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PROLEGOMENI

CONFERENZA II.

L'intelletto della Divina Commedia; Religione e Civiltà.

Molti dell'età nostra si fan belli dell' eterodossia di Dante Alighieri. Non si può dunque dar principio al lavoro teologico della Divina Commedia, se prima non cessiamo da cotal radiante sole di verità e di bellezza il nuvolo tenebroso. V' ha molti ancora che non ravvisano l'elemento sociale nella Divina Commedia; onde potranno menar la berta a queste nostre Conferenze, in cui al teologico intimamente s'intreccia l'elemento sociale. Questo discorso a prologo metterà l'uno e l'altro fatto a rigoroso crivello.

Dante, per rispetto alle sue dottrine, appartiene all'ortodossia cattolica? Questo problema da tre secoli padroneggiò gli intelletti più alti, e destò gravi lucubrazioni. L'eresiarchia protestantica, fin dall' aurora del suo apparimento, sentì forte il bisogno di crearsi una genealogia che l'avvicinasse a' tempi apostolici, alla fonte divina, al Cristo. Frugò le pietre di tutte le rovine, i frantumi di tutti i sepolcri; bastavagli qualche parola pungente contro il Cattolicismo romano, caduta dalla penna di un uomo celebre, per registrarlo nell' albo de' suoi invitti propugnatori (1). Non poteva sottrarsi l'Alighieri dagli onori postumi. Mediante alcune sue parole un po' aspre tentò il protestantesimo fin dal secolo XVI di far popolari nell'Italia le novelle dottrine all'ombra di un nome augusto e venerato. Quel nobile controversista, il Cardinal Bellarmino, purgò trion

(1) Francowitz, Flaccus Illirycus: Catalogus testium veritatis.

falmente della nota disonesta il gran teologo e poeta nazionale (1). In progresso di tempo il padre Arduino proferì una strana sentenza, con che qualifica la Divina Commedia opera di un discepolo wicleffista.

Il professore di Teologia protestante Scratchenbach alla Università di Gottinga nell' Hannover, cominciando il corso delle lezioni il dì 8 di Settembre del 1828, con altera fronte insegnava a' suoi discepoli che Dante Alighieri aprì colla Divina Commedia una calorosa diatriba contro l'insegnamento della Cattedra cristiana, preludio della Neologia tedesca di Martin Lutero (2), mediante la quale illustri e potenti nazioni di Europa vennero separate come tralci dalla Vite ch'è il Cristo, il cui succhio divino feconda tutte cose. Ecco come il razionalismo teologico ha viziata la chiosa della Divina Commedia come quella della Bibbia.

Al turpe pensiero del neologo alemanno si sposò la letteratura inglese, e direi pure l'estetica di tutto il Nord. Per la qual cosa il Nord, ove il sol tace della verità cattolica, pretese seminar tenebria sull'orizzonte del nostro bel Paese, ove il sì suona dell'incantevole dolcezza ed avita pietà cristiana. Il Settentrione che sotto un malinconico ed umido cielo manca de'nostri sorrisi del Mezzogiorno e della nostra festività di genio e di costume, fe' navigare, qual tenebrosa vela, una nube di errore verso il poetico cielo d'Italia, che si colora del più vago e sereno zaffiro, e tramanda sul nostro capo una pioggia luminosa de' più vividi e porporini raggi.

Quel tetro nuvolo che avria dovuto passare per il nostro cielo come nebulosa meteora, per farlo poi apparire più limpido e sereno, lì rimase fermo a coprire della sua malefica ombra la lucente ortodossia dell'Alighieri. Perciò non pochi scrittori dell'Italia, ispirandosi al buio riflesso di oltramontani pensieri, ritenendo la verità captiva nell'ingiustizia, riferirono all'epopea

(1) Bellarmino, Appendix ad Libros de Summo Pontifice; responsio ad Librum quemdam anonymum.

(2) Vedi Tommaso Moore, Viaggio d' un Gentiluomo irlandese in cerca di una Religione, cap. XXXVIII, n. 165.

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dantesca il concetto di riformare la fede cattolica e peggio ancora di fondare una fede novella e una novella politica. Così Ugo Foscolo e Gabriele Rossetti, profughi nell'Inghilterra, per confortare l'ozio dell'esilio, e fors' eziandio e fors' eziandio per soddisfare generosamente all'ospitalità protestante, mostrarono il Dante luterano; laonde, per provare che il poeta tenea di occhio Lutero, dissero che la parola Veltro non è che un'anagramma del nome del riformatore sedicente. Altri scrittori esegetici fino al Bovio macolano l'ideale purissimo della Divina Commedia, e con una politica tolta a forza di ragione autonoma dalla mente del sommo poeta, tendono a minar dalle fondamenta la Religione e gli Stati.

Lettore, io non oso levar censura contro ad illustri letterati: tanto meno ho in animo di ferire con aspre parole quei Comenti, ricchi e coloriti di bella sapienza. Accenno a' fatti, difendo la verità. Questa è la mia palestra e non altra: paro i colpi e non imprendo battaglia; se mi volete Fabio, io son desso; Annibale no. Ma, per dare una solenne mentita alla sbrigliata ragione di tante malaugurate sentenze; per porre una diga al torrente desolatore di principii sovversivi dell' una e l'altra società, la religiosa e la civile, ho mai sempre avuto in cima de' miei pensieri il presente lavoro. E poichè gli Antichi che attinsero da esso Dante la significazione de'varii simboli, esposero l'assunto religioso del poema, e i Moderni, volendo considerare il solo concetto politico, trasportati da loro speculazioni turbarono tutto il poema e ruppero la catena della tradizione; noi fermi sulla tradizione antica per l'aforismo ben noto ch'è vero ciò che fu primamente insegnato, ed è falso ciò che si è di fresco introdotto (1), e prendendo dalla gran sabbia dei Moderni una pagliuzza d'oro e dal rimescolamento delle loro ceneri alcune scintille di verità, preziose reliquie dell'educazione, conserteremo in amica alleanza l'uno concetto e l'altro, il religioso e il politico, e, sollevando le cortine che coprono la finzione allegorica, incarnata nelle scene immortali della

(1) «Verum quod prius traditum, falsum quod posterius immissum >; Tertull. De Praescriptionibus adversus haereses.

Divina Commedia, di tal tenore apriremo la Conferenza; ella è tutta qui:

Se la guardiamo con occhi vergini, colla mente tranquilla di chi ragiona e non collo spirito furente di chi combatte, la Divina Commedia è Religione purissima: ecco il primo membro della dimostrazione.

Se scrutiamo, non già nella superficie, ma nel midollo, non già nel fogliame delle parole, ma nella radice della verità, la Divina Commedia, Religione purissima, è maestra e guidatrice sovrana della società, perchè smagli di vera grandezza, perchè rifulga d'inesauribile prosperità nazionale: ecco il secondo membro della dimostrazione.

Se non è superbia, come il geometra di Siracusa, ho pronunziato il mio Eurecha. La Religione e la civiltà non si possono nella Divina Commedia separare fra loro, perchè sono rami dello stesso tronco, e direi quasi, membri dello stesso pensiero. L'uno e l'altro concetto si mescono insieme, come due luci sorelle, e costituiscono il poema della fede e della civiltà in amica parentela congiunte. Così sentendo il doppio corso delle cose, discernendo il passato col potere telescopico della scienza critica e il presente colla forza microscopica di una verace dottrina, apriremo quel tesoro del padrefamiglia che il Redentore definiva un composto di antico e di nuovo, qui profert de thesauro suo nova et vetera. E ciò perchè tu intenda nell'Alighieri del cammin la mente, secondo un'ardita sua metafora.

Il tema della Divina Commedia è facile; tutto si covre sotto la splendida vernice della poesia: basta lacerar la buccia di quel poema per trovarlo. La Divina Commedia non è un' algebra inestrigabile, ma una scuola di sapienza proficua è Iside velata; ma il suo velo è trasparente. Se così non fosse, staremmo nel buio così fitto di enigmi e di viluppi, che neanco il valente Edipo ci troverebbe il bandolo; e l'Alighieri, falsando il primo canone dell'arte, ci avrebbe inflitto il castigo di Tantalo; ci avrebbe detto: la cosa in sè c'è, ma non la conosce – rete mai. Il poeta, se così mai fosse, stringendosi nelle spalle,

se la riderebbe, con l'aria di chi ci dica: stillatevi pure il cervello; non l'indovinerete. E noi alla nostra volta ci rideremmo di lui, non potendo pescare colla navicella del nostro ingegno nelle acque oceaniche del suo immenso poema.

Ma, se non oscuro è il tema della Divina Commedia, vediamo quale tra i sistemi diversi meriti la preminenza, si che possa veramente dirsi che ci mostri la mente dell'Autore.

In due modi si può giungere a scoprire l'intelligenza della Divina Commedia, nascosta da Dante sotto il velo dell'allegoria o per l'agevole strada della tradizione storica o per la strada erta dell'Ermeneutica ch'è l'interpetrazione critica. Ambedue queste strade portano alla stessa meta. Cominciamo a percorrere la prima, la tradizione storica.

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È canone ammesso da tutti, essere di non lieve pondo la illustrazione autografa di un libro. Onde, per meglio intendere l'allegoria di Dante, bisogna ricorrere a lui stesso e studiarne la mente il migliore interpetre di Dante è Dante stesso da lui comincia il primo filo della tradizione. Frate Ilario che accolse l'Alighieri nel suo Romitorio del Corvo alle foci della Magra, nell' inviare per comandamento dello stesso Alighieri la prima Canzone dell'Inferno al chiarissimo uomo Messer Uguccione della Faggiuola, diligentemente avverte che il poeta medesimo gli aprì quel senso che aveva nascosto sotto la superficie della lettera, vale il dire il perfetto riordinamento religioso e sociale dell'uomo. Ma se il poeta fece accompagnare la Cantica dell' Inferno dalla lettera illustrativa di frate Ilario; la Cantica del Paradiso accompagnò con una lettera sua propria a Can Grande della Scala, nella quale apertamente chiarifica il proprio intendimento. E, comechè in quella si proponga la illuminazione della terza Cantica, pur nondimeno si dichiara luminosamente lo scopo di tutto il poema in quelle parole: « Il fine del tutto (l'intera Commedia) e della parte (la terza Cantica) si è rimuovere coloro che in questa vita dimorano, dallo stato di miserie e indirizzarli allo stato di felicità. Finis totius et partis est removere viventes in hac vita de statu miseriae et perducere ad statum felicitatis ». Il soggetto vien distinto con due spiegazioni, l'una secondo la lettera, l'altra secondo

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