Di si bella abbondanza;
Oimè quella speranza,
Ch'ogn'altra mi facea veder addietro, E lieve mi rendea d'amor lo peso, Oimè, rotto hai, qual vetro,
Morte, che vivo m'hai morto ed impeso.
Oimè, donna, d'ogni virtù donna,
Dea, per cui d'ogni dea,
Siccome volse Amor, feci rifiuto. Oimè, di che pietra qual colonna In tutto 'l mondo avea,
Che fosse degna in aere darti aiuto? Oimè, vasel compiuto
Di ben sopra natura,
Per volta di ventura,
Condotto fosti suso gli aspri monti; Dove t'ha chiusa, ahimè, fra duri sassi La morte, che due fonti
Fatto ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
Oimè morte, finchè non ti scolpa,
Dimmi almen per gli tristi occhi miei, Se tua man non mi spolpa
Finir non deggio di chiamar omei?
GANZONE XXVIII.
O patria degna di trionfal fama,
De' magnanimi madre,
Più ch'in tua suora in te dolor sormonta.
Qual è de' figli tui che in onor t'ama,
Sentendo l'opre ladre
Che in te si fanno, con dolore ha onta. Ahi quanto in te l'iniqua gente è pronta A sempre congregarsi alla tua morte,
Con luci bieche e torte
Falso per vero al popol tue mostrando! Alza il cor de' sommersi il
Nel tuo giudicio; sì che in te laudando Si posi quella grazia che ti sgrida, Nella quale ogni ben surge, e s'annida. Tu felice regnavi al tempo bello, Quando le tue rede
Voller che le virtù fussin colonne.
Madre di loda e di salute ostello
Con pura, unita fede
Eri beata, e con le sette donne. Ora ti veggio ignuda di tai gonne, Vestita di dolor, piena di vizi, Fuori i leali Fabrizi:
Superba, vile, nimica di pace. O disonrata te! specchio di parte, Poichè se' aggiunta a Marte: Punisci in Antenora, qual verace
Non segue l'asta del vedovo giglio:
E a que' che t'aman più, più fai mal piglio.
Dirada in te le maligne radici:
De' figli non pietosa,
Che hanno fatto il tuo fior sudicio e vano:
E vogli le virtù sien vincitrici:
Si chè la Fe' nascosa
Resurga con Giustizia a spada in mano, Segui le luci di Giustiniano,
E le focose tue mal giuste leggi
Con discrezion correggi,
Sicchè le laudi 'l mondo, e 'l divin regno. Poi delle tue ricchezze onora e fregia Qual figliuol te più pregia:
Non recando a' tuo' ben chi non è degno. Sì che Prudenza, ed ogni sua sorella Abbi tu teco, e tu non lor rubella.
Serena e gloriosa in su la ruota, D'ogni beata essenza,
Se questo fai, regnerai onorata.
E 'l nome eccelso tuo, che mal si nota, Potrà poi dir Fiorenza;
Dacchè l' affezion t'avrà ornata,
Felice l'alma che 'n te fia creata!
Ogni potenza e loda in te fia degna. Sarai del mondo insegna.
Ma, se non muti alla tua nave guida, Maggior tempesta con fortunal morte Attendi per tua sorte
Che le passate tue piene di strida. Eleggi omai: se la fraterna pace Fa più per te, o 'l star lupa rapace. Tu ten andrai, Canzone, ardita e fera Poichè ti guida Amore
Dentro la terra mia, cui doglio e piango. E troverai de' buon, la cui lumiera
Non dà nullo splendore,
Ma stan sommersi, e lor virtù è nel fango. Grida: surgete su, che per voi clango. Prendete l'armi, ed esaltate quella, Che stentando viv'ella,
E la divoran Capaneo e Crasso, Aglauro, Simon mago, il falso Greco E Macometto cieco,
Che tien Giugurta e Faraone al
Poi ti rivolgi a' cittadin tuoi giusti, Pregando si ch'ella sempre s'augusti.
GANZONE XXIX.
Voi, che, intendendo, 'l terzo ciel movete,
Udite 'l ragionar ch'è nel mio core; Che nol so dir altrui, sì mi par novo: Il ciel, che segue lo vostro valore, Gentili criature che voi siete, Mi tragge nello stato, ov'io mi trovo; Onde il parlar della vita ch' io provo Par che mi drizzi drittamente a vui; Però vi prego che lo m'intendiate: Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui, E come un spirto contro lei favella, Che vien pe'raggi della vostra steila. Suol esser vita dello cor dolente
Un soave pensier, che se ne gìa Spesse fiate a' pie' del vostro sire:
Ov'una donna gloriar vedia,
Di cui parlava a me sì dolcemente Che l'anima dicea: I' men vo'gire. Or apparisce chi lo fa fuggire; E signoreggia me di tal vertute,
Che 'l cor ne triema, sì che fuori appare. Questi mi face una donna guardare; E dice: Chi veder vuol la salute,
Faccia che gli occhi d'esta donna miri; Sed ei non teme angoscia di sospiri. Trova contraro tal, che lo distrugge L'umil pensiero, che parlar mi suole D'un'angiola che in Cielo è coronata . L'anima piange sì che ancor le duole; E dice: lassa me! come si fugge Questo pietoso che m'ha consolata. Degli occhi miei, dice quest'affannata, Qualora fu che tal donna gli vide; E, perchè non credeano a me di lei? Io dicea ben: Negli occhi di costei De' star colui, che li miei pari occide; E non mi valse ch'io ne fossi accorta, Che nol mirasser tal ch'io ne son morta. Tu non se' morta, ma se'sbigottita, Anima nostra, che si ti lamenti, Dice uno spiritel d'amor gentile; Che questa bella Donna, che tu senti, Ha trasmutata in tanto la tua vita, Che n'ha paura; sì è fatta vile: Mira quanto ella è pietosa ed umile,
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