna pietosa, nella Canzone, dico, si parla evidentemente di una donna che non è viva nè vissuta mai. La spiegazione letterale e storica, contenuta nel posteriore Commento in prosa, è accomodata artificiosamente e sovraposta per sforzo d'ingegno: la spiegazione allegorica è la sola vera e plausibile (2).

Or chi è dunque, lo ripeto, se persona viva non è, questa misteriosa donna che conforta il poeta, ma da' conforti della quale ei non rifugge, come già da quelli pericolosi ed insidiosi della gentildonna menzionata nella Vita Nuova? Ella è, Dante stesso ce 'l dice, la bellissima ed onestissima figlia dell'Imperatore dell' Universo, alla quale Pitagora pose nome Filosofia (3). E come avesse origine questo mistico affetto, l'autore lo narra, con queste formali parole: Come per me fu perduto il primo diletto della mia anima, io rimasi di tanta tristizia punto, che alcuno conforto non mi valea. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che s'argomentava di sanare, provvide, poichè nè il mio nè l'altrui consolare valea, ritornare al modo che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi. E misimi a leggere quello, non conosciuto da molti, libro di Boezio, nel quale cattivo e discacciato, consolato s'avea. E udendo ancora, che Tullio scritto avea un altro libro nel quale, trat

(1) Conv. II. 2.

(2) Poichè la litterale sentenza è sufficientemente dimostrata, è da procedere alla esposizione allegorica e VERA « Conv. II. 13. « Nella VERACE esposizione ». Conv IV. 1. E al senso allegorico vero alludono anche i versi del commiato alla Canzone: Se per ventura egli addiviene Che tu dinanzi da persone vadi Che non ti pajan d'essa (tua ragione) bene accorte, Allor ti priego che ti riconforte Dicendo lor, diletta mia novella:

Ponete mente almen com'io son bella. E il commento: «Che non voglio in ciò altro dire... se non: O uomini che vedere non potete la sentenza di questa Canzone, non la rifiutate però: ma ponete mente la sua bellezza ch'è grande, sì per la costruzione la quale si pertiene alli Gramatici, sì per l'ordine del sermone che si pertiene alli Rettorici, sì per lo numero delle sue parti che si pertiene a' Musici » Conv. II. 12.

(3) Conv. II. 16.

tando dell' amistà, avea toccato parole della consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, nella morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello. E avvegnachè duro mi fosse prima entrare nella loro sentenza, finalmente v'entrai tant' entro quanto l'arte di Gramatica ch'io avea e un poco di mio ingegno potea fare: per lo quale ingegno molte cose, quasi come sognando, già vedea, siccome nella Vita Nuova si può vedere. E siccome esser suole, che l'uomo va cercando argento, e fuori della intenzione trova oro, lo quale occulta cagione presenta, non forse senza divino imperio, io, che cercava di consolare me, trovai non solamente alle mie lagrime rimedio, ma vocaboli di autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la Filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa. E immaginava lei fatta come UNA DONNA GENTILE, e non la potea immaginare in atto alcuno se non misericordioso: per che si volentieri lo senso di vero l'ammirava, che appena lo potea volgere da quella (1).

Così questa ultima abberrazione dall'antico pensiero (*), ha tutte le esteriori condizioni che ebbe già l'altra verso la donna pietosa, principalmente perchè il fervido intelletto del poeta, non potendo appagarsi delle idee astratte, ma rivestendole sempre di visibile parvenza, e seguendo l'autorevole esempio di Boezio, immagina la Filosofia in forma di femmina, gentile insieme e misericordiosa. E tanto l'uno quanto l'altro affetto, sebbene nascessero l'uno dal cuore l'altro dalla mente (3), non furono senza contrasto dell' anima sempre innamorata di Beatrice, nè senza rimprovero agli occhi agli occhi del volto nell' un caso, a quelli dell'intelletto (+) nell' altro. Siffatte rassomiglianze di vicende e di sentimenti (5) nel nascere e nel crescere dei due amori, così disformi fra loro ma ambedue egualmente avversi alla soave rimembranza di Beatrice, poteron rendere facile al poeta l'identificarli insieme: sì chè l'anteriore ed umano potesse quindi esser rappresentato come sensibil segno del posteriore, immateriale ed intellettivo.

Allato adunque all' amore di Beatrice, nasce adesso, come cosa diversa, l'appassionato culto della Sapienza (); tanto possente, da sembrar quasi che vinca l'antico affetto. Dante erasi dato allo studio per dimenticare in esso le lagrime e il dolore della perdita sofferta: ma in questo momento egli viene ad

(1) Conv. II. 13.

(2) Conv. II. 9.

(3) «Questo amore nella mente mia fa la sua operazione » Conv. III. 3.

(4) Canz: Voi che intendendo ec. str. 3.a (5) «Che pensieri è questo.... che mi vuol CONSOLARE?» V. N. p. 50 (§. XXXIX) — « La

mia mente che s'argomentava di SANARE ». Conv. II. 13.

(°) « Filosofia è uno amoroso uso di Sapienza ». Conv. III. 12. « A filosofare..... è necessario amore ». Id. III. 13. E vedi tutto il сар. 14.

amar la scienza per sè, per quel ch'ella è soltanto. Così, anche anteriormente, egli era stato sul punto di cercar la presenza della donna pietosa per la propria bellezza di lei e cortesia, e non già pel conforto innocente ch' ei ne sperava dapprima al dolor suo nella morte di Beatrice.

Ma questa allettativa morale della Sapienza è ben più forte dell' altra; dacchè, collo studio, un nuovo mondo di idee e di fatti si è dischiuso dinnanzi al suo intelletto, ed ei si sente irresistibilmente attratto da quella vasta mole di libri, di autori, di dottrine di che ha fatto tesoro. Venuto in possesso di tale ignota ricchezza, Beatrice è momentaneamente dimenticata. La scienza, i libri, gli autori, i vocaboli e le dottrine filosofiche gli appariscono nel loro proprio valore: lo studio diventa fine, non mezzo: e Dante in questo momento soggiace alla arcana virtù delle cose studiate ed apprese. Perciò due donne, o a dir meglio due immagini di donna, governano la sua mente, e reggono i suoi affetti: Beatrice regna tuttora nella Memoria, ma la Filosofia è regina dell' Intelletto. Le due immagini stanno dinanzi alla fantasia di Dante, distinte e diverse fra loro, e non solo distinte e diverse, ma in acre conflitto, e prepoderanti or l'una, or l'altra ('); ond'ei non sa comprendere come un cuor puote stare Infra due donne con amor perfetto (2),. E qui notisi di passaggio quanto errino coloro i quali tutta la vita affettiva di Dante riducono alla morale amistanza (3) colla Filosofia, e nella Beatrice della Vita Nuova ritrovano la umana denominazione e la corporea immagine di quella. I due affefti furono per lo contrario successivi l'uno all'altro e solo per breve tempo contemporanei, ma sempre distinti. Primo affetto, e amore vero e reale, è Beatrice: secondo affetto, meramente intellettuale, è la Filosofia. Ma Beatrice mai non si immedesima, nè nella Vita Nuova nè nel Convito, con la Filosofia; nè la Filosofia ha nessuna relazione, se non di contrasto, con Beatrice; e più tardi, quando sarà raffigurata anche come simbolo, essa significherà per Dante. come diremo alcun che di più alto ancora della Filosofia.

A questo stesso periodo in cui vi ha conflitto fra memoria da un lato, ed intelletto dall'altro, si riferisce pur anco la Canzone commentata nel III.o trattato del Convito: Amor che nella mente mi ragiona; sulla quale non mi tratterrò,

(4) Le dolci rime d'amor ch'io solia Cercar ne' miei pensieri Convien ch' io lasci: non perch'io non speri Ad esse ritornare, Ma perchè gli atti dislegnosi e feri Che nella donna mia Sono appariti, m'han chiuso la via Dell'usato parlare: E poichè tempo mi par d'aspettare, Diporrò giù lo mio soave stile Ch'io ho tenuto nel trattar d'amore, E dirò del valore Per lo qual veramente è l'uom gentile: Canz: Le dolci rime. V. anche la Canzone

che co nincia: Poscia ch'amor del tutto m'ha lasciato, Non per mio grato. Chỏ stato non avea tanto gioioso, Ma perocchè pietoso Fu tanto del mio core Che non sofferse d'ascoltar suo pianto, Io canterò, cosi disamorato Contr' al peccato ec. Le rime filosofiche si chiudono col sonetto: Parole mie ec.

(2) Son: Due donne in cima della mente mia. (3) Conv. III. 11.

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