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» figliuolo, il quale di comune consentimento

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col padre di lui, per nome chiamarono » Dante; e meritamente, perocchè ottimamente, » siccome si vedrà, procedendo, seguì al nome

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lo effetto. Questi fu quel Dante, che a'nostri » secoli fu conceduto di speziale grazia da Id» dio. Questi fu quel Dante ecc. » 17 E così, astri, sogni, e casi di sillabe abbreviate, ogni cosa ai contemporanei ed ai posteri parve presagio di grandezzá, quando fu questa dimostrata dal fatto.

Ma, continuando a dire di quegli altri più certi presagi della vita di Dante, pochi mesi erano corsi dalla nascita di lui, quando Carlo d'Angiò raggiunto già dal suo esercito in Roma, vi fu, il giorno dell'Epifania dell' anno seguente 1266, da papa Clemente IV incoronato Re di Puglia e di Sicilia, facendogliene il solito omaggio. Mosse quindi, seguito dal vescovo di Cosenza legato pontificio, che bandiva la croce per lui; passò il Garigliano, abbandonato a tradimento dal Conte di Caserta; e, prese Acquino e Rocca d'Arce, si drizzò a Benevento,

(17) Boccacc. Vita di D., Venezia Alvisopoli 1825 in 12° p. 11.

dove Manfredi raccoglieva, oltre i titubanti Pugliesi e Siciliani, i suoi Tedeschi, i suoi Saraceni di Nocera, e gli aiuti ghibellini di varie parti d'Italia. Dubitava Manfredi, e mandava messi a Carlo; il quale rispondea: Dite al Soldano di Nocera, che io non voglio pace, o tregua con lui; e che in breve o io manderò lui in inferno, o egli me in paradiso. Combattevasi poi a 26 di febbraio. E pugnavano fortemente per Manfredi i suoi Saraceni e Tedeschi; ma usando i ferri di taglio, furono vinti dai Francesi, che combattevano di punta; ed allora lasciato il campo vergognosamente da' Baroni Pugliesi, Manfredi, , spronato il cavallo in mezzo alle schiere francesi, vi mori gloriosamente, ma perduto allora tra mucchi di cadenti. Tre dì furono a trovarne, il corpo. Finalmente riconosciuto da un ribaldo, fu posto penzolone su un asino, mostrato pel campo francese, poi fatto riconoscere dai prigioni, e seppellito come scomunicato non in terra santa, ma in capo al ponte di Benevento sotto un monte di pietre gettategli sopra da ogni soldato. « Ma per al>> cun si disse, che poi per mandato del papa >> vescovo di Cosenza il trasse di quella sepol

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» tura, e mandollo fuori del regno, perocchè » era terra di chiesa; e fu seppellito lungo il » fiume del Verde ai confini del Regno e di » Campagna. Questo però non affermiamo; ma » di ciò rende testimonianza Dante nel Purga»torio. » 18 Nel quale di fatto Manfredi mostra al poeta una piaga a sommo il petto,

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112 Poi sorridendo disse: Io son Manfredi Nipote di Gostanza Imperadrice;

Ond' io ti prego che, quando tu riedi,

115 Vadi a mia bella figlia, genitrice

Dell' onor di Cicilia e d'Aragona, 19
E dichi lei il ver, s'altro si dice.

118 Poscia ch' i' ebbi rotta la persona

Di due punte mortali, io mi rendei
Piangendo a quei che volentier perdona,

121 Orribil furon li peccati miei;

Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

Che prende ciò, che si rivolve a lei. 124 Se 'l Pastor di Cosenza, ch' alla caccia Di me fu messo per Clemente, allora

Avesse in Dio ben letta questa faccia, 127 L'ossa del corpo mio sarieno ancora

(18) Villani, p. 235.

(19) L'altra Costanza moglie di Pietro re di Aragona, e madre di Federigo re di Sicilia e di Jacopo re d'Aragona.

In cò del ponte, presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.

150 Or le bagna la pioggia, e muove 'l vento
Di fuor del regno, quasi lungo 'I Verde,
Ove le trasmutò a lume spento.

PURG. III.

Poco andò, e Napoli, col regno tutto, fu di Carlo, che vi entrò colla sua regina Beatrice, l'ambiziosa Provenzale, che l'avea mosso a quel l'impresa. L'ingresso fu di gran pompa; carri dorati, gran damigelle, e ricchi addobbi d'ogni şorta vi si videro. Manfredi era stato colto e splendido, ma non prodigo; ed avea, dicesi, un tesoro nel castello di Capua. Dove trovato ora da re Carlo, e comandando ad Ugo del Balzo, un suo cavaliere, di partirlo, e di prender perciò le bilancie: Che mestieri ci ha di bilancie? rispondea questi, e ne faceva co'piedi tre parti; questa sia di monsignore il Re, questa della Regina, e questa de' vostri cavalieri. Piacque l'atto al re, e gli diè la contea d' Avellino. Da queste pompe, questi ori, questi scialac qui, dicono gli storici, incominciasse la mutazione dei costumi d'Italia. Ma, dico io, già erano corrotti gli Italiani, poichè si lasciavano vincere

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con tal facilità; essi che non cento anni prima aveano vinto ben altro uomo, ed altro principe, Federigo Barbarossa Imperadore. Ma contro a Federigo s'erano mossi i popoli, i padri de'Guelfi, la parte e l'opinione nazionale e virtuosa; contra Carlo non saizzavano se non i Ghibellini, la parte de pochi e degli stranieri, mal atta a chiuder la patria contra altri stranieri, e peggio contro a tali che prendean nomé dalla parte nazionale.

E sì che fatta appena questa mutazione nel regno, ne successe quella di quasi tutta Italia, Brescia, Cremona, Piacenza, Parma si rivolsero di Ghibelline in Guelfe. Pisa Ghibellina diè 30,000 lire per rimanere in pace. A Firenze poì, addì 11 novembre, si sollevarono i Guelfi, facendo raunate e serragli contro al conte Guido Novello, già vicario di re Manfredi pe'Ghibellini. Il quale, occupata la piazza, ma non credendo poterla tenére, sgombrò dalla città portandone via le chiavi a Prato, onde poi volle invano tornare il giorno appresso. Rientra rono quindi i fuorusciti Guelfi a Firenze; ed ordinato il governo sotto XII Buoni uomini, diedero poi la signoria per dieci anni · a re

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