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formavano alla semplicità e vivezza del parlar comune, di quanto allontanavansi dal fare magniloquente ed artificioso degli scrittori antichi.

Altri esemplari alla prosa nascente sono i libri francesi; dacchè come il nuovo latino d' Occidente si era più specialmente e da prima volto al verso presso i Provenzali, di preferenza e, se non esclusivamente, in più gran copia si esercitò alla prosa nel francese. Allegat, dice Dante, pro se lingua d'oil, quod propter sui faciliorem ac delectabiliorem vulgaritatem, quicquid redactum sive inventum est ad vulgare prosaicum, suum est: videlicet Biblia cum Trojanorum Romanorumque gestibus compilata et Arturi regis ambages pulcerrimæ.1 Dal francese infatti di Benoit de Sainte-More e non da Ditti e Darete aveva attinto materia alla sua storia trojana, scritta in latino, Guido delle Colonne, e alla stessa fonte ricorsero direttamente i molti scrittori in volgare, che rimanipolarono cotesto ciclo cavalleresco: dal francese vengono le tradizioni greche e latine pur vestite a foggia cavalleresca, come i Fatti di Alessandro e di Cesare; dal francese, la Tavola Ritonda, il Tristano, il Giron Cortese, il viaggio di Carlo in Spagna, e altri romanzi dell' epopea brettone e carolingia. E pur da cotesta fonte derivano libri di novelle, come quello dei Sette Savj, e novelle spicciole, e così anche Miracoli della Vergine e Vite di santi e sante, cosicchè ad esso spetta in gran parte quanto ha forma narrativa. E i traduttori riproducevano cotesto linguaggio piano e snodato, cosi sostanzialmente del resto affine al volgar nostro, come che scaturito nella ragione etimologica e nella significazione dei vocaboli dalla stessa origine, e spesso di schietti francesismi infarcivano il loro dettato; e di là, ad ogni modo, prendevan norma e regola alle proprie scritture. Qualche volta anche facevano un composto delle varie forme; come Dino Compagni che qua e là ha sentore delle narrazioni francesi, specie nell'andamento analitico e nella semplice congiunzione de'periodi, ma che altrove ricorda, nella veemenza dello stile, il latino della volgata, e in particolar modo quello de' Profeti; se anco egli tutto ciò, rimpasti come a dire, di sua mano e vi lasci l'impronta sua propria. Dal francese trasse più tardi gran copia di soggetti alle sue novelle il Boccaccio, ma i soggetti soltanto: perchè, sapendo egli che cosa fosse stile, a tanto si stette, rimutando sostanzialmente quelle tiritère da cantastorie in signorili narrazioni, e gettando su quegli scarni e rozzi fantocci il romano paludamento della sua prosa.

Premesse queste generali considerazioni sull'origine della poesia e della prosa volgare, verremo a dire della scelta de'brani di

1 De vulg. eloq., I, X, 2.

2 Vedi GORRA, Testi ined, di storia trojana, Torino, Loescher, 1887, pag. 101

e segg.

autori del secolo XIII qui raccolti, e del metodo tenuto nel qui riprodurli.

Noi non dobbiamo fare un libro pei filologi, ma pei giovani che attendono agli studj delle lettere, e perciò dobbiam loro offrire esempi di composizione e di stile, anzichè meri documenti di lingua. Ciò posto, non parrà strano se non abbondiamo nel registrare brani di autori del secolo XIII e se non diamo luogo a nessuna scrittura in dialetto. Ci siamo presi anzi licenza di ritoccare moderatamente questi testi, tanto più che, spesso per le poesie sarebbe difficile affermare qual ne sia la vera lezione,' e ne abbiamo tolte qua e là alcune peculiarità di forma, che troppo discordano dall'uso comune e moderno, ma che modificate, nulla tolgono al carattere speciale di quelle antiche scritture. Non avremmo voluto che queste viete forme disgustassero i giovani, e appunto quelli del primo anno liceale, dallo studio de' nostri buoni vecchi, ai quali resta la schiettezza della lingua e dello stile, quand'anche certe configurazioni de' vocaboli o certe desinenze si mutino. Ma questi ritocchi, lo ripetiamo e confermiamo, abbiam fatto con molta misura, talchè non possa perciò dirsi alterata sostanzialmente l'effigie dello scrittore e del secolo.

Perchè poi in questo tempo non ci aiuta, come ne'secoli successivi, la ragion cronologica, alla quale ci atteniamo nel registrare gli autori, cominceremo col raccogliere alcuni esempj di poesie dei Siciliani, e poi de' loro imitatori Toscani: passeremo indi a fra Guittone e ai guittoniani, e poi a ser Brunetto, per poi venire ai poeti toscani intermedj fra la maniera provenzaleggiante c lo stil nuovo, recando anche, con un cantico di Jacopone, esempio della poesia religiosa umbra. Per quel ch'è della nuova forma poetica, la vedremo prima accennata in Guido Guinizelli, poi piena e matura ne' rimatori fiorentini; ma le rime di Dante, che a questa maniera appartengono, saranno riferite a suo luogo colle altre scritture del sommo poeta. Ultimi verranno alcuni poeti, giocondi nella materia e nello stile. Seguiranno infine le prose, senza però poter neanche per queste regolarci a puntino secondo i dati cronologici, che non sempre possediamo, sì da essere in ogni caso ben sicuri di non aver errato. Certo è che il periodo più fecondo di antiche scritture in prosa va dall' ultimo ventennio del dugento al primo del trecento, sicchè, come ben spesso avviene, il secolo XIII fa quasi a dire una punta nel successivo. Non senza del resto matura ponderazione ci siamo indotti a qui riferire certe scritture, ed altre riserbarne pel secolo XIV. Così abbiamo collocato Marco Polo fra i trecentisti, perchè se la dettatura francese de' suoi viaggi dovuta a Rusticiano è del 1298, il volgarizzamento italiano deve

1 Vedi N. CAIX, Le origini della lingua poetica italiana ec., Firenze, Le Monnier, 1880, pag. 38 e passim.

Ad es. è invece di èe, fu per fue, mio per meo, dio per deo, egli per el o elli e simili, ogni volta che non cadessero in rima.

ragionevolmente esser posteriore. Dino Compagni, sebbene prenda le mosse dai casi del 1280, dovè comporre insieme la sua Cronica fra la caduta de' Bianchi e la catastrofe di Arrigo VII. Diremo a suo luogo perchè fra le scritture del dugento abbiamo compreso la Cronaca di Montaperti, e un brano della Cronica malispiniana. Allo scorcio del secolo appartiene secondo noi il Novellino nella prima sua forma, ma non molto posteriori dovettero essere alcuni racconti che vi si vennero inserendo, e che, ad ogni modo, per identità di materia abbiamo accodato ai primitivi. E dello scorcio del dugento ci sembrano anche il Libro dei Sette Savj, i Conti devoti senesi, e il Fior de' filosofi e quello degli imperatori. Anche la Tavola Ritonda ha sentore di dugento, e la data che trovasi in un cod. (Riccard. 1543) e che è il 1313, appartiene più verisimilmente alla trascrizione, che alla composizione del libro. La stessa data del 1313 troviamo nel cod. Riccard. 2418 dei Fatti di Cesare, ma l'altro di n. 1538 fu da taluno aggiudicato al secolo XIII, e l'opera sembra potersi a ragione appropriare al dugento.

Possiamo in qualche caso aver errato, sia nell' ammettere, sia nell' escludere, ma spesso procedevamo nelle tenebre, in un limite incerto di età: e ad ogni modo vogliam sperare che ciò che abbiamo qui raccolto possa servire a dare un'idea abbastanza precisa degli atteggiamenti e delle forme del volgar nostro nel primo secolo del suo svolgimento; e del resto, non dimenticando l'indole essenzialmente didattica della nostra compilazione, abbiamo colle esemplificazioni addotte voluto più che all'arte dello scrivere, giovare alla conoscenza storica delle lettere e della lingua nostra.

[Per questo periodo veggansi, sopra tutti, A. BARTOLI, I primi due sec. della letter. ital., Milano, Vallardi, 1880, e Storia della letterat. ital., Firenze, Sansoni, vol. I-IV, 1878-81; A. GASPARY, La Scuola poetica siciliana del sec. XIII, trad. da S. FRIEDMANN con aggiunte dell' autore e pref. di A. D'ANCONA, Livorno, Vigo, 1882, e la Storia della letterat. ital., vol. I, trad. di N. ZINGARELLI, Torino, Loescher, 1887; T. CASINI, Periode der Angange (1220-1283) e Toskanische Periode (1283-1375) in Grundriss d. Rom. Philol., II B. 3 Abt., Strassburg, Trübner, 1896-7, pag. 7-131; F.TORRACA, Studi su la lirica ital. del duecento, Bologna, Zanichelli, 1902; F. NOVATI, Le origini, Milano, Vallardi (ancora (1902) in corso di stampa).

Per i testi degli autori, V. NANNUCCI, Manuale della letterat. del primo sec., Firenze, Barbèra, Bianchi e C., 1856, 2 vol.; A. BARTOLI, Crestomazia della poesia ital. nel periodo delle origini, Torino, Loescher, 1882; I. ULRICH, Altitalienisches Lesebuch d. XIII Jahrhundert, Halle, Niemeyer, 1886; E. MONACI, Crestomazia ital. dei primi secoli con prospetto delle flessioni grammaticali e glossario, Città di Castello, Lapi, 1889.

Per le poesie, oltre le raccolte più antiche e quelle di L. VALERIANI (Poeti del primo sec., Firenze, 1816), del VILLAROSA (Palermo, Assenzio, 1817) e il primo vol. di F. TRUCCHI (Poesie ital. ined. di dugento autori, Prato, Guasti, 1846), vedi Le rime antiche volgari secondo la lezione del codice Vaticano 3793 per cura di A. D'ANCONA e D. COMPARETTI, Bologna, Romagnoli, 1875-1888, 5 vol.; E. MOLTENI ed E. MONACI, Il Canzoniere chigiano L, VIII, 305, Bologna, Fava e Garagnani, 1878; T. CASINI, Testi inediti di antiche rime volgari, vol. I, Bologna, Romagnoli, 1883, e Il codice Laurenziano-Rediano 9, Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua, 1900; A. BARTOLI e T. CASINI, Il codice Palatino 418 della Bibl. nazion. di Firenze, Bologna, Romagnoli-Dall' Acqua, 1888; M. PELAEZ, Rime antiche ital. sec. la lezione del cod. Vat. 3214 e del cod. Casanatense d. v. 5, Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua, 1895.

Per la bibliografia di questo e del sec. successivo, vedi F. ZAMBRINI, Le opere volgari a stampa dei sec. XIII e XIV, 4a ediz. con Appendice, Bologna, Zanichelli, 1884, e i Supplementi a quest'opera di S. MORPURGO dal 1884 al 1891 nella nuova serie del Propugnatore; G. e L. FRATI, Indice delle carte di P. Bilancioni, contributo alla bibliogr. delle Rime volgari dei primi tre secoli, parte I, Rime con nome di autore, Bologna, Fava e Garagnani, 1893.]

POETI.

SAN FRANCESCO D'ASSISI.

La vita del Patriarca d'Assisi fu così presto abbellita dalla leggenda, che è difficile sceverarvi la storia dalla finzione poetica. Giovanni Villani dice (Cron., lib. V, 25) che la Sibilla Eritrea profetizzò (e la profezia fu anche attribuita all'abate calabrese Gioacchino da Fiore) che due stelle orirebbono in alluminando il mondo; e questi due luminari dovevano essere san Francesco fondatore dell'Ordine dei Minori e lo spagnuolo san Domenico fon

datore dell'Ordine dei Predicatori, vissuti entrambi nello stesso tempo.

Il fondatore della religione minoritica nacque ad Assisi, nella poetica Umbria, intorno al 1182, mentre suo padre, Pietro di Bernardone ricco mercante di panni, si trovava in Francia per affari.' Sua madre, Pica, per certa somiglianza che ella credeva di avere con santa Elisabetta, madre del precursore di Cristo, lo chiamò Giovanni; nome che gli sarebbe poi stato

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mutato in quello di Francesco dal padre reduce dalla Francia, in omaggio forse al paese ch'egli prediligeva ne' suoi traffici. Francesco, destinato alla mercatura, oltre a quella istruzione che a ciò era necessaria, imparò anche il francese, probabilmente dal padre che, per essere stato in Francia, doveva conoscerlo, o dalla madre, se veramente fu francese, come si crede. Comunque sia, è certo che l'assisiate nella sua propaganda religiosa si valse anche di canti francesi. Poca inclinazione egli aveva per il commercio; amante del lusso e dei divertimenti, preferiva di spassarsela tra liete brigate di giovani bontemponi, che lo riconoscevano loro capo: < princeps iuventutis ». Ma un fatto doveva operare un mutamento nell'animo del giovine spensierato. Nel 1202 Assisi prese le armi contro la rivale Perugia ed ebbe la peggio; sicchè Francesco con molti altri concittadini fu fatto prigioniero dai perugini. Durante la prigionia egli cominciò a esaltarsi e a sentire una vaga aspira

1 Sulla questione: se l'avo paterno di san Francesco fosse lucchese, si può vedere CARLO PALADINI, San Francesco d'Assisi nell'Arte " nella Storia lucchese, Firenze, 1901.

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