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hanno riguardato con ammirazione e rispetto, e creduto degno sempre di accompagnare il divino poema, cui esso schiarisce nella parte la più malagevole a coneepirsi pel cumune dei lettori.

Non pertanto questo trattato, attesa la natura di simili produzioni d'ingegno, e la maniera di argomentare del tempo in cui fu scritto, riesce lungo e faticoso per quelli che ne intraprendono la lettura.

Abbiam dunque creduto che, estraendone quanto puramente riguarda la forma, posizione e misura dell'Inferno, e ommettendo le prove oramai riconosciute uniformarsi alla mente dell'Autore, si potesse portar molta luce per l'intelligenza del poema, e ritrovarvi le più minute posizioni e dimensioni del luogo dell'azione Ed ecco l'oggetto del presente tentativo.

Immagina il Poeta che questo suo Inferno consista in uno spaziosissimo vallone circolare, il cui diametro sia eguale alla profondità, e che questa si appunti al centro universale del globo, determinato in miglia tre mila dugento quaranta cinque, e cinque undecimi, secondo l'opinione che correva al suo tempo, avvalorata da molti antichi Matematici, e specialmente da Andalo Ligure geome'ra pe' suoi tempi distinto, e maestro del Boc. caccio in astrologia, secondo che scrive Giannozzo Manetti nella sua Vita. Imperocchè secondo le dottrine di questi, segui tate dall'Alighieri, come rilevasi da più luoghi del suo Convito, cssendo l'aggregato terracqueo, misurato nella sua circonferenza, miglia ventimila quattrocento, il semidiametro dell' aggregato, e perciò la distanza dalla superficie al centro si troverà essere miglia tremila dugento quarantacinque, e cinque undecimi.

Considera egli dunque che questo spazio sia coperto da una specie di volta formata dalla natura assai rozzamente, tolta la quale, si rendesse visibile l'immensa concavità dalla volta in giù, fin dove si appunta a guisa di un cono rovesciato, comin. ciando dal primo cerchio, e consecutivamente scendendo agli altri, della forma e dimensioni che si descriveranno.

Il Manetti giustamente si spiega relativamente a questa concavità, rassomigliandola alla fabbrica di un anfiteatro, se l'anfiteatro, dice egli, che ha piazza al di sotto proporzionata alla sua grandezza, terminasse in un piccolo cilindro, o specie di pozzo, che alquanto più si profondasse, non solo per giungere al centro del globo, ma da occupare ancora una porzione dell'emisfero inferiore, come vedremo. Perchè come l'anfiteatro aveva gradi dove gli spettatori sedevano, cosi a questo Inferno

in luogo di gradi sono cerchj, abbenchè due se ne trovino a un medesimo piano; come se nell' anfiteatro fossero i gradi in terrotti da una separazione, propria degli antichi teatri, e che chiamavasi precinzione.

Per procedere con ordine, il nostro Manetti si occupa del ritrovamento della selva, nella quale è l'entrata dell' Inferno; e dopo molte congetture la determina fra il monte Miseno e Cuma (1), circa a Pozzuolo in su la marina, che egli descrive prossimamente in questa forma: «La costa sua più alta, poichè » l'Alighieri la pone montuosa, è dalla parte di levante equino» ziale, e calando verso ponente, termina ad una valle, onde » sorgono due monti, uno dilettevole, all'incontro di questa sel» va di verso ponente, e l'altro salvatico e alto. In sulla sinistra » chi essendo, nella valle guardasse, guarderebbe appunto verso » mezzodi e verso la marina di quel luogo. » L'entrata dunque dell'Inferno sarebbe sul predetto monte, cioè sopra quello che dice essere alla mano sinistra, e che chiama salvatico, nella

(1) A giustificazione del Manetti, che che altri ne pensino, riguardo alla situazione in cui ha posto l'ingresso di questo Inferno, non ben definita dal Poeta, dobbiamo rammentarci che nei più remoti tempi una grande estensione di paese attorno a Cuma era abitata dai Cimmerj, popoli, al dire di Omero, che vivevano in una perpetua notte, da tanta e siffatta caligine erano continuamente ingombrati. In mezzo a questa popolazione, e precisamente presso a Cuma, come a tutti è noto, era la porta, per cui Omero fa penetrare Ulisse nell' Inferno, e Virgilio vi ha poi fatto discendere Enea. Ora la caligine che avvolgeva i Cimmerj, le aperte voragini, la palude sulfurea di che ronte, i fiumi di fuoco ec., quantunque possano sembrare a prima vi. sta pure invenzioni poetiche, hanno avuto però una esistenza reale nella natura. I Vulcani ardenti presso a Cuma, il fuoco da cui erano coperti quei contorni; le correnti di lava che tratto tratto si vedevano scorrere per lo pendio di quelle arse montagne; il sotterraneo muggito che precedeva le eruzioni, dettero occasione a' Poeti d'inventare e di fissare quivi il luogo dove si accolgono e si tormentano le anime dei malvagi. Il lago che tuttora chiamasi di Averno, e che sta presso a Cuma, è manifestamente il cratere di un estinto Vulcano. Tutto ciò risulta dalle dotte ricerche istorico-fisiche dell'Ab. Domenico Testa, sagacemente esposte in una Lettera sopra l'antico Vulcano delle paludi pontine, Roma 1784.

Non deve dunque far meraviglia che il Manetti abbia determinato per l'ingresso dello Inferno di Dante quello stesso di cui si erano prevaluti Omero e Virgilio, esistessero o no ai tempi loro gli avanzi di questo fenomeno, lo che è questione.

costa superiore; e sopra questa entrata o porta sono scritte quelle parole al principio del terzo canto:

Per me si va nella città dolente ec.

L'Autore, forse per seguitare la per lui ritrovata analogia fra questa fabbrica e quella dell' anfiteatro, spicca un salto, e come se si volesse trasportare nell'arena, si riduce nel più profondo di questo abisso, che è lo stesso che dire partirsi dal centro del globo; e qui ci fa osservare la palude che il Poeta chiama Cocito, che fa parte dell'infimo e più basso cerchio, e su cui si eleva il pozzo, le cui sponde tanto si stringono, quanto si allontanano dal fondo da cui esse muovono; forse così immaginato, acciocchè in questa sua larghezza avesse luogo la tomba di Lucifero, per cui bisognava molto spazio .

Questo pozzo dopo un certo tratto prende la figura quasi cilindrica perpendicolare, ed in questa forma giunge alla ghirlanda dei Giganti, e qui comincia il secondo cerchio.

Consiste questo in una valle circolare che va di mano in mano elevandosi e allargaudosi, intantochè nella più alta e sua maggior larghezza ella ha di diametro miglia trentacinque, e dal centro fino a questa altezza giunge appunto a miglia ottantuno, e tre ventiduesimi.

In questa valle sono inchiusi dieci fossoni concentrici l'uno all'altro, e pendenti verso il centro, che è il pozzo; ed in questi egli pone i fraudolenti, assortendo gli di fossa in fossa e di basso in basso, secondo la gravità delle colpe. Così l'Autore al decimottavo canto dell' Inferno, che comincia:

Luogo è in Inferno detto Malebolge,

che così egli chiama questa valle.

Dalla maggiore e più alta grotta del piu elevato di questi fossoni incomincia, e se ne va sempre in alto allargandosi coi suoi perpendicolari, un vasto spazio di separazione, detto il burrato di Gerione, perfino dove tocca il terzo cercbio, che è una distanza di miglia settecento trenta, e cinque ventiduesimi.

Questo terzo cerchio è distinto in tre gironi o ambulacri, nel superiore de' quali sono puniti i violenti al prossimo; nel medio i violenti a sè stessi; e nell' inferiore i violenti alla natura e a Dio. E da questo cerchio elevandosi pure un altro spazio verso l'altezza, e allargandosi sempre, si perviene al quarto cerchio.

Consiste questo in un ampio cimitero di sepolture, che circonda internamente le mura della città di Dite, ove sono puniti gli eresiarchi. Al di là delle mura, vale a dire dalla parte esteriore

esistono le fosse che cingono la città; le quali, dilatandosi, formano la palude Stige: e tutto questo spazio, insieme con gli alti argini, forma il quinto cerchio; e così il quarto e il quinto cerchio sono ad un medesimo livello, distinti solo e separati l'uno dall' altro dalle mura della città di Dite, e non per distanza alcuna dal centro alla superficie, come gli altri. In queste fosse stanno immersi i superbi e gl'invidiosi, e nella contigua palud egl'iracondi e gli accidiosi.

Dal terzo cerchio, che dicemmo essere dei violenti, al quarto e al quinto descritto, havvi, secondo il calcolo del Manetti, miglia quattrocentocinque, e quindici ventiduesimi; lo che viene ad essere l'ottava parte del semidiametro dell'aggregato del globo terracqueo .

Seguitandosi pure allo insù (chè sempre si trova più largo lo spazio della concavità di questo Inferno), si arriva con altrettanta distanza al sesto cerchio, destinato ai prodighi ed agli avari; e così ascendendo di mano in mano, e sempre allargandosi, si trovano gli altri cerchj elevati uno sopra dell' altro per pari intervalli e distanze, come noi abbiamo detto dal terzo al quarto, cioè miglia quattrocentocinque, e quindici ventiduesimi, col seguente ordine cioè il sesto destinato ai golosi, il settimo ai lussuriosi, e l'ottavo che di tutti, è il supremo e chiamasi il Limbo; e da questo parimente alla superficie della terra sono miglia quattrocentocinque, e quindici ventiduesimi, che è, come poco innanzi dicemmo, l'ottava parte del semidiametro del nostro globo.

Così in sostanza otto sono le perpendicolari divisioni, e nove i cerchj; poichè il quinto cerchio ed il sesto esistono ad una stessa parità di livello. Le prime sei, rifacendosi dalla sommità, e discendendo fino al settimo cerchio, sono disposte ad eguali altezze fra loro, cioè all'ottava parte del semidiametro, o (che è lo stesso) della profondità o altezza dell'Inferno; ma gli altri due cerchj che restano fino al fondo, e che coi loro intervalli occupano l'altezza che rimane di miglia ottocento undici, e quattro undecimi, sono in diverso modo distribuiti. Imperocchè avendo di sopra determinato che l'ottava ed ultima distanza al confine del nono cerchio, cioè al centro, è di miglia ottantuno, e tre ventiduesimi, si residuerà l'altezza dal settimo cerchio all'ottavo in miglia settecento trenta, e 'cinque ventiduesimi; ed in tal forma si sarà consumato con queste otto distanze e nove cerchiature tutta l'altezza del semidiametro.

Avendo in tal guisa il Manetti con un apparato di prove e

di ragioni distribuita l'altezza dei suoi gradi, passa con eguale facilità ad istruirci della larghezza orizzontale dei medesimi gradi o cerchiature; e con un ordine inverso rifacendosi dal primo e più elevato, che dicemmo essere il Limbo, assegna al suo piano la larghezza di miglia ottantasette e mezzo. Questo piauo, conforme a tutti gli altri che ne succedono, ha dal lato più stretto la grotta che scende a perpendicolo iufino all' altro cerchio.

Gira il secondo con una larghezza di miglia settantacinque.
Il terzo con una larghezza di miglia sessantadue e mezzo.
Il quarto con una larghezza di migtia ciuquanta.

Il quinto con una larghezza di miglia settantacinque; che la metà, di miglia trentasette e mezzo, è occupata dalla larghezza della palude, e l'altra metà dal fosso rasente alle mura della città di Dite.

Il sesto, che è il cimitero attorno alle dette mura nell'interno della città, gira con una eguale larghezza di miglia trentasette e

mezzo.

Ilsettimo cerchio gira con unalarghezza di miglia settantacinque, e questo include i tre giorni di una eguale dimensione; onde ne tocca a ciascheduno miglia venticinque, compresovi le loro separazioni.

L'ottavo, che è quello di Malebolge, gira con una larghezza di miglia sedici e mezzo'; imperocchè questo cerchio di Malebolge, che, come si disse, è una valle rotonda che inchiude in se dieci fossoni concentrici, ha un pendio che s'estende e profonda fino al pozzo dei Giganti; il qual pozzo ha di diametro nella sua sboccatura, o sponda, miglia due: le quali detratte dalle miglia trentacinque, che dicemmo avere di diametro tutto questo cerchio di Malebolge nella sua più alta fossa restano miglia trentatrè, che divisi per metà, danno, per larghezza dello spazio occupato dai fossoni, miglia sedici e mezzo.

Proporzionando la rispettiva larghezza di ciascheduno di questi fossoni relativamente all'intera cavità, trovo che facendoli larghi ugualmente miglia uno e un terzo, occuperebbero miglia tredici e un terzo, e che rimarrebbero miglia tre e un sesto da ripartirsi negli argini che gli separano; i quali, riuscendo di un terzo di miglio, tolta qualche frazione, sarebbero la quarta parte della larghezza dei fossoni, e così di un rapporto, fra il pieno e il vuoto, geometrico e ragionato.

Il nono ed ultimo, che si può piuttosto dire punto che cerchio, consiste nel fondo del pozzo, ed occupa quasi il diametro delle quattro sperette della ghiaccia, che è esso pure miglia uno

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