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Il poeta fiorentino nel Canto vigesimonono del Purgatorio (1) leggiadramente poetizza il Canone de' libri agiografi, come fu solennemente definito dalle sacrosante Sinodi, fiorentina e tridentina. Le nobili figure che mettono in rilievo gli autori e i libri agiografi, il poeta le fa precedere e seguire il Carro trionfale della Chiesa docente, tirato dal Grifone, cioè la Sapienza eterna. E ciò per significarci essere quei libri, formanti la Bibbia, veramente sacri, divini, canonici, come li qualificò il Concilio di Trento; perchè costituiscono l' inerrabile insegnamento della Chiesa, la quale non parla che la lingua di Dio. Anche più chiaramente l'Alighieri dimostra la Scrittura come sacra e divina. Ecco come chiama Davidde, l'autore della Salmodia o de' 150 Salmi che armonicamente sposò all'arpa divina:

<< Colui che luce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello Spirito santo,
Che l'arca traslatò di villa in villa.

Ora conosce 'l merto del suo canto,

In quanto effetto fu del suo consiglio,

Per lo remunerar che è altrettanto (2) ».

Diamo un po' di comento. Il re David che portava l'Arca del Signore di città in città, cantò i Salmi, mosso ed illuminato dalla luce dello Spirito Santo: «Directus est spiritus Domini

(1) Vedi Conferenza III.

(2) Paradiso, XX, vv. 37-42.

a die illa in David (1) ». Per la qual cosa ora David conosce il merito del suo canto, e lo conosce per il premio ricevuto ch'è pari all'opera. L'opera di David ne' Salmi, cioè la parte che vi ebbe, fu l'aver aderito liberamente e con gioia alla vocazione divina, non già l'aver dettato i Salmi, poichè questi son opera dello Spirito Santo.

Ma, se la verità della Scrittura è divinamente ispirata, deve ella innalzarci al culmine della vera grandezza :

<< Ed io son quel che su vi portai prima

Lo nome di Colui che in terra addusse
La verità, che tanto ci sublima (2) ».

Ecco l'intelligenza di questo terzetto: San Benedetto converti al Cristianesimo gli abitanti di Montecassino e de' luoghi circostanti, e fu il primo a portarvi il nome di Gesù Cristo, la buona novella della celeste dottrina, la verità del Vangelo che tanto innalza l'uomo e la società tutta agli splendori della vera grandezza. Gli è perciò che l'Alighieri molte figure ed immagini le ha cavate o imitate da' Libri santi, da questa fonte inesauribile di sovrumana estetica, di sublimità divina. Sin l'idea medesima delle tre fiere che gli tolgono l'andare e presentano l'occasione del viaggio pe' tre regni, come nota il Tommaseo, pare tolta di peso dal capitolo V' di Geremia, ove si legge : << Percussit eos leo de silva; lupus ad vesperam vastavit eos, pardus vigilans super civitates eorum: omnis qui egressus fuerit ex eis, capietur: quia multiplicatae sunt praevaricationes eorum (3) ».

Siccome però la Fede, la Speranza e la Carità formano i tre principali obbietti dell'insegnamento biblico; così terrò parola nella presente Conferenza delle tre grandi virtù teologiche, tradotte in poesia dall'Alighieri. Farò eziandio discorso del Codice legislativo e penale de' regni ; perchè la vera e primitiva legge, avente caratteri di ordinare e di proibire, è la retta

(1) 1 Reg. XVI, 13.

(2) Paradiso, XXII, vv. 40-42.

(3) Ier. V, 6.

Ragione di Dio; ella è contemporanea dell' Intelligenza divina, come afferma Marco Tullio: « Orta autem simul est cum mente divina (1) ». Or tutte le leggi umane rampollano da questa prima legge che, scritta nel codice della nostra coscienza, fu a migliore intelligenza scritta nell' eterno codice della sacra Bibbia sotto la dettatura della medesima infinita Sapienza.

Onoratemi, o lettori, della vostra benevola cortesia, in quella che io mi accingo a raccogliere le prove.

Il poeta, con arte, attinge le tre grandi virtù teologiche dalla bocca magniloqua de' tre grandi Apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Per andar salvo, bisogna essere con Pietro fermo nel credere, costante nel patire con Giacomo, con Giovanni puro e castigato nel vivere.

Cominciamo dalla Fede. Beatrice prega i Beati nel Cielo a volere un poco illuminare a Dante l'intelletto; e queglino, roteando, dimostrano il loro compiacimento. Il più luminoso tra essi ch'è san Pietro, s'avanza, s' aggira tre volte intorno a Beatrice, la quale lo prega ad esaminar Dante circa le dottrine facili o difficili della Fede. Onde fa che intorno a ciò lo esamini san Pietro, come ad accennare che nel Pontefice romano soltanto è la facoltà di essere giudice nelle cose della Fede. Poi ne dà queste ragioni: perchè san Pietro ricevette dal Cristo l'autorità delle Somme Chiavi, perchè san Pietro in virtù della Fede camminava sicuro sopra le acque del mar di Tiberiade, perchè san Pietro, come beato Comprensore, tutto legge nella mente sapientissima di Dio. Oltre di che, la Fede popola il Paradiso perciò è buono che a Dante venga occasione di parlarne a gloria di lui. A tal discorso di Beatrice il poeta, simile al baccelliere (2) che s'arma d'argomenti e di ragioni per sostenere la difficoltà o il teorema e non per definirlo, chè questo è proprio del maestro, il poeta, ben preparato di animo, attendeva la interrogazione di san Pietro, il quale gli domandò la

(1) De Legibus, lib. II

(2) Baccelliere, qui in Academia primum gradum obtinet, a bacca lauri dictus, vel bacillo lauri, quo is donabatur.

definizione della Fede. Dante, sottile e profondo teologo, la infiora di questi leggiadri versi :

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Ne scrisse, padre, del tuo caro frate,
Che teco mise Roma nel buon filo,
Fede è sustanzia di cose sperate,
Ed argomento delle non parventi ;
E questa pare a me sua quiditate.
Allora udi': Dirittamente senti,

Se bene intendi perchè la ripose
Tra le sustanzie, e poi tra gli argomenti.
Ed io appresso: Le profonde cose,

Che mi largiscon qui la lor parvenza,
Agli occhi di laggiù non si nascose,
Che l'esser loro v'è in sola credenza,
Sovra la qual si fonda l'alta spene;
E però di sustanzia prende intenza.
E da questa credenza ci conviene

Sillogizzar, senza aver altra vista,
Però ch' intenza d'argomento tiene.
Allora udi': Se quantunque s'acquista
Giù per dottrina, fosse così inteso,

Non v'avria luogo ingegno di sofista (1) ».

L' Alighieri definisce la Fede con la sentenza di san Paolo: «Est... fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium (2) ». La è virtù e quasi sostanzial fondamento, nel quale si fonda la speranza della beatitudine eterna; ed è argomento, dimostrazione e lume, onde l'intelletto è ridotto a credere quelle cose, che non può con le naturali sue forze comprendere. -San Pietro non si contenta della sola definizione; ne richiede lo svolgimento. Tu pensi con rettitudine, gli dice; ma perchè san Paolo ripose la Fede tra le sostanze, epperò tra gli argomenti? La risposta dell'Alighieri è la seguente: Le verità misteriose della Fede che qui nel Cielo chiaramente con

(1) Paradiso, XXIV, vv. 61-81.

(2) Hebr. XI, 1.

templo, agli occhi degli uomini sono tanto occulte che la loro esistenza non tiene altro fondamento che la Fede. E siccome quelle verità misteriose tornano l'oggetto di tutta la nostra speranza, gli è perciò che la Fede chiamasi substantia rerum sperandarum, cioè il validissimo fondamento di ciò che crediamo e speriamo. Onde l'Aquinate disse: « Substantia, id est, facere in nobis substare res sperandas.... quasi per suam proprietatem praesentialiter facit, quod id, quod creditur futurum in re, spe aliquo modo iam habeatur (1) ». La Fede chiamasi pure argomento, seguita a dire il poeta, donde può dedursi ogni nostro sillogismo o ragionamento, epperò la ragionevolezza della medesima Fede. L' Aquinate opina che la parola dell'Apostolo Argumentum significa per metonimia ferma adesione dell' intelletto: << Sumitur argumentum pro argumenti effectu. Per argumentum enim intellectus inducitur ad inhaerendum alicui vero: unde ipsa firma adhaesio intellectus ad veritatem Fidei non apparentem vocatur hic argumentum (2) ». Alle parole del poeta risponde san Pietro Molto bene; se ciò che per via d'ammaestramento si conosce dagli uomini, fosse inteso così bene, come tu hai intese le parole di san Paolo, non vi avrebbe luogo l'acutezza de' sofisti, perchè nessuno si lascerebbe trarre in inganno. - San Pietro, ascoltata la profonda dottrina sulla Fede, toglie novellamente ad interrogare: La preziosa gemma della Fede da qual parte ti venne? Ed il poeta: L'abbondante grazia dello Spirito Santo, rispose, ch'è piovuta sulle pagine dell'antico e nuovo Testamento, è tal sillogismo che più d'ogni oltra prova mi ha dimostrato la verità della Fede. Fides ex auditu; auditus autem per verbum Christi, come afferma san Paolo. A questa dimostrazione però restava una difficoltà da risolvere. Ed ecco san Pietro di rimando: Va bene, o Dante, che la parola di Dio ti ha così certificato; ma come sai tu che la Scrittura è parola di Dio? Dalle opere che seguirono, rispose, cioè dalle profezie e dai miracoli, che superando tutte le forze della natura, tornano il suggello o la

(1) Summa Theologica, 2a 2ae, quaest. 4, art. 1.

(2) In op. cit.

:

JANNUCCI Teologia estetica e sociale della Div. Comm.

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