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LETTER A

DEL DOTTOR

Giuseppe Bianchini di Prato, scritta da esso ad un Religioso suo amico, nella quale si dimostra che la lettura di Dante Alighieri è molto utile al Predi

catore.

Io ho assai volte udito dire per modo di proverbio che

il discorrere fa discorrere ; ond'è che a' giorni passati, mentre insieme amendue passeggiavamo per diporto in un luogo, non meno solitario, che d'amenità e di vaghezza adorno, e d'uno in altro ragionamento passando, a ragionar finalmente si prese della buona maniera di predicare; alla qual cosa, riguardo alla professione vostra di Religioso, vi siete dato interamente, con isperanza di riuscire a maraviglia per lo vostro sublime e forte talento. E perchè io, dopo aver molte cose considerato, vi affermai che ad un predicatore di molto profitto sarebbe la lettura del gran poema di Dante Alighieri, voi ve ne maravigliaste; e come che io mi sforzassi con quelle poche ragioni, che allora mi nascevano in mente, di rendervi persuaso di quanto io diceva, nulladimeno non mostraste di rimanerne appagato, anzi piuttosto giudicaste questa opinionc ed asserzione mia dalla venerazione profondissima, che a questo divino Poeta io porto, solamente provenire: or dunque ho voluto adesso scrivervi per dirvi e dimostrarvi più diffusamente e in maggior numero tutte quelle ragioni ed osservazioni, per le quali io mi do a credere che voi dobbiate l'opinione mia ben volentieri abbracciare.

Io non mi affaticherò a dimostrare che il predicatore

fa di mestieri che sia Vir bonus dicendi peritus; poichè se tale giudicò saggiamente Cicerone che dovesse essere il suo oratore, che nell'antico Foro romano non altro che le difese degli innocenti e le accuse de' rei eloquentemente a trattare eca destinato; quanto sarà cosa maggiormente necessaria, che alla forbitezza dell'eloquenza la bontà de' costumi nel predicatore vada congiunta, il quale, non già le cause forensi maneggiar dee, ma bensì spiegare i dogmi altissimi della nostra sacrosanta cristiana religione, correggere il vizio, muovere gli ascoltatori suoi a porre il freno alle passioni, e al bello e soave amore della virtù gli animi altrui finalmente infiammare? Nè meno perderò il tempo a far conoscere quanto abbisogni una buona intelligenza della morale Filosofia; perciocchè, senza molta osservazione e facilmente, ciò vedere si puote dal solo aprire i libri di Cicerone, di Quintiliano, e la Rettorica d'Aristotile, la quale piuttosto un trattato di Etica, che Instituzioni oratorie sembra che sia: tanto stimò necessaria all'oratore questa parte di Filosofia il Maestro di coloro che sanno. E finalmente nulla dirò di quanto obbligato sia il predicatore ad essere profondamente instruito nella Teologia più sublime; poichè senza questa facoltà cicalatore sarebbe, ma non mai predicatore: e voi, che ben di ciò ne andate persuaso, vi siete fatto col forte e continovo studio quell' eccellente teologo che in più d'una occasione con vostra gloria vi siete dato a conoscere. Affermerò solo bensì, per venire all'inteso mio ragionamento, che ad un predicatore molto utile sia la lettura della Commedia di Dante: e, per ciò evidentemente mostrare, comincierò in primo luogo a ricordarvi che la lettura dei poeti è non meno da'grandi oratori praticata, di quello che inseguata e comandata sia da' primi maestri di quest'arte. Quintiliano nelle Instituzioni Oratorie, là dove tratta dell'abbondanza delle parole, rapportando la dottrina di Teofrasto, così la. sciò scritto: Plurimum dicit Oratori conferre Theophrastus lectionem Poetarum, multique ejus judicium sequuntur, neque immerito; namque ab iis, et in rebus spiritus,et

in verbis sublimitas, et in affectibus motus omnis, et in personis decor petitur. E prima di Quintiliano, Cicerone negli eloquentissimi Dialoghi de Oratore disse anch'egli che a chiunque brama eccellente orator divenire fa d'uopo ancora leggere i poeti. E perchè dove egli diede questo precetto, molte altre cose utilissime insegnò, non tralascerò di portare interamente tutto quel passo, in cui non meno la solidità degl'insegnamenti che il fiore dell'eloquenza risplende. Educenda deinde dictio est ex hac domestica exercitatione, et umbratili, medium in agmen, in pulverem, in clamorem, in castra, atque a ciem forensem, subeundus usus omnium, et periclitandae vires ingenii, et illa commentatio inclusa in veritatis lucem proferenda est. Legendi etiam Poelae, cognoscenda historia, omnium bonarum artium scriptores, ac doctores, et le. gendi, et pervolutandi, et exercitationis causa laudandi, interpretandi, corrigendi, vituperandi, refellendi, disputandumque de omni re in contrarias partes ; et quicquid erit in quaque re, quod probabile videri possit, eliciendum, atque dicendum. Perdiscendum jus civile, cognoscendae leges, precipienda omnis antiquitas, senatoria consuetudo, disciplina Reipublicae, jura sociorum, foedera, pactiones, causa Imperii cognoscenda est: libandus est etiam ex omni genere urbanitatis facetiarum quidam lepos, quo tanquam sale perspergatur omnis oratio. Anzi lo stesso romano Oratore, nell'orazione che egli fece in difesa d'Archia poeta, si dichiara apertamente, che dalla lettura dei poeti molto, per formare la sua grande eloquenza, egli apparò; perciocchè non d'altronde, che da quel foute, la leggiadria, la maestà, ed il numero sonoro, per vero dire, trarre potea: e Platone credo io che non per altro eloquentissimo divenisse, se non perchè i suoi dottissimi Dialoghi della grandiloquenza poetica adornare gli piacque. Ma poi mi direte che le autorità e gli esempi che io ho addotto, sono di soggetti che nella Gentilità vivuti sono, e che perciò molto bene poteano colla grandezza, colla gentilezza e collo

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spirito de' poeti i loro discorsi condizionere; ma che il predicatore, il quale, oltre alla professione di Cristiano, egli altresì deve essere a chi l'ascolta, l'esortatore a virtuosamente vivere, secondo i comandamenti e i consigli evangelici, convenevolmente e giudiziosamente non mai ado pererà, se belli vorrà fare i ragionamenti suoi con quelle vaghezze e con quelle leggiadrie, le quali, benchè poi in propria sostanza le abbia trasformate, nulladimeno le avrà sempre prese da' poeti, che profani scrittori sono, ed alle volte ancora di materie troppo condannabili componitori. Se voi così ragionaste, benchè per la stima che io fo della squisitezza del giudizio vostro con difficoltà potrei indurmi a crederlo, io vi risponderei, che v'ingannate all'ingrosso; e per farvi conoscere il vostro inganno, e lo sbaglio che prendereste, vi direi che i santi Padri e i Dottori della Chiesa non hanno così disprezzata la lettura de' poeti, anzi del garbo, dell'aria, e talvolta delle cose di essi hanno bene spesso sparsi e conditi i libri loro, che di tanto e sì grande giovamento alla Cristianità cagione sono e saranno. Leggasi s. Agostino ne' libri de Civitate Dei, e si vedrà quanti passi di poeti Gentili egli quivi al suo bisogno rapporti. Si veda s. Cipriano nel piccolo trattato Quod Idola Dii non sint, e si conoscerà che non meno dell'istoria profana che delle favole pratichissimo egli era. Si dia un'occhiata alle facondissime Omilie di s. Giovanni Grisostomo, il quale è il principe de' sacri oratori, e chiaro si scorgerà, da chi è di buona veduta fornito, quanta magnificenza poetica sia, senza discapito della ecclesiastica gravità, nell'eloquenza sua giudiziosamente trasfusa. Si considerino le opere di Clemente Alessandrino, di Orige ne, di s. Gregorio Nazianzeno, che nobilissimo poeta fu altresì, di s. Basilio, che scrisse fino un'omilia, nella quale insegnò ai giovani come si debbono leggere i poeti; e finalmente, per tacere di molti e molti altri, si considerino le opere del gran s. Girolamo, cujus eloquium, dice s. Agostiuo, ad instar lampadis, ab Oriente ad Occidentem resplendit, e si verrà bene in cognizione di quanto

Popinione mia francheggiata e confermata rimanga. I quali tutti avevano ciò imparato da quel Vaso d'Elezione che scelto fu a portare il nome di Gesù Cristo per l'universo, cioè da s. Paolo, che nelle sue divine pistole i versi d'Epimenide e di Menandro trasmichiar volle ed inserire; e in una predica fatta agli Ateniesi nell'Areopago chiamò in testimonianza il poeta Arato, una sua sentenza citando. La ragione poi, per la quale deesi, e torna molto in acconcio, prendere alle volte e sentimenti e frasi dai Gentili scrittori, la rapporta con gran saviezza s. Girolamo nella pistola che egli a Magno, romano oratore, intorno a questa materia indirizzò; ove egli, a s. Paolo riflettendo, che i versi e le sentenze di alcuni poeti, come ho detto, adoperate avea, così disse: Didicerat enim a vero David extorquere de manibus hostium gladium, et Goliae superbissimi caput proprio mucrone truncare. Legerat in Deuteronomio Domini voce praeceptum, mulieris captivae radendum caput, supercilia, omnes pilos, et ungues corporis amputandos, et sic eam habendam in conjugio. Quid ergo mirum si et ego sapientiam saecularem, propter eloquii venustatem, et membrorum pulchritudinem, de ancilla, atque captiva Israelitidem facere cupio? et si quicquid in ea mortuum est idolatriae, voluptatis, erroris, libidinum, vel praecido, vel rado? Da tutto ciò che finora io vi ho detto mi do a credere che restiate ben persuaso che non solo agli oratori, generalmente parlando, dicevole e profittevole sia la lettura de' poeti della Gentilità, ma ai predicatori altresì, sull' esempio dell'Apostolo delle nazioni e de' santi Padri, i quali non isdegnarono spargere le cose loro di quei fiori che coglier vollero da' componimenti de' Gentili poeti. E se dicevole e profittevole è a' predicatori la lettura de' Gentili poeti, conviene conseguentemente confessare che la lettura della Commedia di Dante sarà loro non solo utile, ma utilissima ancora sovra tutti gli altri poeti, come adesso intendo chiaramente dimostrarvi. Se il sapientissimo s. Girolamo e colla dottrina e coll' esempio dimostrò come le

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