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de' popoli, per poter salire le altezze del monte, ove balena lo splendore divino, Gesù Cristo, come ne parla la Chiesa: Ut ad montem qui Christus est, pervenire valeamus (1); per ascendere alle vette del monte Sinai, ove, deposti alle sue radici gl'impuri calzari de' vizî, nobiliteremo il nostro inteletto alla scuola del Maestro divino, fondatore e direttore supremo della civil comunanza. Che fece l'uomo peccando? Ruppe la divina legge e diede il tergo a Dio: ma chi da Dio si diparte, chi da lui batte lontano, ove va? Nella storia si vede chiaro, esser due le vie opposte, in cui può mettersi lo spirito umano, quella che porta verso l'essere, cioè verso Dio; e l'altra che porta al nulla anche storicamente si vede questo, che chi cammina verso l'essere, cioè verso Dio, s' incontra nella vita; laddove chi cammina verso il niente, s'incontra nella morte.

Dalla scuola divina di cui abbiamo discorso ed a cui ci portano le virtù solamente, uscirà il Veltro misterioso, il principe veramente grande che non farà suo cibo o sua delizia nè le terre nè il danaro; ma, intero di colpe, accoglierà in sè i tesori non perituri della sapienza, della bontà e della virtù. Questa triplice prerogativa richiedeva il real profeta nel Monarca reggitore del regno, quando compose un brano di poesia, un epitalamio in occasione del matrimonio di suo figlio Salomone con una Principessa egiziana; ecco le sue parole: La tua destra ti condurrà mirabilmente nelle tue azioni a causa della tua verità o sapienza, della tua mansuetudine o amore, e della tua giustizia o virtù; propter veritatem et mansuetudinem et iustitiam deducet te mirabiliter dextera tua (2). » Onde Jacopo Benigno Bossuet così favellava dalla cattedra della Chiesa all'augusta real Maestà di Francia: « Voi, o Sire, che in terra siete un'immagine viva di quella Maestà suprema di Dio, imitate la sua sapienza, la sua giustizia e la sua bontà, perchè l'universo ammiri nella vostra sacra persona un re sapiente, un re giusto, un re buono: un re sapiente che pro

(1) In Oratione div. Catharinae Virg. et Mart. Vedi Miss. Rom. die XXV Novemb.

(2) Ps. XLIV, 6.

muova le lettere, un re giusto che riformi le leggi, un re buono che protegga i miseri (1). » A buon diritro adunque Platone insegna, i buoni o rei costumi de' cittadini dipendere siffattamente da' costumi del Principe, che questi può facilmente mutarli, come più gli talenta. Ma come il Principe semina nel popolo la sua virtù? Colla sapienza e l'amore (2). Dice pure il poeta del Veltro:

<< E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro; »

vale il dire: tra Feltre città della Marca Trivigiana e Montefeltro città della Romagna; ovvero: tra le città feltriche di Macerata e di San Leo. Come se dicesse: il buon reggime del Principe si spanderà tra una città e l'altra, tra una e l'altra terra; perchè niuna cosa potrà trascurare sapienza e amore e virtude. Un virtuoso e sapiente amore non si compendia in se stesso; ma esce, a dir così, fuori della propria esistenza per procurare il bene altrui.

gilio :

Però il su cennato bene germoglia tutto dal rimedio di Vir

<< A te convien tenere altro viaggio,

Se vuoi campar d'esto luogo selvaggio; »

rimedio veramente celeste, veramente divino, perchè consimile a quello che ricevettero i re Magi: Et responso accepto in somnis, ne redirent ad Herodem, per aliam viam reversi sunt in regionem suam (3). Vedetela la finzione poetica, spoglia delle poetiche tinte, nella esposizione che fa san Gregorio sulle parole bibliche: « Qualche cosa ben grande insegnano i Magi col tornare per altra via nella regione, donde partirono. Perocchè in ciò ch'essi operano, dietro il ricevuto avviso, indicano certamente a noi ciò che pur noi dobbiamo operare. Con

(1) Sermone IV per la Domenica delle Palme, recitato alla presenza del Re, punto 3, n. 1.

(2) De Legibus, lib. IV, pag. 541, edit Basil. op. Valder. (3) Matth. II, 12.

ciossiachè la patria nostra è il Paradiso, ed in essa, dopo d'aver conosciuto Gesù, ci si vieta ritornare per quella via per cui siam venuti; poichè noi ci dipartimmo dalla patria nostra col superbire, col disobbedire, col correre dietro a' beni sensibili, col gustare un cibo vietato; ma volendo ritornarvi, è mestieri che vi ritorniamo col piangere i nostri errori, coll'obbedire, col disprezzare ogni bene di senso, col rinfrenare ogni vile e carnale appetito. (1) » Dican pure i figliuoli del secolo che questa via è troppo angusta e che pochi la percorrono : avranno con ciò provato che non è dessa la verace via? Della rettitudine di questa via ci fa fede il termine cui ella mena ch'è la vita immortale: Arcta via est quae ducit ad vitam (2). Tutta la Divina Commedia ci dice in poesia quello che san Gregorio ci ha detto in prosa così semplice e sublime.

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Rifacendomi ora dal bel principio, ricompongo dall'analisi la sintesi: il poeta, uscito fuor della selva oscura, è lì nell'atteggiamento solenne alla luce soprannaturale del dilettoso colle, alla piova de' raggi luminosi del divin Pianeta. Tre fiere o tre principali colpe lo rimuovono dal benefico e vivificante lume; ond'egli tiene altro viaggio, perchè lo ritrovi nella propria scaturigine, nell'eterno Pianeta, in Dio.

L'Alighieri offre il soprannaturale celeste a glorioso auriga sul carro gigante che di qua e di là tentenna, dell' incivilimento sociale; e l'incivilimento corre sicuro e maestoso, e va di galoppo per le vie del genere umano. Così l'arte politica terrà robuste ali per salire, volando, alle somme altezze della vita civile. Si consideri all'uopo questo bel verso del poeta:

«Sì che il piè fermo sempre era 'l più basso. »

Egli con questa frase accenna la lentezza e la paura con cui procedeva su per l' erta. Camminando in tal guisa, il piede fermo e su cui gravita il corpo, è sempre insensibilmente più basso dell'altro che frattanto s'avanza più in alto. Così lenta

(1) Homil. 10 in Evangelium.

(2) Matth. VII, 54.

mente e poi frustraneamente camminava l'umana politica. Vuole però un camminar gigantesco con rapidi voli? Uopo è, si porti alla Religione soprannaturale, ov'è ordinato il sempre avanzarsi, il sempre progredire, il correre sempre. Sic currite, scriveva l'Apostolo a' cittadini di Corinto, sic currite ut comprehendatis. Ecco l'ideale del vero progresso. Al cristiano, è vero, s'impone un giogo ed un peso: ma quel giogo è soave, ingum suave; ma quel peso è leggiero, onus leve. Il giogo dei divini comandamenti e il peso de' consigli vangelici non opprime, sibbene adorna, dice sant'Ambrogio: Non conterit colla, sed honestat (1). Ed ancor più bellamente soggiunge il mellifluo Dottore che, come negli uccelli il peso delle piume non è di ostacolo, ma di aiuto al volo; così la legge del Vangelo sono ali che ci sollevano, non ceppi che ci deprimono (2). È solamente dalla luce soprannaturale che l'uomo attinge tutta quella forza di cui bisogna per correre nelle vie dell' ordine e della giustizia, per salire il monte delle virtù più alte ed eroiche. Onde il poeta come se dicesse: senza il ritorno all' aiuto del soprannaturale non potranno mica sanarsi le profonde piaghe che han morta l'Italia, questa terra feconda, questa prediletta nazione di Dio, e che l'han resa umile agli occhi dello stesso Dio e degli uomini. Solo dietro le orme luminosissime della Religione sopra natura, gittate le armi fratricide, e ricomposti tutti a pace e concordia, si terrebbe saldo e in piedi l'edifizio della civiltà umana. Questi pensieri parla il poeta ed accende nella società la brillantissima illuminazione del soprannaturale.

(1) Lib. de Elia, cap. 22.

(2) Epistola 385.

CONFERENZA II.

Armonia tra scienza e fede, tra filosofia e teologia ovvero Virgilio e Beatrice.

L'età contemporanea va superba della scienza filosofica: con la filosofia crede di mandar ottimamente assestato il civil reggimento de' popoli.

Ebbene, vi furono sempre filosofi al mondo: arrisero perciò all'uomo i destini della felicità? Tutt' altro. Platone avea detto, che i popoli sarebbero felici, se i re fossero filosofi, o se i filosofi fossero re. Ora, il mondo a certi intervalli contemplò l'una cosa e l'altra: che avvenne? Esso continuò peggiorando: i re divenuti filosofi riuscirono il flagello de' sudditi. Il che si vede dall'antico Dionisio tiranno di Siracusa fino al barbaro nipote di Costantino: i filosofi, divenuti re, tornarono il flagello de' sudditi loro e dell' intera stirpe umana. Il che ci mostrano gli scenziati del secolo XVIII, seduti nell'Assemblea di Parigi, nella Convenzione e nel Direttorio. Per la qual cosa Federico, il grande re di Prussia, filosofo anch'egli, diceva molto sensatamente: Quando io voglio punire una provincia, vi mando i filosofi a governare.

Se così è, la filosofia è un elemento pregiudiciale, sovversivo della società ? No. La pregiudica e la sovverte, quando vien separata dalla scienza divina che la governa, dalla Teologia. Nella buona età della Filosofia cattolica era bello contemplare il consorzio civile e il suo meraviglioso Enoticon che ligava i sudditi e gl'imperanti, più che la falange de' Lacedemoni, a' religiosi e cittadini doveri, per cogliere dappoi frutti preziosi di pace e di vittoria: era bello entrar le case de' nostri maggiori; ci trovavi la famiglia religiosamente concorde, JANNUCCI-Teologia estetica e sociale della Div. Comm.

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