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Quantunque l'edizione di Crusca 1595 legga diversamente i primi tre versi del passo riferito in principio di questa nota dagli Editori milanesi, giusta la stampa veneta 1477 della Dirina Commedia; deesi però all'illustre nostro concittadino Giuseppe Torelli l'avere avvertito, che il Daniello fu il primo a commentare i detti versi, secondochè rettamente si trovano impressi nell'antica stampa sopraccitata; soggiungendo in appoggio giudiziose osservazioni nel suo opuscolo pubblicato in Verona fin dal 1760 a), prima ancora che il Lombardi si appropriasse l'interpretazione del Daniello e le analoghe dichiarazioni dello stesso Torelli. Il predetto opuscolo fu da noi or ora riprodotto in Pisa fra le Opere varie torelliane in verso e in prosa, vol. 2.o (pag. 62 e segg.). Vedansi sul proposito le annotazioni dei benemeriti padovani editori della Div. Com. (Purg. C. XXV, pag. 697-99), bastando qui a noi di riportare dell'opuscolo medesimo il transunto che lo stesso Torelli ne riferì circa il passo sovrallegato nelle sue Postille alla Divina Commedia, che fanno altresi parte del citato vol. 2.° (pag. 135).*

E lo spirito mio, che già cotanto

Tempo era stato con la sua presenza,
Non era di stupor, tremando, affranto.
Sanza dagli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù, che da lei mosse,
D'antico amor senti la gran potenza.

• Cosi leggonsi questi versi non solo nella prima impressione di Dante fatta in Mantova l'anno 1472, ma ancora nell' Aldina 1502 ( e nella posteriore del 1515); ed avendoli io già diffusamente illustrati in altro scritto ricordato di sopra (C. XV, vv. 16 al 23), mi ristringerò a darne qui in succinto la spiegazione letterale ..

Premesso che nè il Landino, nè il Vellutello, nè altri dopo loro, hanno colto nel vero senso del Poeta, io reputo che i riferiti versi debbano leggersi a questo modo, quali appunto gli veggo nell'antica edizione fatta in Venezia l'anno 1477 per Vindelino da Spira:

E lo spirito mio, che già cotanto

Tempo era stato, che a la sua presenza
Non era di stupor, tremando, affranto,
Sanza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù, che da lei mosse,
D'antico amor senti la gran potenza.

Vedasi come ivi si cangia con la in che a la, e come il senso, rimanendo sospeso e imperfetto nel primo terzetto, si compie nell'altro. Ascoltisi ora l'esposizione di Bernardino Daniello: Suole spesse fiate avvenire agli amanti, che mentre intentamente mirano l'amata loro, alla presenza di quella pieni di tremore e di stupore rimangono; il che vuol ora dimostrare il Poeta essere avvenuto a lui, dicendo che lo spirito suo, il quale già cotanto era stato, che alla presenza di Beatrice non era, tremando, affranto di stupore, senza aver più conoscenza degli occhi, per

a) Lettera intorno a due passi del Purgatorio al Prof. Clemente Sibiliati. - in 8.°.

una occulta virtù che mosse, cioè venne da essa sua donna, senti la gran potenza dell'antico suo amore, subito che nella vista di lui percosse l'alta virtú degli occhi di lei. Non credo che Dante potesse spiegar meglio se stesso, di quello che il facesse avanti di tutti in questo luogo il Daniello; nè posso a bastanza maravigliarmi, che la sua tanto naturale e piana interpretazione non sia stata universalmente abbracciata ». Torelli. Quanto all'agitazione operata nel morale e nel fisico di Dante dalla presenza di Beatrice, può vedersi nella seguente nota (N. VIII) un simile effetto, che il Boccaccio narra nel Filocopo avere in lui prodotto la vista della donna, che lo innamorò nella chiesa di s. Lorenzo in Napoli.*

N." VI.

Pag. 2, lin. 31. « Di lei si poteva dire quella parola del greco Omero: Ella non pareva figliuola d'un mortale, ma di Dio ».

Esaminare ancora se Dante sapesse di greco? Si; è necessario, quando gli studii precorsi mettano in grado di farlo con qualche maggior fondamento di critica, e con risultamenti di più utile precisione per ciò che spetta alla vita ed alle epoche, in cui furono composte le varie opere dell' Autore. Qui potrei prendere mano a mano in esame, e distruggere tutti gli argomenti recati da molti per la negativa assoluta. Ma questo sarebbe andar troppo in lungo; ed oltrecchè io scrivo per coloro, ai quali questa materia è ben nota (perocchè a coloro, che non ne hanno la pratica, non basterebbe anche il doppio), penso che (chiarita che avrò la cosa, colla stessa autorità delle opere di Dante a corredo) sarà facile a tutti il raffrontare le cose già dette per altri, con la forza delle poche e semplici che or vengo a proporre.

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A) Nel Convito, Tr. II, C. 15. (p. 115, Ed. Min.) Dante scrive: « Quello che Aristotele si dicesse non si può bene sapere; perchè la sua sentenza (sulla via lattea) non si trova cotale nell'una traslazione, come nell' altra ».

B) Nel Convito, Tr. I, C. 7. (p. 28, Ed. Min.) scrive: Questa è la ragione (quella cioè di non poter tradurre, senza rompere tutta la dolcezza e armonia del ritmo), per che Omero non si mutò di greco « in latino ».

C) Nel Convito, Tr. IV, C. 6. (p. 231, Ed. Min.) scrive: « L'altro principio onde Autore (cioè il vocabolo) discende, siccome testimonia Uguccione nel principio delle sue Derivazioni, è un vocabolo gre"co, che dice Autentin, che tanto vale in latino, quanto degno di fede e di obbedienza ».

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D) Nel Convito, Tr. IV, C. 21. (pag. 308, Ed. Min.) scrive: L'appetito dell'animo, il quale in greco è chiamato hormen ».

E) Nel Convito, Tr. IV, C. 20. (p. 302, Ed. Min.) Dante scrive: « che "sonovi uomini nobilissimi e divini. E ciò prova Aristotele nel settimo dell' Etica per lo testo d' Omero poeta Il testo, cui allude Dante,

è quello del Libro 24 dell' Iliade in lode di Ettore; e questo testo lo si trova già nella traduzione dell'Etica di Aristotele di Gian Cornaro così:

Dante, Vita Nuova.

14

« Nec jam hominis sanè mortalis filius ille
Esse videbatur, sed divo semine natus ».

Ma Dante non lo reca, e dice solo che Aristotele si è fondato sullo stesso testo di Omero.

F) Nella Vita Nuova al luogo sopraccitato troviamo introdotto il sentimento del verso 158 del libro 3. dell'Iliade in encomio di Elena, e scrive Fabricio (Bibl. Grec. T. I, p. 297): Primus ex recentioribus Homerum latinè reddi curavit Franciscus Petrarca.

G) Nel Poema troviamo le più alte lodi di Omero; e Dante, che non poteva averne letto i poemi in latino, lo chiama il Signore del canto altissimo, quello che le Muse allattarono più che altro mai. Troviamo lodati da Dante più altri poeti greci. Troviamo frequenti le erudizioni, e usati vocaboli tolti dal fondo della lingua greca. Troviamo alla per fine, che Virgilio rimprovera Dante dell'avergli chiesto ( Infer. C. XIV, v. 130.) dove fosse il fiume Flegetonte; quando che, risponde Virgilio, il bollor dell' acqua rossa, che ti sta davanti, doveva bastare a dirti, ch' era Flegetonte quel desso.

H) In un Sonetto, che si legge fra le Rime di Dante (comunque siavi a dubitar molto sulla sua autenticità), e che comincia: « Tu, che stanzi lo colle ombroso e fresco, Dante rallegrasi con Bosone Raffaello da Gubbio, perchè il suo figlio con facilità pigliava pratica e possesso della lingua greca e della francese, e rendeva il frutto che s' era il padre promesso di lui.

Avviciniamo adesso il lume delle più succinte, ma limpide osservazioni ad ognuno di questi capi, o mezzi che vogliam dire, di prova. Verremo poi alla conchiusione.

A)

Questo luogo prova certo, che Dante non sapesse di greco, perocchè non conosce una tal lingua, chi fra due traduzioni non sa decidere in confronto dell' originale, ch' esiste. Ma il Trattato II, cui appartiene, fu certissimamente composto da Dante nel 1292 (V. Append. al Conv., p. 10). Dunque Dante in età di 27 anni non sapeva punto di greco.

B)

Un uomo del calibro di Dante, che dà ragione del perchè sino allora non era stato tradotto Omero; e la dà si giusta, e la dà senza far cenno alcuno di rammarico proprio del non aver esso potuto per una tal causa leggere Omero; dà piuttosto prova del non aver avuto egli bisogno di traduzioni a leggere Omero, anzichè dell'esser rimasto privo della cognizione di un tanto Autore. Ma il Trattato I, cui appartiene un tal luogo, è posteriore al 1302; e si riferisce agli anni ultimi della vita di Dante (Append. 1. c.): dunque il luogo riferito comincia a provare, che Dante nell'età più avanzata sapeva di greco.

C), D), E)

Nel Trattato IV vediamo dichiarati da Dante i due vocaboli Autore,

Appetito, con voci greche. Nel primo caso introduce l'autorità del Dizionario di Uguccione Pisano; ma non per questo cessa, che egli ne parli anche per cognizione sua propria. Egli, come fa per tutto il Convilo, chiama quasi sempre a sostegno del suo dettato quello di un altro autore. Or chi cita un Dizionario, come chi al di d'oggi citasse il Forcellini, lungi dal provare che non ne sa di latino o di greco, prova tutto all' opposto, o che ne fa studio, o che in una occasione di peso vuol persuadere la cosa, di cui scrive, col miglior libro conosciuto alla mano: nel secondo caso poi scrive, ed insegna affatto da sè medesimo. In un terzo luogo infine non fa che allegare l'autorità di Aristotele, notando che questa si fonda sul testo di Omero. Or questo passo nulla direbbe a favore, o contro la questione di cui si tratta; sia perchè Dante non riferisce il testo di Omero, sia perchè il testo lo avrebbe già avuto tradotto nella traduzione latina sopraccitata. Ma ben è qui da notare, che gli Editori del Dante dell' Ediz. di Padova (1822, T. III, p. 48) corsero, a quanto pare, in un equivoco, facendo credere, che eguale sia il luogo di Omero ricordato nel Convito a quello riferito e tradotto nella Vita Nuova. Tutto al contrario: l'uno tocca di Ettore, nel lib. 24, l' altro di Elena, nel lib. 3. Ed è ben vero, che i due pensieri sono consimili, ma l'applicazione a Beatrice non poteasi desumere che dalla bellezza di Elena a). Che dunque? I luoghi di greca erudizione, che trovansi qui e qui nel Trattato IV del Convito, provano, che essendo stato composto il Trattato medesimo circa l'anno 1298 (V. Ap. al Conv. l. c.), Dante nell' età di anni 33 erasi già dato allo studio della lingua greca. E infatti anche propria di una tale circostanza la cura, che in esso Trattato l'Autore dimostra di notare con frequenza l'origine greca delle voci latine b).

F)

Nel testo poi della Vita Nuova, e sul bel principio di quel libro (chè quanto alle Rime in esso comprese appartiene all' età dell' adolescenza di Dante, e quanto al Comento, che le dichiara, spetta all' età virile; e vedine la prova sicura al N. II.), troviamo riferito e tradotto un verso di Omero. Ma Dante non poteva giovarsi allora in ciò di traduzione veruna, com'è provato più sopra; dunque Dante, quando s' accinse a scrivere il Comento della Vita Nuova, era già in grado di valersi del testo di Omero, e di tradurlo da per sè stesso, facendone acconcia applicazione al proprio argomento.

G)

Non volendo anche dire, che, senza aver letto e gustato Omero, Dante non avrebbe mai potuto concepire per lui ed esprimere quella stima, di cui ci fanno fede i più sublimi concetti, che a questo fine trovansi

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nella Commedia; e tacendo ancora, che senza fondata cognizione della lingua greca Dante non avrebbe potuto nel Poema far giusta applicazione di voci e sentenze greche; potremmo noi supporre giammai, che un autore della schiettezza e lealtà di Dante abbia voluto portare tant'oltre la più vile impudenza, da farsi rimproverar da Virgilio del non essersi avveduto al bollore dell' acque, che quel fiume era Flegetonte, quando fosse stato conscio a sè medesimo, che di greco non ne sapeva punto nè poco?

H)

Finalmente il Sonetto, che l'autorità dei codici esaminati dal Raffaelli (V. Pelli §. XIV, p. 131-142) e dal Dionisi (Aned. V, c. XIII) proverebbe essere composizione di Dante, farebbe più certo ancora, che la lingua greca la si studiava molto al tempo di lui, come lo prova la stessa opera di Uguccione; e sarebbe poi contro ogni principio di ragione, non già negare che Dante sia stato il maestro di lingua greca a Bosone (locchè si potrebbe sospettare, ma non risulterebbe mai dal contesto del Sonetto in un modo abbastanza preciso), ma si credere che un Dante si rallegrasse per li progressi nello studio della lingua greca fatti da un giovine, quando avesse saputo di essere ignorante di greco egli stesso? Nulla di meno sull' autenticità del Sonetto è da dubitare assaissimo.

CONCHIUDIAMO.

Se le osservazioni premesse non si dipartono punto da un preciso rigore di sillogismo, verremo a rispondere al proposto quesito in una maniera, parmi sicuramente, non avvisata finora. Ella sia questa:

Sino all' età di 27 anni Dante non aveva ancor fatto studio di lingua greca. Vi si accinse dopo, e della sua erudizione anche in questa parte di dottrina non è possibile dubitare. Ai tempi di lui si studiava il greco; ed egli, non il Petrarca, fu il primo a far sentire agl' Italiani il bisogno di avvicinarsi a queste vere fonti dell' umano sapere. Come mai la Commedia e il Convito non bastarono a convincere un grand' uomo, qual fu il Tiraboschi, che quando Dante moriva, era già stato dato da lui il più poderoso degl' impulsi possibili al risorgimento delle lettere e delle arti? Vedi il N.° XI.

Ora io mi confido, che argomentando a questo modo il lettore non avrà a dubitare, che la superstizione di un adoratore l'abbia condotto in inganno (V. FOSCOLO, Discorso ecc. N. 143, 144; ediz. di Londra 1842).

SCOLARI.

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