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del Cristianesimo, che tutti uniti formano una completa Teologia. Faremo quindi come le api che senza recare a' fiori del prato verun aggravio, senza menomarne la virtù, senza oltraggiarne il bello, senza offenderne l'odoroso, ne succhiano unicamente un umore occulto: anzi neppur questo trarrebbero, se non lo trasformassero in dolcissimo miele.

Ma, perchè la Teologia dantesca da noi è intitolata estetica? Primamente perchè il bello ch'è l'oggetto dell'estetica, essendo la faccia molto luminosa ed attraente del vero, è la forma principale di questa nuova Teologia. Secondamente perchè, come osserva un illustre e leggiadro scrittore dei tempi nostri, l' Em. Capecelatro, « il separare in Dante la religione dalla bellezza, se ben si consideri, riesce impossibile. La bellezza nella Divina Commedia, principalmente quando canta di religione, non è soltanto estrinseca, ma viene di dentro, come lume da lume; è specchiamento, o piuttosto raggio fulgidissimo del gran sole di verità (1) ».

E perchè siffatta Teologia è da noi altresì nomata coll'epiteto di sociale? Perchè è il più lucido riflesso di suprema norma. nella vita degli uomini e delle nazioni: onde il Vico chiamò la legge immortale che sostiene la fabbrica del social sistema : Teologia civile. L'arte o la letteratura, altro che ornamento, è la rappresentazione più ampia del vivere sociale: l'Alighieri al vivere sociale sposa intimamente la Teologia; la quale, com'è la scienza più vasta, che altra mai, è rispondente alla sociale altezza del secolo XIX. Imperocchè la nostra età tira al vasto e allo sterminato: svanito è il tempo, in che le genti a poco contado si riducevano; il contado è divenuto nazione, i confini non sono più segnati dal torrentello, ma dal mare o da una catena di Alpi giganti. Per la qual cosa non potrò non disposare alla Teologia estetica un minuzzolo di verace politica. Esso Dante me ne porge il bel destro.

A Firenze, durante la fiera lotta tra i Bianchi e i Neri, si disse che il Dante con segrete intenzioni di favorire i Bianchi, soppiantava la giustizia. La mala voce si sparse fra tutto

(1) Dante e il Cristianesimo, Discorso del Cardinal Capecelatro.

il popolo, e più tardi servi a procacciar credito ad un calunnioso processo contro di lui. Firenze si trovava per la china di tutti i mali, era sul margine dell' abisso sociale. In questi tempi turbolentissimi par che Dante avesse scritti in latino che poi per eleganza maggiore volse nell' italiana favella, i primi sette canti della Divina Commedia, che cominciava con questi versi :

<< Ultima regna canam fluido contermina mundo
Spiritibus quae late patent, quae praemia solvunt

Pro meritis cuicumque suis (1) ».

Adunque la Divina Commedia, oltre del senso religioso, in sè contiene ancora un senso sociale e politico. Imperocchè l'Alighieri quando pose mano alla sua grand'opera?

Era il Venerdì Santo. Lo giorno se n'andava e l'aer bruno copriva di funereo velo l'universo. La Religione, sparsa le trecce morbide sull'affannoso petto, addolorata e mesta piangeva con affettuosi singulti la morte di un Dio. Il poeta mesto pur egli a tanto dolore, beveva nell' imbrunita sera i tremoli raggi del sole morente, che mandava l'ultimo lampeggiamento, e di rossastra luce imporporava le torri e i campanili della città, e scriveva nella sottoposta campagna una pietosa elegia. Era la vedova Religione, era la vedova natura che, scolorate il volto dall'affanno, vedevano morire lo sposo. Batteva l'ora della tristezza, e un disperato dolore premeva il cuore dell' Alighieri. Guardava egli con sublime melanconia la sua patria che, lacerata il seno da fratricide armi, con gli occhi ch'erano due fonti di dolore, con lo spirito che fuggitivo errava su le sue labbra, col pallore di morte sul volto, languida e smaniosa e anelante già già si moriva. Egli tenero della sua patria, ispiratosi al sole naturale e al Sole divino che morivano per risorgere più luminosi e belli, alla madre moriente gli occhi pietosi, lagrimando, volse; e col nettare della speranza e col balsamo del conforto si fè a molcere le agonie del suo animo, e le offrì, a medela salvifica, il prezioso volume della Divina Commedia.

(1) Qui compendiamo il Manuale Dantesco di R. Leoncavallo, il Maffei e il Cantù nelle loro Storie della Lett. Italiana.

Dante, alla vista della moribonda patria, le apre gli occhi alla luce della verità, a' sorrisi della vera grandezza. Le personali e politiche vicende lo indussero più fortemente allo studio della sociale palingenesia. Camminava tra bronchi e spine; talchè fastidiva la terra e n'era fracido. Nacque il suo concetto da un sentimento purissimo di Religione, perchè al riverbero della sua luce camminassero le nazioni e i regni.

Ecco giustificato il titolo del libro: La Teologia estetica e sociale della Divina Commedia, che tolsi a lavorare per il nuovo culto che gl' Italiani ebbero ed hanno per la poesia di Dante Alighieri, e per testimoniare un omaggio solenne alla verità cattolica, alla dottrina teologica. Questa bella terra d' Italia, questa prediletta nazione di Dio non fu mai soggiogata sotto la crudel tirannide dell'eterodossia. Per la qual cosa, o illustri lettori, prendiamo la Divina Commedia e inebbriamoci di poesia. Vi troveremo il poeta statista e il poeta teologo che destò in noi e desterà ne' popoli venturi l'entusiasmo della fede divina, luce folgorante della civil società. C'incontreremo con la Trinità del bello, del vero e del buono, quei tre raggi che piovono dal volto scintillante di Dio, e che leggiadramente riflettono la Triade sacrosanta. Con l'Alighieri sia crudele chi può; quanto a noi, prostriamoci con riverente ossequio innanzi ad un ingegno che non muore.

Ma, ecco non pochi neologi mi gridano la croce addosso; perchè, affermano, la Divina Commedia è libro di politica, non di Teologia. V'è altri poi che opinano: La Divina Commedia è libro di Teologia, non di politica.

Questo è un insigne inganno, o amici, voi la sbagliate di grosso; udite: Nel 1849 un ateo della peggior risma, un demagogo francese il quale non contento di gridare: Iddio non è, aggiungeva la più esacranda bestemmia: Iddio è il male; pure, costretto dalla luce dell' evidenza, proferì parole celebri che han fatto il giro del mondo: Egli è sorprendente che in fondo alla nostra politica noi troviamo sempre la Teologia (1). Io fo di

(1) Proudhon nelle sue Confessions d'un revolutionaire, pag. 67, col. 1, Paris 1849.

cappello a Proudhon che tai cose ci detta e che indirettamente scioglie il nodo della difficoltà: nè alla politica ripugna la Teologia, nè alla Teologia la politica. Si risponderà poi direttamente nel corso dell'opera coll'eloquenza del fatto: si troverà la più economica incarnazione della Teologia e della politica in una poesia gigantesca; cioè: La sapienza divina, suprema direttrice della società umana. L' Alighieri dettò una nuova Carta politica alla civil convivenza. Nè osta il dire che alcuni adombramenti appannino la luce cattolica del Dante ancorchè abbia in fatti non essenziali di Religione qualche ombra, nondimeno è tutto splendente di gran luce di fede e bellezza cristiana. Qualche sua menda non è che un breve sconcerto in una grande armonia; e, se mel concedete, uno sconcerto concorde conciosiachè su di essa più vaghe risplendono le verità di nostra Religione, a quel modo che sul nero più bello risulta l'armonico colorito dell' immagine. La sua menda è un pò di limo ligato ad un'anima tutta divina, è il sonno naturale della mente, è il quandoque bonus dormitat Homerus; epperò la difficoltà proposta rovina da sè.

Mi tornano nuovamente innanzi que'neologi e mi oppongono: La Divina Commedia sovrabbonda di note illustrative; un altro lavoro saria un fuordopera.

Quale svarione! Per l'esperienza mi accorgo, i grandi argomenti essere inesauribili. Per quanto se ne scriva e se ne disserti, ti accorgi che più ancora è quello che a dir si rimane. La Divina Commedia ha tanti aspetti diversi, che, mentre il guardarli tutti insieme, è quasi impossibile, chi tenta coglierne un solo, corre il rischio di rimpicciolirne lo sconfinato orizzonte. Il tedesco filosofo Schelling ha il nostro linguaggio, allorchè afferma: « Il poema di Dante, considerato da tutti i lati, non è un lavoro a parte, proprio di un particolar grado di coltura; ma è un prototipo per ragione dell'universale validità, che riunisce con la più assoluta individualità; per ragione dell' universalità con cui esso non esclude da sè alcun elemento del vivere e della coltura; finalmente per ragione della forma, che non è un tipo particolare, ma il modo di considerare l'universo

JANNUCCI-Teologia estetica e sociale della Div. Comm.

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in generale (1) ». Vero è dunque che la Divina Commedia ha un oggetto senza limiti, un oggetto sommo, un oggetto ineffabile. E gli oggetti maschi e meravigliosi tornano inesauribili : stanno lì fecondi di sempre nuove e più elette dimostrazioni.

Italiani, mi prendo l'altissima onoranza di favellarvi. Se queste mie incolte parole meriteranno di vivere, come umili virgulti, appiè della Divina Commedia, epopea principe del mondo universo, calorosamente vi supplico accoglierle e gradirle vi paleseranno una piova celeste che irriga da un capo all'altro il terreno della civiltà mediante l'Alighieri, ch'è uno de' vostri angeli più belli vestiti della luce nazionale. Egli viene su per le scuole in peculiar modo, quando è presso a spuntare l'alba che a voi sorride de'colori più gai e che vi apre le giornate magnifiche, salutate dalla moderna società col nome di patrio risorgimento. Par che omai tutti gli occhi si affisino alla gioventù eternamente luminosa del pensiero dantesco. Io non porto ire o sdegni: aprirò il segreto più segreto dell'animo mio, dirò solamente una mia opinione e l'aggiungo come una parentesi alla gran mole della dantesca esegesi, o come una parva moneta la getterò riverente nel gazofilacio, ovvero nel pubblico tesoro della società letteraria. Italiani, offro a voi questo piccolo volume con desiderio intenso che torni stimolo a virtù religiosa e cittadina, e cooperi a rendere più bella la bella luce della patria riva.

(1) Schelling, Considerazioni filosofiche su Dante.

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