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odorino di villa; ma non è per questa parte, così un giudizioso scrittore, che noi vogliamo che sieno studiate e imitate, ma sì per quella che appartiene alla proprietà dei vocaboli, alla gentilezza de' modi, alla naturale collocazione delle parole, alla parsimonia degli ornamenti, e a tutto ciò che accosta alla natura le opere umane, quando per le false arti ne sono state disgiunte. Ed il fatto si è, aggiunge l'Alfieri, che chi avesse ben letti quei nostri vecchi quanto. ai loro modi, e fosse venuto a capo di prevalersi con giudizio e destrezza dell' oro de' loro abiti, scartando i cenci delle loro idee, quegli potrebbe forse poi ne' suoi scritti sì filosofici che pratici, o istorici, o d'altro qualunque genere, dare una chiarezza, brevità, proprietà e forza di colorito allo stile, di cui non ho visto finora nessuno scrittore italiano veramente andar corredato.

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In secondo luogo, ci vuole un poco di riverenza, dice il Salvini, verso i padri nostri e autori di quella bella lingua che ci fa onore, nè si deono così facilmente deprimere e sotterrare; perciocchè, se non altro, scuoprono le prime orditure e i primi lineamenti delle lingue e delle arti, e nelle loro scritture si ravvisa, al dire di Cicerone, come nelle dodici tavole, l'effigie dell' antichità, e la prima freschezza delle parole. E il medesimo Cicerone, quantunque avesse donde apprendere il bel parlare latino, o non ne avesse piuttosto bisogno, tuttavia compiangeva fino la perdita di quelle venerabili canzoni degli agresti Quiriti, che si cantavano fra i bicchieri molti secoli avanti al vecchio Catone, lagnandosi che molte cose incolte e rozze degli antichi dicitori del Lazio fossero per incuria degli uomini cadute dalla loro memoria; onde sclamava: oh avessimo noi ancora quei versi, i quali furono cantati ne'primi

Giorn. Arcad., Art. sul B. Jacopone.

Vita, Epoca IV, cap. I.

3 Antiquitatis effigies, et verborum prisca vetustas. De Orat., lib. I.

banchetti de' Quiriti! E come con tutto quel suo sospiro non avrebbe giammai per esse cambiata la sua magnifica eloquenza, ma ne avrebbe soltanto tolte quelle forme che ben si convenivano al dir latino, e conosciuta la proprietà di molte voci, ond' era incerto l'uso per la mancanza degli scritti di quei primi che le inventarono; così noi pure, se non dal lato dell' artifizio, ch' era ne' nostri primi scrittori ancor troppo rozzo, potremo però ricevere grandissima utilità da quello della lingua, togliendo ad imitare quel loro candore natio e schietto di voci nate e non fatte, quella nudità adorna sol di se stessa, quella naturale brillantissima leggiadria, quella efficace, animata, chiara breviloquenza, e quel colorito ancora di antico, che i pittori chiamano patina, e negli scrittori, mi sia lecito il dire, un vago sucido, uno squallor venerabile. "

Finalmente, il poco conto, in che sono oggi tenuti da alcuni i dettati de' primi padri del nostro linguaggio, io credo che in gran parte derivi dall' esserci essi pervenuti quasi tutti sfigurati e guasti per colpa degl' ignoranti copisti. Ma se si leggessero districati e chiari al modo che insegna l'arte, ch'è della critica, apparirebbero più politi e soavi che non si mostra nelle male scritture: e la loro dicitura, benchè rozza, appagherebbe forse non meno la curiosità degli studiosi di quel che facciano le opere de'nostri più tersi scrittori, nella stessa guisa, dice il Bottari, ch' ugualmente e forse più contenti e paghi rimangono quei viaggiatori, che finalmente a loro grand' agio hanno contemplato il Nilo nella sua origine, benchè povero e scarsissimo d'acque, che quelli i quali l'hanno osservato gonfio e ricco delle medesime per sette gran foci scaricarsi nel mare.

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1 Ulinam exlarent illa carmina, quæ multis sæculis ante suam ætatem in epulis esse cantata a singulis convivis... in Originibus scriptum reliquit Cato. Nel Bruto.

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Meno fastidio adunque per queste così dette e credute anticaglie,1 1 che si vuole avere anzi care, come cari avea Quintiliano gli scritti di Ennio, e Tullio ed Orazio quelli del vecchio Catone. Si venerino, chè questo è grande segno di animo nobile, le memorie di quei nostri buoni vecchi, ed andiam persuasi che, senza dar opera allo studio di essi, non si giungerà mai al pieno conseguimento della purità di quella lingua, che fu da costoro maravigliosamente formata e che, correndo la loro via, si correrà sempre la sicura e migliore. E sapientemente scrivea perciò Giusto Lipsio:

«At mihi prisca placita: et ut ille apud Comicum,

Qui utuntur vino vetere, sapientes putat,

Sic nos, qui doctrina. »

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Ma in quelle anticaglie, chi abbia gran giudizio e gran cuore, troverà tutto per dir tutto, e bene, e italianamente. E donde mai, se non dall'averle avute a superbo disdegno, è originato quel pazzo far di certuni, che briachi di smodato romanticismo, e vaghi più delle tenebre e delle nebbie boreali, che della ridente luce e dell'aperta serenità dell'italico cielo, t'escono fuori tuttodi con un impasto e un bastardume di stile scomunicato dalla terra e dal cielo? Eh via, si leggano un poco più i nostri primi padri, i quali, come ben affermava il Vannetti, sono a chi studia la lingua italiana ciò ch'è la Bibbia nel fatto della nostra religione, che non va a salvamento chi non comincia da quella; e le cose non andranno allora si zoppe, come per lo più si vedono andare. 2 Premes. ai suoi Saturnali.

NOTA CITATA A PAGINA VIII.

L'accusa di superfluità, quando sia comprovata col fatto, e muova da retto fine, si vuol portare in pace e in silenzio. Ma quando lanciata malignamente e con basse mire, è aliena affatto dal vero, sarebbe da stolto il tacere, e farsi agnello da essere divorato dal lupo. Ciò serva a giustificare la ragione di questa nota, ch'è la seguente.

A quel luogo di Dante, Paradiso, III, v. 25:

«Non ti maravigliar perch' io sorrida,

Mi disse, appresso il tuo pueril coto,

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il Quattromani ha scritto: Gli spositori non intendono questo luogo, perchè prendono coto per qualità, e leggono quoto. E coto dinota pen

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siero, ed è voce provenzale, ed è alterata da questa voce latina cogitatus. Qui il signor Pietro Fanfani annota : « Così interpretarono anche i Deputati alle correzioni; e il Nannucci, per provarlo, chè non c'era bisogno di prova, scrisse un opuscolo di 22 buone pagine.

n 1

La nota pizzica di ruggine e di veleno, ed è gettata là (conosciamo bene i nostri polli) con maligno intendimento. Cosa volete farci, vi diremo col Dal Rio, profondato maestro di prima bussola? La natura, ci vuol pazienza, ci stampò chiacchieroni, e inclinati al giulebbo lungo, negandoci l'invidiabile dono che ha conceduto a voi, abbondante di bel parlare, di dir sempre tutto in brevi parole, e bene; e di condirlo nel tempo stesso di quel sale samosatense, e di que' modi così saporiti e graziosi che dilettano e rapiscono maravigliosamente l'animo di chi legge le vostre squisite scritture:

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Vorremmo però sapere: a che fine piantare in quella vostra nota che` abbiamo scritto, per provare che coto vale pensiero, un opuscolo di 22 buone pagine, e che non c'era bisogno? Il fine lo ravvisa facilmente chi non è di maligna natura. Ma, diteci di grazia: quelle 22 buone pagine s'aggirano solamente sull'origine e sul valore della voce coto?

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Lettere precettive di eccellenti scrittori, pag. 319, nota 2. Come mai il signor Pietro Fanfani, che ha su per le dita la Divina Commedia, non ha scorto e corretto l'errore del Quattromani, che nel suo testo in luogo di Mi disse, appresso il tuo pueril coto, legge Mi misi appresso il suo pueril coto? Che sia l'influsso di qualche maligna stella, che lo perseguita e lo strascina facilmente e spesso a non ravvisare gli errori ed a citare malamente i passi degli autori? Così per es.:

Qui cupit optatam cursu contingere metam,
Multa fecit tulitque DIU. »

Loc. cit., pag. 51, nota 1.

a Qui STUDET optatam cursu contingere metum,
Multa TULIT fecitque puer. »

Loc. cit., pag. 171, nota 2.

« FLORICOMUS ver. »

Loc. cit., pag. 241, v. 14.

Il poema latino De partu virginis del POLIZIANO.

Loc. cit., Notiz. Vit. Aut., pag. XVI.

E quel suo latino da professore: « hoc dico certa et SALDA mente? »>

Loc. cit, pag. 202, nota 2.

Questo si chiama in buon toscano zoppicare non solamente in materia di prosodia, ma, ciò ch'è peggio, eziandio di grammatica. Vedi anche il Giornale L'Arte, 13 Agosto 1856.

2 Petrarca.

Quelle 22 buone pagine non servono ancora per riportare e combattere le opinioni di quei Commentatori, che non avendo compreso il proprio significato di coto lo trasformarono chi in quoto, e chi in voto, e giunsero perfino alcuni di loro a prenderlo e per loto cotto, e per creta, e per torre, e per giudizio ? Quelle 22 buone pagine non servono ancora per dilucidare parecchie altre voci affini a coto, cioè coitato, coitoso, cuitanza, sorcodanza, oltracotanza, tracotamento, tracotato, oltracotato, dichiarandone l'origine, e accompagnandole con esempi de' nostri antichi e de' Provenzali? Quelle 22 buone pagine non servono ancora per illustrare per incidenza parecchie altre voci e locuzioni Dantesche, cioè abbandonarsi del venire (Inferno, II, v. 34), esaltarsi (IV, v. 120), piacere (V, v. 104), strupo (VII, v. 12), ei (X, v. 113), tener le chiavi del cuore (XIII, v. 58), poco (XX, v. 115), croio (XXX, v. 102), col (Purgatorio, XXIX, v. 145), brolo (ivi, v. 148), cappello (Paradiso, XXV, v. 9), pareglio (XXVI, v. 108) ?

Ora, tutta la suddetta materia, profondato maestro di prima bussola, comprendono quelle 22 buone pagine, che voi annunziate come scritte da noi solamente per provare, senza che ce ne fosse bisogno, che coto significa pensiero; mentre tutto ciò che si riferisce a questa voce, non s'estende al di là di due pagine. Così dunque voi travisate il nostro opuscolo, studiandovi d'ingannare chi non l'ha letto, e vi dilettate di convertire da gran maestro con falso conio in cattiva la buona moneta d'un autore? E questa è l'onestà ed il pudore, di cui v'adornate? Ci rallegriamo con voi !

Il signor Pietro Fanfani a quel luogo della lettera del Bembo a Bernardino Martirano, si dice la lappola, le lappole, e non le lappoli, che verrebbe dal singolare la lappole; il che non mi ricorda aver letto giammai, annota : « Forse il Martirano disse le lappoli, per le lappole, come gli antichi dissero le porti per le porte, le veni per le vene, le selvi per le selve ec., i quali plurali alcuno farebbe venir de' singolari la porte, la vene, la selve. Non ci vuol mica di molto.

Canchero! ell'è una fava! Ehi,

date da sedere

Al mio dottor ch'egli è di quei che sanno. »

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'Ci dica il nostro profondato maestro di prima bussola: egli che non ha bisogno che gli sia provato cosa voglia dir coto, e donde provenga, come mai non ha saputo scorger l'errore del Quattromani, che lo fa derivare dal latino cogitatus? Come mai nel leggere il nostro opuscolo non ha saputo veder lo sbaglio, nel quale siamo incorsi anche noi, dicendo ch'è sincope di cotato? Si dell' uno che dell'altro avrebbe dovuto fare accorti i giovani, de' quali s'è eretto a solenne maestro, affinchè nelle origini delle parole vadano alla sicura e alla liscia.

2 Lettere cit., pag. 360, nota 1.

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Menzini, Sat. X.

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