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loro, e l'una non si può intendere senza le altre. Il sentimento religioso si nutre e cresce con le rappresentazioni dell' arte e con le meditazioni della scienza: la scienza medita e spiega i principii razionali della religione e dell'arte e l'arte dà corpo e vita al sentimento religioso ed alle astrazioni della scienza. E questo avviene perchè unica è la sostanza loro, il vero (1). »

Adunque il vero non è il nemico del bello, sì piuttosto il fondamento o l'alito vivificatore. Perciò il Manzoni, stabilendo un canone di arte, vuole che la poesia o la letteratura « in ogni argomento debba cercare di scoprire e di esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e perpetua sorgente del bello, giacchè e nell'uno e nell'altro ordine di cose, il falso può bensì dilettare, ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione del vero (2). » Certo, l'errore, malgrado la speciosità che può accattare da ornamenti esteriori, è sempre, in fondo, una cosa miserabile: chè non vorrei a nessun patto chiamare assolutamente belle le fandonie dell' Iliade.

Se il bello non può stare senza il vero, potrà poi stare senza il buono? Questo problema ha travagliato mai sempre l'animo mio: finalmente ho avuto la visione dell'Incognita.

Vincenzo De Castro nelle sue lezioni di Estetica dichiara che il bello è lo splendore del buono. Questo non è la definizione del bello propriamente detto, ma del fine supremo cui mira il bello, che deve illuminarsi dell'idea della virtù e dello splendore della bontà. L'intelligenza non può contrarre con la verità un'alleanza, se non quando la volontà contrae col bene un connubio. Onde tutto ciò che voi rapite alla rettitudine della bontà e della virtù, lo involate alla rettitudine della vostra intelligenza e all'armonia de' vostri pensieri. Indarno si vuol protestare contro l'impero di questa legge. È più facile rompere l'unione che naturalmente hanno in un raggio di sole, la luce e il calore, che rompere l'alleanza che unisce tra loro la verità

(1) Luigi Settembrini, Lezioni di Letteratura Italiana dettate nell'Università di Napoli, Vol. I, cap. 1.

(2) A. Manzoni, Il Romanticismo in Italia.

e il bene. Ogni vera filosofia, come il suo nome lo rivela, si compone nello stesso tempo e della conoscenza del vero e dell'amore del bene. La Scrittura su questo proposito ha detta una parola, la cui profondità non ha eguale che la sua semplicità divina: In malevolam animam non intrabit sapientia (1). La sapienza o il vero sapere non entrerà nell'anima che vuole il male; essa non vi entrerà, perchè il male la respinge, e perchè fra la verità e il male, se stringesi alleanza, non potrà lungamente durare. Per la qual cosa che fa il progresso nella verità senza il progresso nella virtù? Quello che fa il sapere personificato in Satana, quello che dee fare il genio del male, tenebre. Satana non ignora, egli sa: perciò fu detto Lucifero. Ma perchè il portatore della luce vien chiamato il principe delle tenebre? Perchè, essendo il genio del male, il possedimento della luce diventa il lui la possanza di far tenebre. Perciò Baldassarre Castiglione, diplomatico italiano del 500, autore del Cortigiano e di eleganti poesie, dopo di aver solidamente provato che la bellezza è congiunta con la bontà, conchiude: « In somma ad ogni cosa dà supremo ornamento questa graziosa e sacra bellezza. E dir si può che 'l buono e 'l bello a qualche modo siano una medesima cosa (2). » Lo svizzero Gio. Gaspare Orelli nel 1834 pubblicava in Lucano le Poesie filosofiche del Campanella. In quella ch'è intitolata Gľ Ipocriti, sta detto a nostro proposito :

<< Pure ogni bello è fior di qualche bene,
E d'alcun bello è fior la venustate. >>

Anche il Settembrini, forse non volendo, proferi questa sentenza memorabile: «Io non so se lo splendore sia civiltà vera: ma so bene che donna formosissima e corrotta può essere ammirata ma non è bella (3). » E il medesimo afferma : « Oggi dicono che Raffaello e gli altri artisti del Cinquecento sono grandi si ma non esprimono veramente il vero, hanno un modo convenzionale di rappresentare, hanno dell'accademico, e l'arte (1) Sap. I, 4.

(2) B. Castiglione, Cortigiano, lib. IV.

(3) Op. cit., vol. II, cap. LVI le Arti del Disegno.

loro non è libera come dev'essere... Ma io dico che quelle opere sono meravigliose ed eternamente belle non per la parte convenzionale che v'è, ma per quell' ideale sereno, ma per quel vero purissimo e trasparente che io non trovo nelle opere moderne le quali vogliono imitare la realtà in tutte le sue sozzure. Non è vera arte quella che oggi mi ritrae facce di tisiche meretrici e di frollati giovanastri, in camere ornate di tappeti di velluti di drappi, sì che pare di vedere un magazzino di mode. Uscite dell'Academia, sì, ma non entrate nel bordello e nella stalla: il vero dell'arte sta in quella certa idea ». Onde ben possiam conchiudere con Giuseppe De Maistre Il Bello è ciò che piace alla Virtù illuminata. Di questa legge siamo intimamente e religiosamente convinti e pronti a ripeterla in faccia a qnale che sia dittatura scientifica.

Illuminiamo con un esempio la esposta teorica.

Nel Decamerone del Boccaccio v'ha il bello, v'ha il vero, ma il bello e il vero voluttuoso; epperò abbiamo il bello e il vero senza il buono: onde perfezionasi col bello la fantasia, col vero l'intelletto, rimanendo però depravata la volontà. Abbiamo il bello e il vero con uno scopo sovversivo dell'individuo e della società. Per questo diceva il Settembrini: « Io ripeterò come gli altri che non darei a leggere il Decamerone nè a fanciulli nè a giovanetti (1). » É dunque vero e bello il male? Che problema terrifico, che parola stringente! No: il male è la privazione del bene; il bene si converte col vero secondo gli eterni principii della Metafisica, epperò il male è pur la privazione del vero; il vero si converte col bello secondo la sentenza platonica, epperò il male è pur la privazione del bello. Ê dunque bello il male? No; mille volte no. Tommaso Campanella dà gran piede alla mia sentenza in quei magnifici versi:

<< E chi filosofando a Dio s'unisce,

Vede con Lui che ogni bruttezza è male (2). »

(1) L. Settembrini, op. cit. Vol. I, cap. XXII Il Decamerone.

(2) Poesie filosofiche del Cumpanella, pubblicate in Lucano il 1834 da Gaspare Orelli.

Che cosa dunque è quell'oscena tenebria di quarantacinqne mila versi del poema Adone del cav. Marini? Un piovere continuo di stelle cadenti in una notte tenebrosa che più orrenda te la palesano. L'arte nell'Adone è come una luce girovaga che, distaccata dalla sorgente del vero e del bene, ti mostra in tutte le sue orride e gelide forme le tenebre dell'errore e della voluttà. Ed ammesso pure che vi si trovi il vero e il bellò, senza dubbio vi manca il buono: il poeta non nobilita il cuore, ch'è il vero fonte della vita, il quale nella Religione fa i Santi, nella società gli eroi, nell' arte i genî. L'intelligenza non è tutto l'uomo: tutto l'uomo è intelligenza e cuore, luce e calore; luce che parte da forza di mente, fuoco che divampa dall'anima. Una poesia dunque ch'è tutta intelligenza, e non mica cuore, manca della parte più sacra dell' uomo, epperò vi troviamo un vuoto immenso. Questa poesia, muta di maschie idee, non è che una mera forma, renduta molle, cascante, meretricia, atea, empia; gelido pensiero che agghiaccia l'arte ed avvelena la poesia nella sua fonte.

Addentriamoci ancora più nell' argomento.

Per mezzo dell'arte l'uomo s'innalza, tende ad imitare le opere divine, getta nelle sue opere riflessi dell'infinito. Perciò l'immediato scopo dell'arte è il bello; e il bello, come osserva Platone, è l'oggetto proprio dell'amore: l'artista, oltre del genio per il vero, ha bisogno di un amor sincero per la vera bellezza; richiede una sguardo che penetra e un cuore che s'infiamma, lo sguardo del genio e il cuor dell'amore; anzi più che il miracolo del genio, vuole il prodigio dell'amore. Ma, perchè l'amore s'infiammi per la vera bellezza, ch'è un rivolo della Bellezza suprema, cioè Dio, uopo è sia un amore legittimo, un amore nell'ordine, un amore virtuoso, la virtù medesima. Onde sant'Agostino affermò: «La virtù è l'ordine nell'amore, e il cuore è lo splendore dell'ordine ». Se così è, come il vizio che è il disordine nell'amore, si accorderebbe in un'anima coll'amore del bello, ch'è lo splendore dell' ordine? Tra l'ordine e il disordine l'alleanza è inconcepibile.

Inoltre, l'arte soprattutto è l'espressione della bellezza dell'anima umana, prodotta dal genio dell'uomo. Or se l'arte,

nella sua maggior perfezione, riflette le bellezze dell' anima, l'anima stessa non è veramente bella, se non alloquando riflette Dio. Come il bello nell'arte è la somiglianza dell'anima, il bello dell'anima è la somiglianza di Dio: ella fu creata ad immagine del Creatore. Perciò la filosofia dell'arte ci mostra il perchè, senza il buono o la virtù ch'è la vera bellezza dell'anima, non possa ottenersi il vero bello nell'arte. Io non intendo dire che un uomo senza virtù sia del tutto impotente a scoprire il bello nelle cose ed incarnarlo nelle sue opere. Così nel corso de' secoli si videro alcuni uomini, i quali, benehè la loro vita fosse tutt'altro che un modello di virtù, crearono nondimeno de' capolavori; ma è pur vero che questi uomini non erano interamente corrotti: più deboli che pervertiti, conservarono ne' loro disordini con l'amore del bene il culto della bellezza morale; onde con virtù più grandi sarebbero stati più grandi artisti. Oltre di che, quali verità pennelleggiarono mai? Verità contigenti, materiali, prive del rapporto con Dio, sorgente della vera grandezza. Ma la verità eterna, immutabile, assoluta, proficua all' individuo e alla società, non delinearono mai con le loro tinte. Perciò nell' età pagana gli uomini con tanti capolavori di arte versavano nell' indigenza delle verità necessarie alla vita religiosa e sociale. Quello che dimostra la filosofia dell'arte, lo dimostra altresì la storia dell'arte. Quando fu detto: Dio è il male, fu detto ancora: Il bello è il deforme. A dir breve, quando la corruzione de' costumi viola le leggi esterne del bene nell'ordine morale, la corruzione del gusto viola nell'ordine artistico le leggi non periture del bello. Senza dubbio, quei genî che imprimono nelle lor opere il segno della loro corruzione, hanno qualche splendore; però a questo splendore che ricorda l'angelo del pensiero, si mescola qualche idea che ricorda il demone del vizio; splendore degli angeli caduti, il quale non brilla più su la loro fronte se non per meglio illuminare la loro caduta, e mostrare ciò che diventa il genio, quando ha consumato col vizio il suo divorzio con la virtù.

Ma qual profitto n' ebbe la società dall'arte corrotta, cioè dal bello senza il vero e il bene? Nessuno; anzi n'ebbe il male. Lo splendere del bello servi, come abbiamo detto, a me

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