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5 e segg. Dice, che Amore lo ispira tanto a parlar di B., che
farebbe innamorare la gente, se non gli venisse meno
il coraggio; ed acciocchè non sia impedito da viltà,
non ne parlerà che leggermente con quelle donne
amorose soltanto, a cui dirige il discorso.
Introduce gli Angeli a parlare delle belle doti di B.,
bra-
mosi della compagnia di lei nel cielo.

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Lo cielo ecc., cioè il cielo a cui non manca altro. 24 e segg. Con queste parole Iddio risponde agli Angeli medesimi, ai quali dice di soffrire in pace, che la loro speme, cioè B., che sperano di aver con essi in cielo, resti per qualche tempo ancora là ov'è alcun, cioè nel mondo dov'è qualcheduno (intende il Poeta di sè stesso) che si aspetta a perderla ; e che, il qual Dante nel suo viaggio all' Inferno dirà ai dannati: lo vidi ecc. Vedi la nostra nota 21) a pag. 38.*

-

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5

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In quest' ultima stanza di commiato il Poeta, dirigendo il parlare alla Canzone, dice quello che da essa de

sidera.

Amore è il soggetto di questo Sonetto, e dice ch'esso
e un cor gentile sono una medesima cosa; talmente-
chè l' uno non può star senza l'altro, non meno che
un'anima razionale possa star senza la ragione.
La natura, quand' uno s'innamora, fa che Amore scelga
un cuor gentile per sua dimora, e così l' uno dimora
dentro all' altro.

Dal detto di sopra ne segue, che beltate in saggia don-
na piace all'uomo di cuor gentile, mentre l'istesso
piacere produce in cuor di donna uomo valente.
Avendo trattato d' Amore nel Sonetto precedente, parla
in questo degli effetti che producono i begli occhi di
B., e come per lei si sveglia quest' amore,
Diventa smorto, e piange le sue imperfezioni.

A questo

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esse

come anche al seguente Sonetto, diede casione la morte di Folco Portinari padre di B., e viene il presente indirizzato alle donne fiorentine, che il Poeta vide tornare dalla casa di lei piangenti e con viso basso; alle quali ei domanda prima s' vengono da lei, poichè tornano sì ingentilite. Continuando lo stesso argomento, introduce a parlare le medesime donne, le quali si maravigliavano di veder Dante così piangere ; e gli domandan se la cagione del suo piauto è prodotta da quello di B., e quindi elle stesse manifestano a lui la cagione del loro. Trovandosi Dante oppresso da dolorosa infermità il condusse a gran debolezza, gli giunse verso il nono giorno un si forte smarrimento, che fece imaginargli che B. fosse morta. Finalmente guarito palesa in questa nobilissima Canzone tutta la sua visione. Qui comincia a narrare la visione. lu tutte le altre note del sig. Zotti essendo compendiata la Prosa che precede la Canzone, si tralascia di riportarle.

che

Dopo la narrata visione si sentì egli pigliar nel cuore un tremore amoroso, e parvegli che Amore venisse a lui tutto lieto dalla parte ov' era la sua donna :

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5 dicendogli tutto ridente, di fargli onore ; e appena reche guardando verso d' onde Amore era

sto seco
venuto,

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vide madonna Giovanna, la donna del suo amico Guido Cavalcanti, qui forse dal Poeta intesa per la Fi

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Vedasi l'argomento di questa nella nota 10), pagg. 70-71.
Parlando della morte di B., dice non esser ella stala
tolta di questo mondo per malattia naturale, ma per-
chè fu desiderata in cielo. Qui si è data in ristretto
la nota 18) pag. 71. ⭑
forte per forti, in grazia della rima.

Altri però po

trebbe riferire forte ad angoscia, o intendere avverbialmente quel vocabolo.

Volge il discorso ai cuori gentili, e séguita a lamentarsi della morte di B., dicendo che morrebbe di dolore, se non lo sfogasse con de' sospiri.

Poichè sarebbero gli occhi suoi inclinati a piangere molte volte più ch' ei non vorrebbe; tanto che gliene verrebbe soffogato il cuore.

Voi sentirete lui ne' sospiri chiamar sovente lei, che se
n'è andata in cielo, degna ricompensa delle virtù sue.
E lui dolente e abbandonato dal suo conforto, non cu-
rarsi della vita.

Nella prima delle due stanze, ond' è composta, il fratello
di B. si lamenta della perdita di lei; la quale tanto
lo affligge, che non altro sa bramar che la morte co-
me ultimo e soave riposo.
Nella seconda si rammarica il Poeta, dicendo che al
partir di lei da questa vita tutti i suoi desiderii si ri-
volsero alla morte e che B. divenuta spiritale bel-
lezza spande luce d' amore per tutto il cielo, facendo
maravigliare gli Angeli stessi.

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Composto nell' anniversario della morte di B. in commemorazione di lei.

Amore, risvegliatosi nel suo cuore a questa rimembran-
za, lo fa sospirare e versar lagrime.

Ma i sospiri più caldi che uscivangli dal petto, ripeteano
il giorno anniversario della di lei morte.
Indirizzato dal Poeta ad una gentil donna, che dalla fi-
nestra il guardò un giorno così pietosamente, che tutta
la compassione pareva in lei raccolta.

Allor m'accorsi ecc. Avvedutosi ch'ella sentiva pietà
della sua misera vita, non potè trattenere il pianto;
ma temendo di mostrar viltà, si tolse dinanzi a lei,
la cui vista invitavalo a piangere.

E dicea fra sè medesimo, non poter essere che in quella pietosa donna non fosse nobilissimo amore.

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- 12

Per la stessa gentil donna ; e dice che dovunque vedealo, faceasi d'una vista pietosa e d'un color pallido, quasi come d'amore.

Onde spesso veniagli a mente B., che di simil colore si mostrava ; e faceagli temere, che il cuore gli si

spezzasse.

Non potendo colle lagrime sfogare la sua tristezza, andava egli a vedere questa donna pietosa.

E per la vista di lei accrescevasi in lui la voglia di lagrimare.

Apostrofa il Poeta gli occhi proprii, parendogli che cominciassero a troppo dilettarsi di mirare la gentil donna sopramentovata, e che per lei obbliassero di piangere B.; onde teme forte del viso della donna che lo riguardava.

Voi non dovreste ecc. Consiglia finalmente i suoi occhi a non dimenticar B. se non per morte.

Cominciando il Poeta a prender troppo diletto nella vista di quella donna, dice che un gentil pensiero gli accendea tanto amorosamente la fantasía, che il cuore si conformava ad esso nel suo ragionare. Per cuore intende l'appetito, per ragione l'anima. - 9 Ei le risponde, cioè l'appetito alla ragione. È questo un nuovo spiramento d'amore, che accende l' anima di desiderio amoroso.

Pentito il Poeta del desiderio, da cui sì vilmente erasi lasciato trasportare per la gentil donna dei quattro precedenti Sonetti, rivolse tutti i suoi pensamenti a B.; e dice che per forza de' molti sospiri si raccese in lui talmente il lagrimare, che gli occhi eran cerchiati di color purpureo, segno di dolore che altri soffre. 9-14 I pensieri e i sospiri gli opprimono tanto il cuore, che lo stesso Amore per compassione vien meno. Essi contengono in sè scritto il nome di B., e gli rammentano la morte di lei.

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Diretto ad alcuni pellegrini che passavan di Firenze per recarsi a Roma, onde vedere il Sudario, ossia quel panno su cui restò effigiata l'immagine di Cristo. Voi passate senza piangere per mezzo della città, dove nacque, visse e morì la mia donna, come persone che nulla abbiano inteso del mio affanno, per aver perduto Beatrice.

Quanto mai si può dire di lei, tutto ha virtù di far piangere chiunque l' intendesse.

A due donne gentili è inviato da Dante questo Sonetto, nel quale dice che il suo sospiro sale in cielo al di là del primo mobile nella sede de' beati, ove nuova intelligenza, ossia il pensiero di Beatrice lo tira. Quand' egli è giunto al luogo de'suoi desiderii, vede una donna onorata, la quale pel suo splendore si fa ravvisare dal di lui spirito, che chiama pellegrino, perchè intellettualmente va lassù, come un pellegrino fuori della sua patria.

Quivi egli la vide in tal qualità, che il suo intelletto non potè comprenderla.

Quantunque non possa intendere la sua mirabile qualità, ne sente spesso il di lei nome nel suo pensiero.

APPENDICE

DI ANNOTAZIONI E DOCUMENTI

N.° I.

Pag. 1, nota 1).- La prima nota che segue alla Prefazione del Volume V della presente edizione dovea far parte di quest' Appendice; ma dai motivi che consigliarono di anticipare la pubblicazione di detto volume non andava disgiunto quello di giustificare l'uso da me adottato di stampare con doppia il cognome di Dante. Dal vedere che ormai quest'uso si va estendendo in più parti d'Italia, ed anche nella stessa Firenze non tanto nelle scritture, che nei pubblici monumenti, debbo compiacermi nel dedurne che non male accolte sieno state le mie osservazioni circa l'erronea maniera di scrivere con un'elle sola il venerando casato Allighieri. Non presagii dunque male nella nota 1) alla stessa Prefazione, pag. VII, col dire che poco alla volta gli scrittori si accorderebbero in una medesima sentenza; e se taluno, benchè in sẻ convinto, segue tuttora l'antico modo per non deviare dall' abitudine, e quasi dire per scrupolosa coerenza al proprio sistema; nessuno per altro si fece a contraddire, ed a provare insussistente ciò che da me fu sul proposito ragionato anche in altra occasione *). Questo fatto pertanto può riguardarsi per buon augurio, e come un tacito omaggio alla verità, che già dapprima aveano propugnato e il Pelli nelle Memorie per la vita di Dante, e il Mehus nella Vita del Traversari, e il canon. march. Dionisi nelle varie sue opere, e poscia in parecchi scritti l'altro mio concittadino cav. De Scolari, il quale particolarmente in apposita sua Dissertazione impressa a Treviso del 1841 raccolse quante dimostrazioni e argomenti poteano addursi, onde combattere il mal uso in addietro prevalso. A sostenere il quale chi pur nonostante volesse cimentarsi, gli converrà distruggere ad una ad una tutte le ragioni addensate in quel pregevole scritto; impresa che non si dubita asserire assolutamente impossibile.

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N.° II.

Pag. 1, lin. 8. INCIPIT VITA NOVA. Giovi metter subito in chiaro, che Vita Nuova nel sistema Dantesco vuol dire età dell'adolescenza, la la quale, giusta il Convito (Trat. IV, Cap. 24, p. 324, ediz. della Minerva di Padova), dall'anno 9 si estende all'anno 25 dell' età dell'uomo. Questi fu tal nella sua vita nuova è nel Canto XXX del Purgatorio, v. 114, e vuol dire : Questi fu tale nella sua adolescenza. Avanti poi di questa età, nel libro della memoria si può legger poco, perchè poco si possono ricordare le cose della puerizia. Notisi inoltre, che dal Proemio risulta aver Dante avuto mestieri di ricorrere al libro della memoria per iscrivere il suo libro intitolato la Vita Nuova; su di che aggiunge, che sotto la rubrica di detto libro trovò scritte le parole (e vuol dire le Rime), delle quali se non tutte, si propose in esso libro di chiarir la sentenza. Sono dunque le Rime che appartengono alla Vita Nuova; e il libro, che le raccoglie e le commenta, è posteriore ad esse, perchè fatto coll'ajuto della memoria. Dico anzi a più precisa dichiarazione di quel 1292, o poco dopo, da me indicato a pagina 7, linea 10, dell' Appendice al Convito, che il Commento della Vita Nuova fu scritto da Dante nella sua gioventù, la quale dal 1290 ci porta fino all'anno 1310. Noto in fatti, che nel Trat. IV del Convito, Cap. I, pag. 6 (ediz. cit.) scrive Dante medesimo, che in essa opera del Convito tratterà più virilmente, che nella Vita Nuova; ond'è chiaro che dunque anche il Commento della Vita Nuova (non già la Vita Nuova, che viene rappresentata da quelle Rime che narrano gli amori di lui) era stato composto in età virile. Ecco adunque : Dal 1274 al 1290 l'adolescenza di Dante è rallegrata dall'amor di Beatrice. Questo è la Vita Nuova, il tempo delle sue Rime amorose, e de'suoi studi filosofici. Muore Beatrice (1290); narra la storia dell'amor suo e dei suoi pensieri, d'onde quello arditissimo di seguitare ad amarla in cielo sotto immagine della Filosofia.

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Questa è l'epoca del Commento alle Rime, che espongono la Vita Nuova. Dichiara l'unione e il passaggio di questo amore terreno ad un amore spirituale e celeste; ed ecco la Canzone ed il Commento, che ora formano il Trat. III del Convito (1292). Nell'amore della virtù e della sapienza egli vede il principio d'uua vera nobiltà: ed ecco la Canzone e il Commento, che formano adesso il Trat. IV del Convito (1298). Il matrimonio, e le cure degl' impieghi lo tolgono alla pace degli studii, e lo gettano nelle sciagure dell'esilio e dei partiti, in tanto che vede perire in mezzo ad essi la salute d'Italia: ed ecco la Divina Commedia, nella cui visione Beatrice, immagine della Filosofia, gli rimprovera il suo traviamento, e gli addita il fine d'ogni nostra speranza in Dio (1300). Arriva l'Imperatore in Italia, e la brama del ritorno in patria gli detta il libro de Monarchia (1311). Ricoverato finalmente e protetto dalli Signori di Ravenna, è nella ricuperata tranquillità degli studii che pensa di comporre un libro di Filosofia Morale composto di 14 Canzoni ed altrettanti Commenti; e dette in una le lodi generali della Filosofia, la frammette alle due che avea di già composto da prima, e tutte e tre le fa precedere da un Trattato intorno all'uso del Volgare Eloquio. Egli è nel 1321, che una morte immatura gli toglie di compiere il secondo de' suoi sublimi disegni, e lo riconduce a fianco della divina Beatrice.

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