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principalmente introdotta una delle suddette due donne, tra sè stesse uniformi; sì perchè si vede nella fine della Vita Nuova, che il Poeta, a intuito di Beatrice, propose di fare questa grand' opera, così quivi dicendo: « Se piacere sarà di Colui, a cui tutte le cose « vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero di dire di lei quello, che mai « non fu detto d'alcuna ». Il che pure fu notato dal Boccaccio, nel luogo da me riferito a principio, nelle parole del suo Comento verso il fine, siccome quivi si può agevolmente vedere.

Veduto questo, conviene adesso vedere d' onde si tragga, che due siano state le donne, che àuno servito d'oggetto alle tre predette opere di Dante. Che una di queste sia Beatrice, egli è troppo manifesto; poichè per tutti si confessa, che costei sia stata la principal persona della Vita Nuova e della Commedia. L'altra donna, la quale non ha nome, ed è quella, che è l'oggetto del Convito, in questa guisa si va rintracciando. Il nostro Autore nel principio del secondo Capitolo del Trattato secondo di detto Convito (laddove in fatti comincia quell' opera, cioè il Comento sopra le sue Canzoni), usando appunto la medesima maniera, ch' egli aveva usata nel principio della Vita Nuova, col dare cominciamento a questo libro dalla narrazione del suo secondo innamoramento, cosi lo va descrivendo : « Cominciando adunque, dico, che la stella di Venere due fiate era « rivolta in quello suo cerchio, che la fa parere serotina e mattutina, secondo due diversi « tempi, appresso lo trapassamento di questa Beatrice beata, che vive in Cielo con gli « Angioli, e in terra coll'anima mia; quando quella gentil donna, di cui feci menzione nella << fine della Vita Nuova, parve (cioè apparve) principalmente accompagnata d' Amore <«< agli occhi miei, e prese luogo alcuno della mia mente». Chi non vede, che questo, principio è uniforme in tutte le parti a quello della Vita Nuova? e che questa donna, che prese luogo nella mente di Dante, sarà ancor ella una donna ideale, e similissima a Beatrice? e che insomma in tutto e per tutto elle sono due donne solamente in apparenza ?

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Questa donna poi del Convito, quale ella si fosse non è punto difficile ad investigare; poichè l'istesso Poeta in più luoghi del prenominato libro troppo evidentemente la manifesta. E primieramente nel tredicesimo Capitolo del secondo Trattato, ove mostra, che i suoi primi studii furono i libri di Tullio dell'Amicizia, e di Boezio della Consolazione, così dice: «Giudicava bene, che la Filosofia, che era donna di questi autori, di « queste scienze, di questi libri, fosse somma cosa, ed immaginava lei fatta come una donna « gentile ». E dipoi: « Questa donna fu figlia di Dio, regina di tutto, nobilissima e « felicissima Filosofia ». E nel Capitolo sedicesimo dell'istesso Trattato : « Boezio, e Tullio « inviarono me nell'amore,cioè nello studio di questa donna gentilissima Filosofia ». E quindi poco appresso: «Si vuole sapere, che questa douna è Filosofia, la quale veramente è « donna, piena di dolcezza, ornata d'onestate, mirabile di savere, gloriosa di libertade ». E nel fine di detto Capitolo più apertamente parlando: « Dico e affermo, che la donna, « di cui io m'innamorai, appresso lo primo amore (cioè dopo Beatrice), fu la bellíssima e « onestissima figlia dello'mperadore dell' Universo, alla quale Pitagora pose il nome Filo<< sofia ». E nel Trattato terzo, al Capitolo undecimo: « Questa donna è quella douna dello << 'ntelletto, che Filosofia si chiama ». Ed insomma nel trigesimo Capitolo del Trattato quarto: « Laddove questa donna, cioè la Filosofia» ecc. Qui si noti di grazia quel donna dello 'ntelletto, nel testo antecedente a quest' ultimo; e si rifletta, quanto sia uniforme a quel donna della mia mente della Vita Nuova ; acciocchè non si abbia a opporre da alcuno, che donna della mente vuol dire donna, che risiede in cima, o nell'interno della mente; ma si confessi, siccome è la verità, che voglia dire donna, la quale è l'oggetto della mente o dell' intelletto, che è tutto l'istesso. La Filosofia dunque, seuza alcun dubbio, è l' altra donua di Dante: la quale egli medesimo ha voluto in maniera mostrarlaci, che non v'abbia più luogo da potersi intendere per lei altra donna, quand anche il senso storico ammettere si debba ; ond'è, che per questa parte legittimamente si conchiude, la seconda

donna di Dante essere in tutto e per tutto ideale. E se ella è tale; perchè tale ancora non sarà Beatrice, che è la primaria, e pertanto più degna d'essere da ogni materia separata ?

Resta ora a dire, che questa Filosofia non è tutta la Filosofia, universalmente presa ; ma solo quella parte, che Morale s'appella. E questo ricavasi dalla materia del Convito, il quale doveva esser composto, conforme asserisce l'Autore, di quattordici Canzoni, sì d'Amore, come di Virtù materiate; si da quello, che l'Autore stesso dice nell' atto, che questa donna gli apparve, e che egli così registra : « Allora vidi, che una gentil donna da una finestra mi guardava sì pietosamente, quanto alla vista, che tutta la pietà pareva in lei raccolta »: dove per la pietà, la moralità intendere si dee; per la finestra, un luogo elevato ed aperto bensì, ma non già fuori d'ogni terreno abitacolo; a significare, che questa douna per lume naturale si può benissimo dagli uomini vedere. Ed oltre a ciò, più chiaramente palesa il Poeta il suo intendimento nel Capitolo 17.o del quarto Trattato, nel quale spiegando quel passo della sua precedente Canzone:

Dico, ch'ogni virtù principalmente

Vien da una radice ;

asserisce poi, che queste Ogni virtu', sieno le virtù morali, di cui si parla. E quindi poco appresso dice, che queste Virtù sono undici ; e numerandole, mostra essere le seguenti, cioè: Fortezza, Temperanza, Liberalità, Magnificenza, Magnanimità, Amativa d'onore, Mansuetudine, Affabilità, Verità, Eutropelía, e Giustizia. Oltrechè apertamente si vede per sè stesso, che il Convito altro non è che un Trattato di Filosofia morale.

se

Due cose notabili non sono da tralasciarsi in questo luogo. L' una si è, che le undici Canzoni sopra le suddette Virtù, o non furono mai composte dall' Autore; o furono composte, sono adesso smarrite; essendochè tanto nella Raccolta delle Rime degli antichi Poeti Toscani, fatta da'Giunti nel 1527, che in quella del Sermartelli dietro alla Vita Nuova, nel 1576, e ne' MMSS. ancora in buon numero da me veduti, niuna ve ne abbia, che delle predette Virtù sustanzialmente ragioni, e conforme il saggio che il Poeta avea dato nella Canzone sopra la Gentilezza, ultima delle tre del suo Convito. Giovanni Villani nel 135.o capitolo del libro nono della sua Cronica, nel quale dà un breve ragguaglio di Dante e delle opere sue, in ordine alle sue Rime così dice: « Quando « f in esilio, fece da venti Canzoni morali e d'amore, molto eccellenti ». E di sotto: « Cominciò un Comento sopra quattordici delle sopraddette sue Canzoni morali, volgarmente, «< il quale, per la sopravvenuta morte, non perfetto si trova, se non sopra le tre: lo quale, « per quello che si vede, alta, bella e sottile e grandissima opera riuscía; perocchè or« nato appare d'alto dittato, e di belle ragioni filosofiche e astrologiche ». Da questo si dedurrebbe, che le Canzoni sopra le undici virtù morali fossero state composte dal nostro Poeta ; ma comecchè non se ne abbiano altri riscontri, ed a me non giovi il sapere l'evento di questo fatto, d'altri sia cura il ricercarne, quando che voglia, la verità. L'altra cosa notabile si è, che quando Dante avesse voluto terminare quest' opera del Convito, sarebbe stata in tutto di sedici Trattati; laddove quattro soli ve ne sono al presente. Di già quattordici dovevano essere le Canzoni, come si è detto poco fa; e ciascuna di esse doveva avere un Trattato. Il 15.° è il Trattato proemiale, che già si legge nel principio del libro; e il 16.° doveva essere il fiuale, com'io suppongo, per conclusione di tutta l'opera. E questo è certo, che vi dovesse essere; perchè dicendo l'Autore nel 27.° Capitolo del quarto Trattato queste parole: « ma perocchè di Giustizia nel penultimo Trattato di questo libro si tratterà » ; e la Giustizia essendo l'ultima nell'addotta serie delle morali Virtù ; viene a mostrare, che, dopo il Trattato sopra di quella, un altro ne dovea seguire per compimento e conclusione, siccome ho già detto. Perchè poi gli altri dodici Trattati non siano stati composti, si dirà poco appresso. Ed acciocchè non manchi niente di quello, che appartiene alla notizia di questo libro, di cui più parlare non intendo in

particolare, addurrò, oltre il sopraccitato testimonio del Villani, quello ancora del Roccaccio nella Vita di Dante, dov'egli di questo Convito così parla : « Compose ancora un Comento « in prosa, in fiorentino volgare, sopra tre delle sue Canzoni, e distese; comecchè egli ap« paja, lui avere avuto intendimento, quando il cominciò, di comentarle tutte; benchè « poi, o per mancamento di proposito, o per mancamento di tempo che avvenisse, più <«< comentate non se ne trovano da lui ; e questo intitolò Convivio, assai bella e lodevole « operetta ». Si può ancora accennare, che questo libro fu composto dopo l'esilio dell'Autore, cioè dopo l'anno 1301, siccome apparisce dal terzo Capitolo del primo Trattato: e ciò serve in parte d'argomento a mostrare, che anco la Commedia fu principiata da lui dopo quel tempo, contro all' opinione del Boccaccio nella sua Vita; per essere probabilissimo, che a quella non ponesse mano, se non dopo di aver tralasciato questo lavoro. Ragionato a sufficienza della seconda douna, conviene adesso ragionare della prima. Se quella è ormai manifesto essere stata la Filosofia morale; questa tutti gli espositori dell'ultimo Canto convengono essere la santa Teologia; allorchè in senso allegorico interpetrano i luoghi, ne' quali ella fu dall' Autore introdotta. E non occorre riportar qui autorità, o ragioni, per essere questa una verità non contrastata, ch' io sappia, sino al presente da alcuno ; ma venendo alle conclusioni, si può risolutamente affermare, non essere queste due donne gran fatto diverse fra sè stesse; e la Vita Nuova e 'l Convito avere non piccola collegazione colla Divina Commedia, il che altrove ancora è stato provato; ed essere iu somma molto dilungi dal vero, che Dante negli anni suoi più maturi si vergognasse di avere la Vita Naova composta, siccome vuole il Boccaccio. E per dire quanto occorre su questo ultimo punto, per poi discorrere compiutamente sopra la Beatrice di Dante, io torno a ridire, che il Poeta nel colmo dell' età sua virile, cioè dopo l'anno 36.o, quando egli compose il Convito, approvò la Vita Nuova solennemente, e mostrò di comporre quest' altro libro per giovamento e corroborazione del primo. E se egli sul bel principio dell' istesso Convito mostrò scusarsi d'aver composto quel primo libretto avanti di entrare nella sua gioventù; questo fece egli, acciocchè non fosse hiasimata la maniera di quel primo componimento. Perciocchè vedutosi in processo di tempo (conforme accade di presente), che la Vita Nuova è un trattato puramente filosofico; si sarebbe potuto facilmente apporre all'Autore, non essere stato troppo decente alla gravità della Filosofia l'averlo tutto vestito d'amorose passioni e deliquj. Egli è necessario sapere, che il concetto di Dante si fu, che le tre opere mentovate fossero corrispondenti alle tre principali etadi dell'uomo, ciascheduna alla sua; cioè che la Vita Nuova corrispondesse all'adolescenza, il Convito alla gioventù, ed alla vecchiezza la Commedia : e come tali, le proprie qualità di quelle etadi dimostrar dovessero. Tutto questo apparisce da quello, che egli dice nel primo Capitolo del Trattato primo del Convito, con queste ben chiare parole: « Quella fervida e passionata (parla dell'opera della Vita Nuova), questa << temperata e virile (intende di quella del Convito) esser conviene; chè altro si con<<< viene a dire ed operare ad una etade, che ad altra; e perchè certi costumi sono idonei «e laudibili ad una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra; siccome di sotto nel «quarto Trattato di questo libro sarà propria ragione mostrata. E io in quella, dinanzi <«<< all'entrata di mia gioventute parlai; e in questa, dipoi quella già trapassata ». Ed in quel Trattato, al Capitolo 24.° si vedono i termini di queste suddette etadi, pe'quali la gioventù dall'anno 25.° fino 45.o si distende. E da indi in là la vecchiezza cominciando, a quella gravissima età fece Dante corrispondere l'altrettanto gravissima sua Commedia. Sicchè si può con tutta ragione conchiudere, che la Vita Nuova sia stata ad arte dall'Autore composta sotto sembianza di giovenili concetti; ma che però in sustanza ella sia di profondi virili pensieri tutta quanta ripiena.

Da questa costituzione di tempi, che non a caso è stata stabilita da Dante, si viene a scoprire un anacrònismo del Boccaccio. Egli vuole, siccome aviamo riferito, che 'l nostro Autore componesse la Vita Nuova nel suo 26.° anno e Dante medesimo afferma, che

ciò fu dinanzi all'entrata di sua gioventute, cioè avanti il 25.0, che al più sarà stato l'auno 24. dell' età sua. Oltre a ciò il Boccaccio afferma, che la Bice Portinari aveva quasi meno un anno di Dante, e che ella morì di 24 anni: e Dante stesso nella Vita Nuova racconta la morte della sua Beatrice, ed anco l'anniversario, o, come egli dice, l'annovale di lei, con molte altre cose dopo quel tempo seguite. Ora, se nel suo anuo 24. il Poeta trattò di cose occorse più d'un anno dopo la morte di Beatrice; ed ella, avente quasi meno un anno di lui, mori d'anni 24; indubitato sarà, o che ella, quando Dante narrò la sua morte, non era ancor morta, o che morisse d'anni 22, o che d'altra donna intendesse l'Autore di parlare; il che sarà più probabile. Non si ved' egli chiaro, che il Boccaccio a bello studio fece comporre a Dante la Vita Nuova due anni dopo il suo vero tempo, per accordare la sua asserzione col termine della vita della vera Bice Portinari; non riflettendo poi che da' contesti dell' altre opere sue se ne sarebbe una volta dedotto il legittimo tempo? Voglio tralasciare di dire, che dalle parole del Poeta, le quali sono poste immediatamente dopo la Canzone che comincia :

Gli occhi dolenti per pietà del core;

si deduce, che la morte della sna Beatrice fu una sua idea, e non verità di fatto, conforme si potrà riconoscere da chi voglia prendersi briga di riflettervi alquanto.

Ora, per tornare all' oggetto dell'amore di Dante, dico, che questo fu la Sapienza, in largo significato presa, e poscia individuata alla suprema spezie, o vogliamo dire alla più alta cognizione dell'umano intendimento, alla quale pose nome Beatrice. Rivolto sempre il Poeta cogli occhi della mente al suo ultimo scopo, cominciò a rintracciare la sorgente di tanto attributo, il quale in vero è il maggiore, che abbia l'uomo; poichè questo lo rende poco minore degli Angioli. Vide egli petranto, che questa Sapienza dal ragionevole discorso dell' intelletto prende suo cominciamento; e che questo discorso non può avere suo perfetto principio, se non verso la fine del nono anno di nostra vita. E quindi è, ch'egli intitolò Vita Nuova il trattato di questo operare dell'intelletto: perciocchè egli intese, che siccome la vita animale si distingue da' primi movimenti del corpo; così la intellettuale si debba distinguere dai primi muovimenti della ragione. Ed eccone la sua autorità al Capitolo ottavo del secondo Trattato del Convito: « Quando si dice l'uomo « vivere, si dee intendere, l'uomo usare la ragione, ch'è sua spezial vita, e atto della « sua più nobile parte »; perciocchè allora incomincia veramente ad apparire uomo laddove per l'avanti non si distingueva gran fatto dagli animali.' E questa vita egli la disse nuova, a dimostrare (cred'io) la sua eccellenza e rarità, per essere pochissimi coloro, i quali e la conoscano, e come si conviene l'adoperino. In tale età adunque, in cui si suol dire di checchessía, essere all'uso pervenuto della ragione, cominciò Dante a vedere Beatrice.

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Questa ragione poi, valorosa donna e gentile, cresciuta a debita proporzione, passeggia francamente per ogni dove, e penetra nelle viscere della terra, o sopra gli alti cieli sormonta: e quindi è, che diversi nomi le sono stati attribuiti dagli uomini, secondo le di verse sue operazioni, che altro non sono, che le diverse scienze; quand'ella in sustanza è una sola, e sempre ancora l'istessa, o dell'umane cose tratti, o delle divine, cioè o Morale Filosofia, o pur Teología si appelli. Ed ecco mostrato, come le due donne di Dante sono una medesima cosa fra di loro. All'ultima di queste egli pose nome Beatrice, non già accattandolo altronde, ma formandolo di pianta, e dalle viscere della cosa traendolo ; perciocchè, quand'anche al mondo a suo tempo non vi fosse stata alcuna donna di cotal nome; con tuttociò costei si sarebbe da lui Beatrice denominata. E qui si noti, che l'Autore la disse nel latino Beatitudo; così facendo parlare lo spirito animale, nel principio della predetta Vita Nuova: Apparuit jam Beatitudo nostra; dal che si deduce, che questo nome non ebbe origine da quello di vera donna.

Fu appellata costei Beatrice da Dante, perchè ella fa beato l'umano intelletto, e rende

pago ogni nostro desío; chè tale è il significato di questa voce, come fu espresso dal Petrarca:

Prego, che appaghe il cor vera beatrice.

E per parlare con chiarezza, e conforme le verità di nostra cattolica fede, di cui questo Poeta fu religiosissimo mantenitore, è da vedersi in che siguificato si prenda da lui questa voce Beatitudine. Io riferirò in compendio il di lui sentimento, estratto dal 22. Capitolo del quarto Trattato del Convito. Dice egli adunque, che in noi è infuso dalla divina bontà, fin dal principio della nostra generazione, un appetito d'animo naturale, che li Greci chiamano opu. La radice di questo appetito è una ; ma di poi nel procedere si dirama, ed in varj appetiti si parte, i quali tutti per diversi calli se ne vanno; ma un sol calle è quello, che ci mena alla nostra pace. E quel tale appetito, che rettamente cammina (poichè tutti gli altri, fuori di questo, dal diritto sentiero traviano), è quello che ama sè stesso; da principio, per vero dire, indistintamente; ma dipoi, distinguendo, comincia a conoscere quelle cose, le quali sono più amabili e così procedendo d'una in altra cosa, conosce le proprie più pregiabili delle alieue; e tra quelle vede, l'animo essere assai più nobile del corpo, e perciò più degno d'amore di qualsivoglia altra cosa. Nell' uso di questo amore, che il Poeta chiama uso dell'animo nostro, la mente sempre più si diletta; e prova, che questo tale uso è a noi massimamente diletloso. Questo massimo diletto (comecchè, oltre a quello, non ve ne abbia altro maggiore nel suo genere) in un certo modo si dice nostra felicità, e nostra beatitudine. Vera cosa è, che l'uso dell' animo nostro è di due sorti, pratico e speculativo: il pratico si è, operare per noi virtuosamente; lo speculativo si è, non operare per noi, ma considerare l'opere di Dio e della Natura. Lo speculativo è pieno di beatitudine, per esser uso della nostra nobilissima parte, che è l'intelletto. Questa parte, in questa vita, perfettamente lo suo uso avere non può, poichè il godere di questo uso è Iddio medesimo, che è sommo intelligibile; se non in quanto considera lui, e mira lui per li suoi effetti. Conchiude infine l'Autore : « Queste due operazioni ( che è l'istesso che usi), sono vie spedite, e « dirittissime a menare alla somma beatitudine, la quale qui non si puote avere ».

Queste (siccome ciascheduno può vedere) sono quasi tutte parole di Dante nel sopraccitato Capitolo del Convito: per le quali egli mostra, che si diçe Beatitudine il sommo diletto dell'intelletto nostro; al qual diletto si giugne, quando si giugne a conoscere il primo vero, in cui si quieta e riposa l'anima nostra; comecchè, oltre a quello, non vi sia altro cognoscibile, e perciò nè tampoco desiderabile. Questa opinione è sanissima e cattolica, e dietro la scorta di S. Tommaso viene seguitata dalla maggior parte dei teologi, i quali ragionevolmente pongono la vera e somma Beatitudine nella visione di Dio, che vale a dire nella più chiara cognizione della divina sustanza. E detta opinione fu dal nostro Dante benissimo espressa nel XXVIII Canto del Paradiso, con queste brevi sustanziose parole:

E dei saper, che tutti hanno diletto,

Quanto la sua veduta si profonda

Nel vero, in che si queta ogn' intelletto.

Quinci si può veder, come si fonda

L'esser beato nell' atto che vede:

Non in quel ch' ama, che poscia seconda.

Lo che dottamente ed elegantemente vien confermato dal nostro gran poeta Francesco Petrarca, che più chiaramente cantò :

Siccome eterna vita è veder Dio,

Ne più si brama, nè bramar più lice.

A questo termine si deono ridurre tutti i luoghi del nostro Autore, ov' egli di Beatitudine tratti. E che così per appunto debba farsi, si vuole osservare, ch' egli volendo dire della Filosofia, che essa è beatitudine dello 'ntelletto; aveva antecedentemente definita la medesima in questa forma: « Filosofia è un amoroso uso di Sapienza, il quale

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