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e attribuito ai soli laici il possesso ed il maneggio della prima. E mentre egli avvolgeva quasi di oscurità molti altri concetti, questo all'incontro lo manifestava limpido e chiaro, perchè ammaestramento dell'esilio da lasciarsi ai concittadini. Gli amanti del sacerdozio civile, riconoscendo anch'essi la grandezza del sommo Poeta, avvisarono che in questa nuova lotta, che ferve con lo Stato, riuscirebbe loro di vantaggio il mostrarlo invece amico e sostenitore della signoria temporale. L'argomento non poteva essere più difficile a trattarsi; alcuni dei principali campioni vinti dall'evidenza confessarono la disfatta, ma l'impresa continua, e anche al presente è venuto a sostenerla il signor Giambatista Marcucci con il libro che abbiamo annunziato.

L'autore stesso nel cominciare sembra che si accorga dell' impossibilità della riuscita, quasi non sa che forma dare al suo lavoro, e lo principia in un'osteria e crea una specie di scena, della quale è protagonista un soldato non troppo naturalmente dipinto. Questi ad uno che ragionava sul dominio dei papi, e citava i versi dell'Allighieri sull'unione biasimevole delle due autorità, prende a fare una parlata che occupa l'intiero libro. Soggetto principale di questa è il dimostrare in primo luogo che Dante non vuole che si tolga al pontefice la signoria delle sue terre, quantunque nel civile voglia un monarca universale. Ed in secondo luogo che gli argomenti, che adduce in grazia dell'imperatore, considerati attentamente mostrano che l'autorità imperatoria sopra tutti i consoli e re meglio starebbe nel Pontefice. Per asserire questo si giova di tutte le opere dell'Allighieri, ma si appoggia in modo particolare alla Divina Commedia e al trattato De Monarchia.

di

Comincia il suo ragionamento col darci una breve, ma giusta esposizione di questo trattato, e di ciò dobbiamo lodarlo. Ma egli non si diporta con pari imparzialità, quando prende a discorrere sul Poema; bellamente si passa sopra quei punti che danneggiano le sue supposizioni, e quasi temendo l'evidenza delle terzine su i due reggimenti, le accenna con una parola di spregio e ne tenta una confutazione senza riportarle. Questo accenniamo, perchè massimamente nelle questioni di lettere ci piacerebbe che si combattesse con tutta lealtà, avendo unicamente per arme la ragione.

Il concetto che Dante si era formato della monarchia universale, più che dalle sue opere, s' intende dalla storia de'suoi tempi. Allora fervevano accanite le lotte dei ghibellini e dei guelfi e ambedue queste fazioni non serbavano nè modo, nè misura; ma le cause maggiori delle turbolenze e delle sciagure d'Italia erano certamente le smisurate e ambiziose pretese dei papi. Eglino, appropriatosi

quel detto di San Paolo omnis potestas a Deo venit, si credevano di ricevere da Dio con l'autorità spirituale anche quella temporale, perciò si reputavano monarchi di tutta quanta la terra e stimavano vassalli gl' imperatori e i re. In prova basti accennare papa Giovanni XXII che nelle sue bolle si andava spacciando vicario dell' imperio, e andava dicendo non essere imperatori nè il Bavaro, nè Federigo d'Austria, ma egli stesso. E per sostenere questi vanti impugnavano le armi, dichiaravano guerra, fulminavano scomuniche, tenevano in iscompiglio l'Europa. Dante, che lungamente meditò sulle sciagure delle sua patria, credè unico rimedio il ritornare la Chiesa alla purità primitiva con levarle la potestà temporale; a questo scopo scrisse i tre libri De Monarchia, prendendo con questi a dimostrare la necessità di un imperatore universale, il quale dovesse moderare tutte le repubbliche e tutti i principati, che doveano, secondo il suo concetto, conservare le leggi proprie e con queste governarsi. Dalla qual cosa il nostro autore trae argomento a concludere che Dante volesse conservare ai pontefici i loro possedimenti, ponendoli nella condizione stessa degli altri principi. Ma questo giudizio non ci sembra giusto, perchè, se in tutta la Monarchia non vi è nessuna espressione dalla quale si possa argomentare che voglia togliere anche questo unico benefizio al papato, lo scopo stesso del libro di abbattere le pretese di questo alla monarchia universale, il poco o nulla curarsi degli stati secondarii, e in ultimo luogo il provare studiosamente che l'imperatore, mentre deve rispettare il papa nello spirituale, non gli deve dipendere nel temporale, sono argomenti bastevoli a provare il contrario. È vero però che a prima vista sembrano quasi in grazia della signoria temporale le seguenti parole del libro III: « Si Constantinus auctoritatem non habuisset, in patrocinium Ecclesiae, illa quae de imperio deputavit ei, de jure deputare non potuisset; et sic Ecclesia illa collatione uteretur injuste... Sed dicere quod Ecclesia abutatur patrimonio sibi deputato, est valde inconveniens ». Ma il signor Marcucci ha già detto saviamente al principio del suo scritto, che per bene intendere i concetti dell'Alighieri bisogna giovarsi di tutte le sue opere, imperocchè le une servono alle altre d'illustrazione, ed un concetto che in una sembrava oscuro nell'altra è rischiarato. Perciò, valendoci del criterio da lui stabilito, ricorrendo a questa terzina,

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,

Non la tua conversion, ma quella dote,
Che da te prese il primo ricco patre,

ne viene che Dante nella Monarchia riguardava la donazione di Costantino come un fatto, non la lo

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Il Município di Palermo ha generosamente deliberato di contribuire per lire mille al monumento nazionale a Dante Allighieri.

La Commissione per il Centenario di Dante tenne il 24 corrente una prima generale adunanza all'oggetto di occuparsi del programma per le feste del 4865. Fu nominata una sotto Commissione per redigerlo, e le furono fissati cinque mesi di tempo per presentarlo. Dopo discusso ed opprovato dalla intera Commissione verrà quindi presentato al Consiglio Municipale.

Non parrà soverchio il tempo accordato ove si consideri che tutti sono penetrati della solennità che dovranno avere quelle feste e che intendono, giovandosi dei migliori consigli, maturamente ponderarli e discuterli.

(Dall' Eco dell'Alpi Cozie ).

Le città tutte d'Italia, e anche quelle politicamente ancora e sventuratamente soggette agli austriaci, e molti comuni porsero e vanno porgendo tributo proporzionale alla condizion loro per l'erezione di un monumento che al sommo suo concittadino consacra la città della sua nascita, Firenze. Pinerolo che mai non rifiutossi di concorrere alle opere più generose e patrie, anche in tale circostanza non ristarà certo di esibire il suo nome fra le altre città sorelle, e parecchi dei nostri comuni, anche in misura modesta, se più non concedono le condizioni finanziarie, offrire questo segno di riverenza al grande Italiano e di unione. È cosa cui dobbiamo prestarci anche per l'effetto morale.

Intanto udiamo con piacere che l'altro ieri i Professori de' nostri Istituti segnatamente del Convitto, del Liceo, del Ginnasio e del Corso Tecnico convenuti ad una mensa comune, vennero nel concetto di concorrere insieme a questa dimostrazione eminentemente italiana. Detto fatto e fu raccolta fra loro la somma di lire 22 da spedirsi al Municipio Fiorentino. Potrebb'essere questo il principio e l'eccitamento agl' Istituti d'Italia perchè si unissero ai Comuni nella degnissima impresa. E che bel fatto

Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa.

Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Università di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8.° con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti.. it. L. 45, 00 - Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8.° massimo di carta imperiale con margini allargati (ediz. di 75 esempl.) . » 75, 00 Ediz. citata nella ristampa (che è in corso) del Vocabolario della Crusca. Si spedirà franca per posta nel Regno a chi ne rimetterà agli Editori in Pisa l'importo con Vaglia Postale.

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

BIBLIOGRAFIA

Studi sopra Dante Allighieri alla intelligenza della Divina Commedia di EMILIO VON RUTH, voltati dal tedesco in italiano da PIETRO MUGNA.

Il traduttore crede di prestare un qualche servigio a quanti sono fra noi studiosi dell'altissimo Poeta, italianando il libro qui sopra notato dell' illustre professore di Heidelberga, frutto del lungo studio e del grande amore che ei pose alle opere di Dante a chiarirne la mente con lo scopo peculiare di giovar all' intendimento del poema sacro. Col rendere poi ora italiano il sodo ed utile lavoro del dotto alemanoo intende ei pure di pigliare in tal maniera una parte attiva alla festa che Italia prepara al più grande de' suoi figli

e maestri.

Il signor Ruth, oltrechè per questi Studi, è già favorevolmente conosciuto per una bella storia della poesia italiana, e lo sarà ancora più, quando dia in luce la storia d'Italia dal congresso di Vienna sino ai nostri giorni, storia che tutto lo occupa adesso con quello affetto che intelligente ei porta al paese e alle

cose nostre.

SI

LA DIVINA COMMEDIA

QUADRO SINOTTICO ANALITICO
DI LUIGI MANCINI
Un Volume al prezzo di Ln. 2. 50.
Vendesi a benefizio del Monumento a Dante.
Deposito in Firenze alla Libreria Paggi.

Si pregano i Signori Associati al GIORNALE DEL CENTENARIO a sodisfare il pagamento della prima rata di Associazione, che scade nel corrente mese.

Gli articoli letterari di questo Giornale non si potranno riprodurre senza licenza della Direzione.

G. CORSINI Direttore-Gerente.

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glio 1844, e che visto dal P. Ponta, l'autore dell'Orologio di Dante, provocò per parte sua alcune osservazioni al Torri. Questi trovando gli appunti del P. Ponta degni di essere considerati li comunicò al Mossotti, il quale difese con queste lettere la propria interpretazione. La distanza del tempo che l'una dall'altra separa, non può far supporre che altre ve ne siano, giacchè queste armonizzano completamente fra loro; e la dichiarazione che il Mossotti fa di non entrare in discussioni di questo genere, dalle quali per carattere era alienissimo, basta a togliere il dubbio. A parte poi il loro intrinseco valore, queste lettere ci porgono il vantaggio di richiamare alla memoria dei viventi il nome di due uomini egualmente cari e per sapere e per cuore. G. C.

LETTERA PRIMA.

Pregiatissimo Signore,

Lo ringrazio della comunicazione che mi ha fatto della lettera del Rev. Padre Marco Giovanni Ponta, nella quale sono esposte alcune osservazioni alla spiegazione che ho dato del passo con cui Dante apre il canto IX del Purgatorio. Quell' illustre dotto trova qualche difficoltà a riconoscere quale sia l'orizzonte

sul quale nasce la costellazione dei Pesci, nella mia esposizione. Secondo l' interpretazione che io ho dato, la frase

E la notte dei passi con che sale,

è presa in un tempo indefinito ed indica le costellazioni della Libra, dello Scorpione, e del Sagittario colle quali la notte sale per le tre case ascendenti: e la frase

Fatti avea duo nel loco ov' eravamo

E'l terzo già chinava in giuso l' ale,

è intesa che sull'orizzonte dove stava il Poeta il terzo passo, o la costellazione del Sagittario, stava passando il punto culminante od il meridiano, e gia calando per le case discendenti all' occidente del medesimo, e quindi Fatti ne avea due, significa che le altre due costellazioni avevano fatto questo passaggio. Se conformemente a questa interpretazione si volge in alto il meridiano del Purgatorio nell' orologio di Dante del P. Ponta, e si pone attraverso questo meridiano la costellazione del Sagittario, si vede che la costellazione dei Pesci è quella che sta spuntando sull'orizzonte dello stesso luogo.

Il P. Ponta osserva anche che, nel mio modo di esporre, il Poeta avrebbe cominciato il suo sogno subito addormentato, il che gli par troppo presto : ma è altresì vero che se si fosse addormentato alle ore due e mezzo di notte, cioè circa alle 9, il Poeta avrebbe dormito per più di undici ore, poichè quando si svegliò

E'l sole era alto più che due ore, cioè erano passate le otto della mattina, il che par troppo lungo.

La spiegazione per mezzo di due orizzonti citata dal Pederzani alla fine della sua Lezione, e resa più facile alla comune intelligenza dall' Orologio di Dante del P. Ponta, mi era sconosciuta. Ora che VS. mi ha porto l'occasione di conoscerla, mi compiaccio di dirle che (togliendo la frase soavemente dormi fin presso all' alba del luogo ove egli era; la quale non è vera pel verso di su citato), la trovo pure soddisfacente ed in armonia cogli altri passi del Poema; onde rendo il dovuto omaggio a quelli che l'immaginarono.

Godo di dirmi con sincera stima ed amicizia

Pisa, li 2 Novembre 1846,

tutto suo

C. O. F. Mossotti.

LETTERA SECONDA.

Pregiatissimo Signore,

Lo ringrazio della copia manoscritta, procuratami, delle osservazioni del Bottagisio sopra la fisica.

di Dante, ed ora mi resta a pregarlo che mi dica. quanto è stata la spesa onde possa soddisfarla.

Ho percorso la prolissa dissertazione del P. Ponta, che ella ha avuto la bontà di comunicarmi, e gliene faccio la restituzione. Io ho interpretato semplicemente il passo citato di Dante, dicendo che la notte era già passata al meridiano con due delle costellazioni colle quali sale sull' orizzonte, e che la terza stava facendo il suo passaggio. Dalle case celesti che occupano successivamente le costellazioni medesime sono indicati i passi che va facendo la notte; il qual mezzo fu impiegato dai primi astronomi, e non è guari che varj de' nostri contadini, privi d'orologio nelle campagne, sapevano arguire dalle situazioni delle costellazioni, il cammino che aveva percorso la notte, e l'ora che faceva. Il P. Ponta, pretendendo che debba parlare di passi simili a quelli che fa un animale, mi fa dire molte melensaggini. È però singolare che egli che è tanto ritroso nel non voler ammettere che i passi possano essere rappresentati dalla successiva occupazione che le costellazioni fanno delle case celesti, sia poi tutto ligio a dare ai passi il senso metaforico di ore, come fa coll' interpretazione del Perazzini. A proposito di questa interpretazione le soggiungerò che a prima vista essa mi era sembrata plausibile, ma che essendomi caduta sott' occhio l'obbiezione che le fa il Costa, la trovai molto giusta, e cambiai d'opinione. Dante tutte le volte che fece l'antitesi delle apparenze dei due emisferi parlò sempre di emisferi opposti:

Si ch' amendue hanno un solo orizon.

Purg. IV, v. 70;

ed il supporre che abbia sostituito l'orizzonte d' Italia a quello di Gerusalemme, senza avvertirne, è un attribuirgli un' incongruenza, col solo oggetto di piegare il senso delle parole alla preconcepita spiegazione.

Faccio a Lei queste osservazioni private, per non usare l'inciviltà di restituirgli il manoscritto senza dire una parola al proposito: ma nonostante tutta la stima che porto al rispettabile P. Ponta mi guarderei bene d'entrare in discussioni letterarie di questo genere, sempre solite a cadere in frivolezze ed in puntigli.

Godo di dirmi con tutta considerazione

Pisa, li 9 Luglio 1847

suo oss. servo ed amico

C. O. F. Mossorti.

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Le più delle civili nazioni soglionsi a titolo di gloria specificare dal nome di quel poeta onde meglio si privilegia ciascuna, quasi in esso si rifletta tutto intero l'ideale che la rappresenta. Così, uomo certo o ente simbolico che si voglia, Omero è per noi l'antica Grecia, Virgilio la città dei Cesari; dal suo Shakespeare prende nome la libera Inghilterra; come in meno alta sfera dal cantore dei Lusiadi il Portogallo; se tu nomini la cattolica Spagna si fa innanzi l'eroico monco di Lepanto col Don Chisciotte a rappresentarla; se la pensosa Germania eccoti Goëthe col suo Fausto misterioso. Solo la Francia parrebbe in questo scompagnarsi dalle grandi sorelle; tanto sarebbe difficile, fra i moltissimi che pur vanta, trovare il poeta che rappresenti per eccellenza il genio che la informa. Di che questa, pare a me, dover essere la ragione: mentre le altre nazioni hanno tutte un abito, una tendenza specialissima che fortemente si rileva, la Francia, per contrario, nazione assimilatrice per natura, non ha suo proprio ideale, attitudini sue proprie, ma tutte rende le altrui ad un tempo, quasi specchio universale. Pertanto, se le vogliamo pur dare un ideale bisognerà cercarlo in questa sua maravigliosa potenza di attirare a sè quanti raggi le movono dall' intorno per riverberarli in fascio e più luminosi a quei medesimi on de gli ebbe; ma sì fatto ideale è troppo vario e cangiante perchè da una mente sola si possa rendere. Che se facendo un' eccezione alla regola comune (dappoichè il meglio della Francia, nazione positiva, non è certo nella poesia), si volesse domandare all'arte o alla scienza il fortunato mortale che la rappresenti, dove trovare mente si proteiforme che possa rendere della Francia tutti gli aspetti? Non sono in effetto la Francia nè il rigido e inflessibile Pascal, nè il facile e schietto Montaigne, o il cinico Rabelais; non è il dogmatico e teocratico Bossuet, come non sono il paradossale Rousseau nè il beffardo Voltaire; liberale e servile, pinzochera e miscredente è niente di tutto questo in modo esclusivo; ma un po' di tutto questo a volta a volta come vi dispone la

I onnipotenza della moda. For sechè nel campo dell'arte troveremmo chi per questo lato almeno la rappresenti? Ma chi ci saprebbe additare il Raffaello o il Michelangelo della Francia? Nel campo delle scienze esatte, delle grandi invenzioni e scoperte che danno al mondo nuovo indirizzo, saremmo noi per avventura più fortunati? Ma dove son i Colombo, i Galilei, i Newton, i Volta che la Francia può vantare? Ma di questo lasceremo disputare ai filosofi, e indagare come avvenga che quella nazione, la quale può dirsi la meno inventiva di tutte, tutte le avanzi incontrastabilmente come nella prontezza del ridurre ad atto le idee, così nella efficacia irresistibile dell' esempio onde a tutte comanda; a noi basti l'avere avvertito il fatto singolare affinchè si voglia in questo, non foss' altro, concedere una qualche soprastanza a Italia nostra dove avviene appunto il contrario.

E veramente se v'è o fu mai nazione al mondo che si dovesse dire rappresentata nella sua pienezza da un poeta, di guisa che in questo poeta s' innalzi essa a quel più perfetto ideale di che è capace, questa è senz' altro l'Italia di Dante.

In Dante difatto tu hai l'Italia tutta quanta; arte e scienza, memorie e speranze, colpe e sventure; col suo genio, colle sue tradizioni, colla sua storia; quasi diresti non essere il grande poema dell' Alighieri che il comune tesoro ove Italia ha posto in serbo quanto ella aveva di più caro, di più prezioso; e ad un tempo l'archivio universale in che raccolse i documenti più solenni della pubblica e privata sua vita. Giammai a nessun poeta fu dato, come a Dante, di ritrarre la nazione donde usciva, come in ciò ch' ella presenta di più appariscente, così ancora in quanto di più intimo, di più riposto agita nel suo seno..Niente di più nazionale di Shakespeare chi può negarlo? Passioni, giudizii, opinioni, tutto è inglese nell' autore dell' Amleto, fin le ubbie e superstizioni volgari, e l' umor strano e le bizzarrie senza nome di quei superbi isolani; ma pure anch'esso dell' Inghilterra ti dà l'uomo e il cittadino, anzichè il venturiero cosmopolita, il mercadante soldato, e della varia e sanguinosa storia della patria dei Cromwell e degli Stuart poche e sparse pagine, anzi brani staccati. Nell' autore dei Lusiadi per contrario, non ravvisi del Portogallo che gli allegri navigatori, intrepidi alle paure dei nuovi mari, alle insidie delle incognite genti, e le incredibili conquiste aperte a gara ai banchi del commercio, alla croce del Vangelo.

Più largo campo sicuramente prende il cantore di Enea, ma infine non ti dà che il banditore dei Cesari; tradizioni popolari, miti, portenti, fasti della repubblica, favolose leggende, figlie dell' or

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