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principio del suo libro accomiatato le Muse, si serve poi d'ora in ora del loro linguaggio, non perchè nelle prose introduce versi che sono strettamente annessi al suo argomento.

Questo stesso usarono Petronio Arbitro, e Stazio che ad ogni libro delle Selve fece una prosa precedere, e Apulejo che versi introdusse sul bello incominciamento della prosa. E fra i nostri, chi dirà che male ne abbiano seguito l'esempio il Boccaccio nell' Ameto, e il Sannazzaro nell'Arcadia? Chi non sa buon grado allo scrittore, che a un tempo stesso gli empie la mente di peregrini concetti, l'orecchio di placida armonía colla prosa, e poi gli riscalda il cuore e gli trasporta l'immaginazione co'versi? Disdire allo intendimento di questi scrittori saria come il saziarsi per troppo diletto, lo adirarsi per troppa ricchezza. È in Quintiliano, sommo maestro della prosa, un passo che taluni interpretano per un consiglio agli oratori, di potersi anche esercitare nella poesía; ed altri lo tengono per un avviso agli scrittori, di giocondare l'ascoltante o il lettore talora co' versi in fra mezzo le prose. Dice il valente Rétore: « Sia facoltà all' oratore d'introdurre alcuna • volta nel suo stile la ricchezza della storia e la libertà del dialogo. Nè gli vieterò che scherzi talora co' versi, come gli atleti i quali talora lasciano i loro esercizj e i cibi prescritti, per ricreare l'animo colla quiete e con più liete vivande.

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Qualunque fosse il disegno di Quintiliano, ci basta per difendere eroicamente da ogni censura il divino Allighieri una sola considerazione, che lo pone in un caso ben diverso da tutti gli scrittori accennati, che prose e versi mescolarono, e lo salva da ogni taccia. E dico, che fa senso di maraviglia che non siasi badato a questa forte e dirimente ragione, che scaturisce dall' indole stessa de' libri di Dante e dalla lettura de' medesimi, specialmente del Convito. Questa considerazione è, che Dante nel Convito era astretto dalla condizione medesima del suo lavoro a interporre i versi alle prose, le quali altro non doveano essere che dichiarative i versi medesimi. Dante fece l'annotatore e il glossatore a sè stesso. Or qual comento v'è egli mai senza il testo? Sentiamo le sue stesse parole: La vivanda di questo Con« vito sarà di quattordici Canzoni, le quali senza lo presente pane, cioè senza la presente prosa che la illustra, aveano d'alcuna oscurità ombra, si che a molti lor bellezza, più che lor bontà, era in grado Questa prosa adunque è, come esplanazione dell' allegoria riposta nei versi, e, com'egli dice per allegorica sposizione queste Canzoni intendo mostrare ».

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Qual giusto titolo adunque vi è per censurarlo di aver confuso prosa e verso, se vel costringea la natura dell' assunto? Il rimprovero ozioso, o è d'uomo smemorato, o d'uomo inchinato a maledire dalla necessità di quell'indole rabbiosa e perversa, che molti hanno per turbare la pace delle lettere, e funestare gli onesti loro cultori. a)

a) Caduta affatto l'accusa e per l'autorevole esempio degli antichi, e per la forza delle addotte incontrovertibili ragioni, gioverà notare altresì che viene in sussidio all'uno e alle altre anche l'uso dei moderni, i quali mescolarono la prosa e i versi quando si volle che a questi servisse di comento la

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MELCHIOR MISSIRINI.

prima, come fecero (oltre il Boccaccio e il Sannazzaro citati di sopra) Lorenzo de Medici, il Bembo uegli Asolani, Berardino Rota, Ant. Francesco Rainerio, Gabriello Fiamma, Antonio Moneta e molti più, come può vedersi nel Crescimbeni, Storia della volg. Poes., Lib. VI, cap. 8. *

N. X.

"

Quegli, cui io chiamo primo delli

Pag. 5, lin. 27, e pag. 7, nota 42). miei amici ».

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Costui, che da Dante fu chiamato primo degli amici suoi, è Guido di mes. Cavalcante de'Cavalcanti, nobilissimo gentiluomo fiorentino, ed eccellentissimo filosofo e poeta; e 'l Sonetto di Guido, fatto in risposta di quello del medesimo Dante, è l'infrascritto:

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Vedesti, al mio parere, ogni valore,

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(E tutto gioco è quanto bene uom sente - a)

Se fosti in pruova del Signor valente,

Che signoreggia il mondo dell' onore:

Poi b) vive in parte, dove noja muore,
E tien ragion ne la pietosa mente;

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44

Si va soave ne'sonni a la gente,

Che i cor ne porta senza far dolore.
Di voi lo cor se ne portò, veggendo

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Che vostra donna la morte chiedea;
Nudrilla d'esto cor, di ciò temendo.
Quando t'apparve che sen' gía dogliendo,
Fu dolce sonno ch'allor si compiea;

"

Chè 'l suo contraro lo venía vincendo..

Questo sonetto fu stampato intero dal Sermartelli nella sua edizione della Vita Nuova, con aver mutate le antecedenti parole: e disse allora un Sonetto, il quale comincia ecc. (V. pag. 7, lin. 1, 2), sostituendo: e disse questo Sonetto. Ne' MMSS. si trova solamente accennato; per la qual cosa ho stimato bene di riportarlo in questo luogo, ed intanto dire, che non avendo Dante palesato il nome di questo suo amico, dal presente Sonetto ne può ciascuno venire in chiaro, per ritrovarsi inserito tralle rime del prefato Guido in alcuni codici MMSS., che rime di diversi contengono. Ed oltre a ciò ve ne sono altre testimonianze, che per brevità si tralasciano. Alcun'altra particolarità intorno a questo Guido si porrà in altra annotazione c). · AB.

Pare che il Biscioni non abbia avvertito, che il Sonetto medesimo trovavasi già stampato, prima che dal Sermartelli, fra le Rimé antiche; ed è il secondo del Libro XI, edizione Giuntina 1527, con questo titolo precisamente - Guido Cavalcanti a Dante Alighieri per risposta del detto Sonetto; quello cioè di Dante che incomincia « A ciascun’alma presa", e che leggesi a pag. 5.*

Fra i molti, Dante da Majano rispose della seguente sentenza, che

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potrebbe disingannare chi credesse, che la Beatrice di Dante fosse a questo tempo allegorica .. EP.

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Ai riferiti due Sonetti di risposta ci piace aggiungere pur quello di Cino da Pistoja, che Dante solea chiamare il secondo de' suoi amici, come osserva il chiaris. Prof. Witte nell' erudite sue annotazioni alla lettera dell' Autore exulanti Pistoriensi. E difatti anche nel libro de Vulgari Eloquio denomina sè stesso l'amico di Cino. Il Sonetto di questo è pure nelle Rime antiche, e dà principio al sopracitato Libro XI della ricordata edizione dei Giunti.

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N. XI.

Pag. 5, lin. 31. (Vedi anche pag. 7, nota 41). • Io era quegli che gli aveva ciò mandato ».

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Ecco usato da Dante il verbo mandare, in senso di comandare, anche in prosa, come ha fatto in poesía nel v. 6, C. V dell' Inferno. E perchè mai nel Vocabolario non si antepone sempre l'autorità di Dante, e qui non si registrano due esempj così solenni, anteriori di tanto a quelli del Boccaccio e del Petrarca? Siamo giusti. Quando moriva Dante, il Boccaccio non aveva che otto anni, e Petrarca diecisette all'incirca. E pur troppo il gran Tiraboschi nella Storia letteraria di Italia non fece di ciò gran caso, e vide tutto in Petrarca, quando tutto era da vedere già fatto (e tanto meglio, e tanto più largamente fatto) nel Convito, e nella Commedia. Pare impossibile; ma pur è vero! Nella Vita di Dante egli scrive: Alla sola Commedia egli è debitore del nome di cui gode tuttora fra i dotti. Viva il cielo! si può scrivere con ingiustizia e parsimonia maggiore? Ma non è egli fatto innegabile, che la Commedia è quell'unico Sole, i cui primi raggi sorsero dal seno dell'Italia a flagellare e disperdere le densissime nebbie, che oscuravano tutta l'Europa al tempo di lui? e che la sua dottrina, i suoi versi, la sua lingua, i suoi concepimenti sono l'invidia e l'ammirazione di cinque secoli dopo, come lo saranno di tutti quelli avvenire? Che sono eglino Petrarca e Boccaccio, se non che emanazioni della purissima luce di questo Sole? Sia pur benedetta in eterno la sincerità del Boccaccio, il quale candidamente confessa, che la prima face e scorta a' suoi studj egli se l'ebbe nella D. C. (Vedi N.° IV.), e maledetta l'invidia, che chiuse la bocca al Petrarca, anzi gli diede inchiostro a protestarsi ignaro di Dante, intanto che metteva Laura presso a Beatrice cosi bravamente, come i Trionfi a lato della D. C.!! Queste sono verità, che cinque secoli non bastano a soffocare; e, per dir tutto in breve, parli da sè la differenza che passa, per quantità e qualità, tra il bello e il sodo della D. C. e il bello e il sodo del Canzoniere.

SCOLARI.

N.° XII.

Pag. 8, lin. 26. Feci per lei certe cosette per rima ».

Cosa in significato di Composizione, e Cosetta di Piccolo Componimento, si desiderano nel Vocabolario. Qui gioverà inoltre notare, che questo luogo avvisa del debito, che abbiamo di non riferire alla sola Beatrice tutte le Rime varie che abbiamo di Dante in argomento amoroso; ed inoltre di non averle (e peggio studiarvi sopra, come fece M. Dionisi) qual prova di capriccio ed instabilità, quasi che Dante si abbandonasse ad un tempo stesso a diversi amori. Esse rime anzi le scriveva per tener celato viemeglio l'amor suo principale; al che provvide, come qui scrive,

per anni e mesi. L'amore infatti di Dante con Beatrice Portinari abbracciò il corso di ben sedici anni, dal 1274 - al 1290. Curante della sua fama, egli se ne mostrò geloso anche in fatto d'amore là dove scrisse: che una soperchievole voce pareva lo infamasse viziosamente

SCOLARI.

N. XIII.

Pag. 9, lin. 11. In alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare se non in sul nono ".

Pag. 64, lin. 21. Molte volte il numero del nove prese luogo tra le parole dinanzi ».

Della perfezione, o imperfezione dei numeri considerati in sè medesimi trattano le dottrine di Platone, e le dichiara Macrobio in Somn. Scip. L. I, c. 33 - 37. (Ed. 1565. Ven. ). Secondo queste è pieno di perfezioni il numero nove, che contiene in sè triplicata la virtù del numero tre, il perfetto di tutti - a). Questi due luoghi adunque della Vita Nuova provano li principj, suí quali procedevano gli studj filosofici delle scuole d'allora; studj, ai quali attendeva il Poeta mentre che gli fu tolta Beatrice. Secondo questi nota egli con diligenza tutte le particolarità, che danno segno del numero nove nella storia dell' amor suo; e siccome secondo questi il nono cielo è il cristallino prossimo al cielo empireo; cosi egli è a questi studj, che noi dobbiamo la grande e vasta idea, che sublimò l'amor di Beatrice all'allegoría di quella scienza di virtù morale, scienza del nono cielo, per cui l'uomo è condotto poi direttamente a Dio, e ciò per mezzo della scienza teologica, la scienza appunto del cielo empireo. Derider poi le argomentazioni di siffatti studj sarebbe lo stesso, che non voler conoscere le ragioni del tempo, e meno ancora far buona stima dell' indole di quelle speculazioni, che per quanto ora appariscano astratte, e fors' anche frivole, furono per altro sempre le speculazioni di Platone e d'Aristotele; speculazioni, che spinsero gl' ingegni a quella finezza d'acume e di allegorie, per cui in tanti aspetti è maraviglioso l'ordimento della Div. Com.

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