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Avrei ben voluto che non solo Venezia, ma i Comuni di tutto il Veneto fossero concorsi col resto dei Comuni di tutta Italia nel porgere il tributo loro al monumento che erigesi in Firenze, la città nativa del gran Poeta, ricorrendo il sesto centenario del nascimento suo e questo secondo un vivo desiderio ch'espressi in mille modi e che manifestai agli amici miei tutti quanti che o per poco o per molto non avesse a mancare alcun Municipio o Comune d' Italia, affinchè si potesse nel piedestallo al monumento inalzato scolpire :

A

DANTE ALLIGHIERI

1 COMUNI D'ITALIA.

Nè so proprio perchè si vogliano ravvisare secondi e terzi fini celati in cosa ch'è la più semplice di questo mondo: darsi dall' Italia un contrassegno di riverente affetto ad una delle più grandi intelligenze, forse della più grande che onori la civiltà moderna. Ma che vuoi amico mio? anche le cose più semplici devon essere turbate sempre nel proprio corso, e sempre con iscapito comune, perchè l'ordine della verità e del bene ha questo di proprio che non patisce di essere impunemente violato mai. Ma passo ad altro argomento.

Mi sta sul cuore la troppo famosa lettera ch'è la ottava nel novero di quelle stampate dal Fraticelli nel terzo ed ultimo volume delle Opere Minori dell'Allighieri. Nella illustrazione si dice che AntonFrancesco Doni la pubblicava pel primo nella raccolta delle sue Prose Antiche, e si vorrebbe che fosse una traduzione dal latino. Da chi sospettò della autenticità di siffatta lettera, fra cui ricorderò segnatamente il Fabbroni ed il Witte, il primo de'quali asseriva essere indegne della probità di Dante le espressioni che quivi adopransi contro i Veneziani, e sì la lettera che l'ambasciata di Dante essere una solenne impostura del Doni », fino al Torri ed al Fraticelli che conchiudeva «Io non affermerò che la lettera appartenga indubbiamente al nostro Allighieri; ma posti in bilancia gli argomenti che dall'una e dall'altra parte si adducono, parmi che preponderino quelli che stanno per l'affermativa »>, le conclusioni dell'eruditissimo Fraticelli insieme agli altri argomenti addotti dal Bernardoni e dal Torri (mi pare impossibile, anche per amore della sua Venezia, che il nostro buon Torri si lasciasse andare tant'oltre) mi turbano un poco. Ora che i Veneti miei erigono un busto all'Allighieri nel palazzo medesimo ov'egli presentossi al Senato, allora massimamente venerabile tanto, bramerei grandemente che la cosa fosse posta in chiaro. Al grandissimo ingegno dell'Allighieri di queste gravissime scappate d' ira

ne perdoniamo assai, e Firenze ne porge il primo spendidissimo esempio; ma non avrebbe bisogno di perdono ove colpa non ci fosse. Tu che tanto sai dell'Allighieri, che tanto lo ami, che ami pur tanto la mia Venezia potresti dirmi alcun che a tale riguardo? Faresti sommo favore al tuo

BERNARDI.

COMMENTO BIOGRAFICO-STORICO

ALLA

DIVINA COMMEDIA (Continuazione, V. N.° 10, pag. 89)

Beatrice.

Io son Beatrice che ti faccio andare:
Vengo di loco, ove tornar disio;
Amor mi mosse, che mi fa parlare.
(Inf., c. II).

Il forestiero, cui, venuto nella città del Battista, toccò la buona ventura di aver per guida un fiorentino istruito nelle patrie glorie, sarà lieto di vedersi accennare li presso il Canto de' Pazzi: « qua era la casa di Folco Portinari e di Beatrice: là abitava

l'Allighieri, il poeta più ch'altri mai lattato dalle Muse ». Or avvenne che la famiglia di questo trasse nell'Aprile 1274 ad un lieto convito presso i Portinari, e Dante appena novenne in quel giorno, fu preso della bella persona, dell'onesto costume di quella fanciullina. Di lei scrive il Boccaccio: Di tempo non trapassava l'anno ottavo, era leggiadretta assai, e ne'suoi costumi piacevole e gentilesca; bella nel viso, e nelle sue parole con più gravezza che la sua piccola età non richiedeva; e Dante così la ricevette nell'animo, che altro sopravvegnente piacere la bella immagine di lei spegnere nè potè nè cacciare. Un costei cortese saluto fatto per una via al nostro poeta lo inebriò di tanta dolcezza da dettargli le rime più soavi che si potessero udire. Ma la sua Beatrice gli fu tolta da morte nella prima ora del giorno nono di Giugno del 1290; compiti quattro mesi dacchè era entrata nell'anno vigesimosesto. A questo casto amore, a questa morte dobbiamo poesie liriche di sovrumana bellezza, ed in buona parte la Divina Commedia.

Enea.

Di Silvio lo parente. (Inf., c. II).

Enea principe Trojano figlio di Anchise si sottrasse all'eccidio di Troja colla sua famiglia; forse rispettato dai Greci perchè apertamente disapprovava il rapimento di Elena. Peregrinò in Italia e giunse nel

Lazio dove colla mano di Lavinia ebbe in dote la successione agli stati di Latino re dei Latini. Da lui e da Giulo suo figlio una successione di molti re e da questi Romolo che edificò la Città eterna. (Vedi Omero e Virgilio).

S. Paolo.

Andovvi poi lo vas d'elezione

Per recarne conforto a quella fede Ch'è principio alla via di salvazione. (Inf., c. II).

San Paolo veramente non andò all' Inferno, ma sì un ratto straordinario lo trasse in ispirito al terzo cielo alle beati genti dove Virgilio condurrebbe il poeta nostro. È noto che San Paolo, già Saulo, era persecutore dei cristiani, e tuttora giovinetto assistè al martirio di S. Stefano. Ma mentre un di recavasi a Damasco con prave intenzioni contro i seguaci del Figlio di Dio, un insolito splendore che lo ricinse, lo trasse giù di sella e gli offuscò la vista in modo da non potere trarsi più innanzi da sè. Illuminato nella vera religione da Ananìa riacquistò la vista del corpo, e si fece predicatore ed apostolo di quella fede che già era stato inteso a perseguitare; fu decapitato per questo in Roma, imperante

Nerone.

99 media si mostra riverente all'autorità delle somme chiavi. Quindi mai avrebbe notato col nome di viltà un atto che la Chiesa tacitamente approvava. Viltà sonando anche bassezza di pregio, di prezzo (V. il vocabolario del Mannuzzi) potrebbe intendersi che il poeta alludesse ad Esaù; il quale per una minestra di lenti vendè al fratello Giacobbe la primogenitura, e quindi per un nonnulla gli cedè la gloria che da lui discendesse il Messia. Qui però è una vana difficoltà, cioè che Dante non poteva riconoscere un uomo esistito migliaia di anni addietro. Così vien rifiutata l'applicazione di quella frase a Domiziano, difficoltà di nessun valore, perchè usa il poeta l'istessa parola vidi trattandosi di Socrate ec., alludendo alle indicazioni fatte a lui dal suo duca Virgilio. Alcuni al contrario opinano, e sono uomini di autorità, che Dante alluda a Torrigiano dei Cerchi, ben noto al poeta, e che in alcune bisogne del suo partito si mostrò offeso da viltade e da paura. Non manca ancora chi stimi alludersi al fratello di Giano della Bella che nella cacciata di lui, scrive il Barcellini, avrebbe potuto farsi capo di Firenze, e senza mollo impegno, mentre veniva assistito dal popolo e dalla forza di altri partigiani amici di Giano sbandito. Fatto è però che tra le varie interpretazioni quella a danno di Celestino è la meno ragionevole.

Rachele.

Che mi sedea coll'antica Rachele. (Inf., c. 11).

È noto che Rachele, bellissima figlia di Labano, fu moglie del Patriarca Giacobbe, e di lui generò Giuseppe e Beniamino, dai quali tre delle dodici Tribù d' Isdraello.

L'ombra di colui

Che fece per viltade il gran rifiuto. (Inf., c. II).

Qui son discordi gl'interpreti; alcuni intendon Celestino papa, il quale rinunziò il papato, e gli successe Bonifazio ottavo. Ma questa spiegazione sembra mal fondata. Celestino rinunziò in seguito del consiglio di molti cardinali e di sode riflessioni proprie a vantaggio del retto reggimento della Chiesa, come prova l' Iorry (1) nella vita di Bonifazio VIII e per umiltà, virtù che nol poteva rendere spiacente a. Dio, ma solo alli inimici sui; virtù che Dante stesso commenda in varii luoghi del Divino Poema, massime, Purg. x, 124, xII, 410; e quando Dante scrisse, già la Chiesa aveva pubblicato il decreto di beatificazione. Ed egli in tutta quanta la Divina Com

(4) Il libro dell' lorry tradotto fu pubblicato in Genova nel 1855.

Adamo.

Trasseci l'ombra del primo parente, ec. (Inf., c. IV).

Il primo parente è noto essere Adamo che, come dice la Genesi, allettato dall'ambizione di essere eguale a Dio, ruppe il divieto e trasse mali senza numero su tutta l'umana generazione; ai quali non potè rimediare che il divino Riparatore. Cacciato colla moglie dal paradiso terrestre piansero la colpa, e Dio si pacificò con loro. - Abele suo figlio offerendo di cuore all'Altissimo elette agnelle, trovò graditi i doni : l'avarizia di Caino, scarso con Dio che tanto gli largiva, provocò contro lo scellerato la collera celeste; quindi i suoi doni furono rigettati, ed egli preso d'invidia tuffò le mani nel sangue di Abele, e con questo peccato la morte entrò nel mondo. Noè discendente di Seth che Dio dette ad Adamo a compensare il perduto Abele, viveva in mezzo ad una carne che aveva corrotte le sue vie. Avvertì gli altri uomini della collera di Dio vicina a scoppiare. Profetò un diluvio che sommergerebbe l'umana generazione; edificò l'arca ( disegno di Dio); ma gli scellerati si risero di lui e non lasciarono i mali abiti. Le cateratte del cielo si apersero; e, salvo Noè e la sua famiglia, a tutta quanta l'umana generazione le acque furono tomba.

Mosè.

Mosè visse a' tempi di quel Faraone, che, adombrato d'un oracolo da cui si diceva esser per nascere il Salvator degli Ebrei dalla schiavitù degli Egiziani, aveva ordinato tutti gl' infanti isdraeliti fossero uccisi. Un tratto speciale della Provvidenza salvollo. Adulto, ebbe da Dio comando espresso di notificare a Faraone esser volontà dell'Altissimo ch'ei permettesse ai discendenti di Giacobbe di trarre nel deserto ad offrirgli sacrifizio. Il re infedele si rise di lui e del suo Dio, e cedè solo allora che per nove volte flagellato dalla destra dell' Eccelso vide per decimo gastigo spenti da mano invisibile col proprio figlio tutti i primogeniti Egiziani. Indi perfidiando nell' inseguirli fu co' suoi sommerso nell'acque del Mar Ros so, passo sicuro al popolo di Dio, sepolcro a' suoi nemici. Così Isdraello, duce Mosè, accompagnato da mille prodigi, sempre vincitore di chi gli contendeva il cammino verso la terra ove erano sepolti Abramo ed Isacco, ebbe dal Signore il codice della Legge Positiva, che esser doveva salute alle genti fedeli.

Abramo.

Abramo figlio di Tare ebbe ordine da Dio si partisse dalla Caldea, paese idolatra, per trasferirsi in luogo ch' Egli medesimo gli avrebbe indicato; e lo dichiarò padre di un gran popolo, il popolo eletto, che si moltiplicherebbe siccome le arene del mare. Ma poichè alle grazie rispondono le prove, ne tentò l'ubbidienza imponendo gli menasse l'unico figlio Isacco sul Moria al fine di sacrificarglielo. Dio fu contento del buon volere, e ripetè le proposizioni e le promesse al patriarca fedele.

David.

E di David, chi non sa spento da lui col solo trar della fionda un gigante filisteo, perdonata la vita al suocero Saul che lo voleva spento, domati

BENVENUTO RAMBALDI

DA IMOLA

ILLUSTRATO NELLA VITA E NELLE OPERE

E DI LUI COMMENTO LATINO

SULLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALLIGHIERI
voltato in italiano

DALL'AVVOCATO GIOVANNI TAMBURINI.

In Imola presso T. Galeati e Figlio, editori, e in Firenze, presso G. Molini, al prezzo di Ln. 30. (4)

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

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N.o 66 dal secolo XV al XIX (1490-1858).

Scritti speciali diversi sopra Dante, interpretazioni di passi, correzioni di testo ec, ed opuscoli varii relativi. N.o 387 di tutti i secoli della stampa.

NB. I volumi componenti questa piccola Collezione Dantesca sono per due terzi e più legati benissimo in pelle, gli altri pochi sono nuovi, ed intonsi: tutti sono begli esemplari conservatissimi in un'apposita scansia chiusa a vetri, che si può disfare, ridurre a fascio e trasportare.

Chi bramasse farne acquisto potrà rivolgersi al sig. GINO DAELLI, editore del Politecnico in Milano, presso il quale troverà ogni ulteriore notizia ed ogni conveniente facilitazione.

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Parle officiale. - Deliberazione del Municipio di Rogiano.
Parte non officiale. - Proposte per celebrazione del cen-
tenario di Dante. N. TOMMASEO e Prof. G. SOLITRO.
- Secolo di Dante. - Cenni cronologici. - B. BELLOMO.
Commento mitologico alla Divina Commedia L. N.
Di un passo del Cant. 2.° dell' Inferno. G. B. BULGA-
RINI, VINCENZO DI GIOVANNI, GIUNIO CONTERNO e ANGELO
CAVALIERI. Avvisi.

PARTE OFFICIALE

ONORI DEI MUNICIPI ITALIANI A DANTE. Deliberazione del Consiglio Municipale di Rogiano (Cosenza, Calabria Citra).

Adunanza del 3 Maggio 1863.

Il Sindaco presidente, ha invitato i Signori del Consiglio a deliberare se questo Municipio voglia concorrere, e con qual somma, al Monumento di Dante Allighieri, che s' inalzerà in Firenze nel Maggio del 1865; e se unitamente alla somma si vorrà, a nome del Municipio, mandare alla Com

се

Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.o 5.

missione istituita per la celebrazione del Centenario una scrittura *, a cui è stato invitato il sig. Arciprete Ferdinando Balsano di questo Comune, intorno a ciò che il nostro illustre concittadino Giovan Vincenzo Gravina dettava nelle sue opere, sulla Divina Commedia.

Il Consiglio,

Considerando come sia dovere ed onore per ogni cittadino e per ogni comune italiano il testimoniare pubblicamente l'ossequio dovuto ad un uomo che saliva a tanta estimazione in tutto il mondo incivilito, siccome fondatore, non della italiana soltanto, ma di tutta la moderna letteratura;

Considerando come debba essere esempio produttore di cittadine virtù l'onorare in Dante, non il semplice poeta, ma il poeta della ret

* Anche il Municipio di Pavia, con bell'esempio, incaricò un egregio scrittore, professore in quella Università, il sig. A. Zoncada, di uno scritto relativo a Dante da aver luogo in questo Giornale. Lo scritto fu fatto e s'intitola: La nazione, l'umanità, l'individuo nella Divina Commedia. Lo faremo conoscere quanto prima ai nostri lettori. G. C.

titudine e della civiltà, essendo egli stato l'iniziatore profetico del civile rinnovamento d'Italia ;

provocarlo. Qual verso in quel di suonerà degno di lui? quale oratore oserà le sue lodi? Meglio cantare, valentemente musicati, de' versi suoi stessi; e una raccolta di tali composizioni stampare, e invitare at ciò i più lodati maestri, primo Gioacchino Rossini. Meglio invitare gli artisti che facciano una mostra solenne di disegni, tolti segnatamente dal Purgatorio e dal Paradiso del sacro poema; e le somme che sperderebbersi in baldorie, all'esecuzione delle meMeglio statuire un premio quinquenne a quel giovane profon-glio apprezzate tra le proposte opere consacrare. scienziato che presentasse lavoro della sua disciplina commendevole per bellezze di dicitura; e a quel prosatore o poeta che meglio trattasse soggetto attenente a scienza, acciocchè sia così reso onore all'uomo che la verità e la bellezza seppe nel suo verso congiungere in valorosa unità. N. TOMMASEO.

Considerando come pei Rogianesi sia particolar dovere il venerare la gloriosa ricordanza di lui, onde essere fedeli alle patrie tradizioni della loro natale terra, seguendo l'esempio del loro illustre concittadino Giovan Vincenzo Gravina, il quale così profondamente giudicava del merito di Dante, sotto il riguardo letterario, scientifico, politico e morale;

Ad unanimità di voti e con plauso,

Ha deliberato e delibera concorrersi al monumento che s' inalzerà a Dante Allighieri in Firenze nel Maggio 1865, per la somma di Lire 100 da gravitarsi sul bilancio del 1865, e da spedirsi alla Commissione incaricata, unitamente allo scritto del sig. Arciprete Ferdinando Balsano, in un opportuno spazio di tempo.

PARTE NON OFFICIALE

Proposte

PER LA CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DI DANTE

Altro modo di celebrare la memoria di Dante.

La proposta che qui sotto si legge, fatta da uomo d'eletto ingegno, che ben più frutti ne avrebbe dati in condizioni migliori, quand'anco non sia curata da chi può metterla in atto, non può non chiamare a utili considerazioni chiunque ama il patrio decoro. Degno di Dante sarebbe che la solennità della sua commemorazione, essa, lasciasse memoria di sè; che non si spegnesse a guisa di razzo, e, come di fuoco d'allegria, non ne rimanesse che fumo. Sciorinar di letture accademiche e sventolar di bandiere, pranzi e balli, sono ormai pompe volgari, che resero quasi ridicoli i Congressi degli scienziati, che le feste politiche fanno essere cosa quasi meno che scenica; e ai dispendii vani sopraggiunsero più d'una volta dicerie scandalose. Onorare così la memoria dell'austero e infelice Poeta, con tali allettamenti richiamare le sue ceneri dall'esilio, invocare presente il suo spirito; sarebbe un offenderlo e un

(Dal Giornale di Massa L'Apuano).

Da lettera.

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A proposito di Dante e della di lei Toscana (quante cose ci metto di soppiatto in questo di lei ! sino uno dei sette peccati capitali); lessi con molto piacere una lettera del sig. Corsini, di Firenze, nella quale, tra varie cose, tutte belle, che propone per il Centenario, c'è questa che l'Italia conviti alla festa l'Europa. N'ebbi piacere, non solo perchè questo pensiero m'era venuto da due anni, ma perchè sperai ch'essa lettera, ristampata, come vidi, in più d'un giornale, potess'essere come un punto guadagnato verso l'effettuazione di quel desiderio o sogno. E vuol sentire un altro sogno? Se in Dante è il pensiero dei giorni presenti, e, per assai riguardi, la presente e avvenire civiltà dell' Italia e dell'Europa; il sogno sarebbe che si dovesse fare arrivare il di lui nome alla coscienza della Nazione nel più solenne modo che si può, vale a dire, per una legge. Il Parlamento dovrebbe decretare che l'anniversario dello Statuto, invece di venire nella prima domenica di Giugno, venisse, dal 1865, nella prima del dì 21 di Maggio, e dire il perchè di questa, apparentemente tanto lieve, mutazione. Le Memorie che voglionsi presentemente perpetuare coll'anniversario, perdono quello che hanno d'unico nella storia, se rimangono isolate dalle memorie di cui sono un frutto. Di tutto il mondo moderno, è gloria e fortuna della sola Italia, di poter affermare sè stessa non coi quindici ultimi anni della sua storia politica, ma co' secento della sua storia intellettuale.

(6 Dic. 63).

Prof. GIULIO SOLITRO.

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