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perchè, o del sesto caso in cui. Inoltre nello stesso terzo verso il dire, che la dritta via era smarrita, suona, che la selva era così fatta é complicata di piante e di dumi che non vedevasi via dritta, ma alcuni tortuosi viali che non conducevano puntó ad alcuna meta nel cammino. Il che nel senso allegorico dinota bene la confusione di que' governi o repubbliche, in cui non vi era nessun ordine e nessun buon consiglio, ma che tutto correva alla malora senza vedersi il modo d' uscire di quel disordine e di quella confusione e di potere sperare qualche cosa di buon successo. - Nella seconda terzina con quanta semplicità ed eleganza non è ritratta la confusione ed il timore del suo animo nel vedersi entrato nella selva oscura? Ahi quanto a dir qual' era è cosa dura Questa selva selvaggia ed aspra e forte Che nel pensier rinnova la paura. La frase esser cosa dura al narrare come non dinota la gravezza di quello smarrimento? e gli epiteti della selva selvaggia aspra e forte come bene esprimono la orribil condizione di quella sua patria immersa nelle fazioni? E quel rinnovamento della paura al solo pensarlo, come non conferma lo stato meno non orribile che misero di quella sua prediletta Firenze, che egli desiderava grande e felice e ch' era caduta in un abisso d'infortuni da far paura al solo pensiero ad un animo savio e ben fatto?

In siffatta guisa dovrebbe farsi un commento filologico della Divina Commedia, cosa da me parecchi anni fa intentata e condotta fino al termine del quinto canto; ma per uno strano caso andò smarrito il manoscritto. Prego quindi i benevoli e dotti italiani nello studio della lingua a rivolgere l'animo a questo commento; di che nè pure io depongo affatto il pensiero, se avrò tempo e pazienza di porlo ad effetto.

Catania, 15 Maggio 1864.

V. LA ROSA.

DI UN CODICE MANOSCRITTO DELLA DIVINA COMMEDIA

ESISTENTE NELLA BIBLIOTECA FILIPPINA DI PALERMO

È un codice membranaceo in foglio grande, ben conservato, scritto in caratteri tondi, mezzo gotici, senza numerazione nè segno alcuno ortografico. Consta di 104 fogli a due colonne che contano 36 versi. Porta il titolo di Commedia Sagra. Non vi sono commenti; ma in qualche luogo vi si legge qualche parola scritta in picciolissimi caratteri negli interstizi dei versi e relativa al senso. Ne portiamo un esempio. Nel Canto IV dell' Inferno al verso 106 Dante dice:

Venimmo appiè d' un nobile castello,

Sette volte cerchiato d'alte mura,
Difeso intorno d'un bel fiumicello.

Le parole sapienza scienza mostrano che chi ve le apponeva era inteso dei commenti della Divina Commedia. Però le parole alle quali si allude, sono posteriori all'epoca in cui fu scritto il codice. È notevole ciò che vi si legge alla fine dell' ultimo canto del Paradiso. Senza che veramente alcuna parte dell' ultimo tratto di quel canto lo richieda, vi si trova scritto natus fuit Dantes vacante imperio ob mortem Friderici Imperatoris secundi MCCLXV sedente Urbano Papa IV. Fu quasi un concorrere che volle farsi alla celebrazione del centenario del sommo Poeta. Questa nota però è anche posteriore alla scrittura della Cantica.

Varianti propriamente dette non pare ve ne sieno, ma da alcune osservazioni ortografiche, parrebbe che il codice sia stato copiato in Sicilia in modo da poterne rendere più facile la lettura a' Siciliani. Per esempio scura invece di oscura; smarita invece di smarrita; esta invece di questa; si volgie invece di si volge'; cu si l'animo mio c'ancor fugiva, per così l'animo mio che ancor fuggiva; facie tacie pacie per face tace pace. Questi e simili esempj han servito di argomento per mostrare che il codice avrà potuto essere copiato in Sicilia, e gli danno anche questo' interesse locale.

Non bisogna tacere che questo pregevole codice non isfuggì allo sguardo rapace di un inquisitore del Sant' Ufficio, il quale a suo modo vi scrisse di averlo espurgató: Ma noi possiamo diré di averlo insozzato, dappoichè in cima alla prima pagina di quel prezioso codice si legge: Expurgatum inst. ind. expurgatum hispanum panormi 1629. Fr. Decius Carrega Ord. Predic. Questo espurgo, del quale il Frate ci lasciò così solenue memoria, si ridusse allo intridere d'inchiostro alcune pagine di quel bellissimo volume, onde cancellarvi varj luoghi della Divina Commedia. Nè sia discaro al lettore che vengano notati quei versi, i quali ebbero la mala sorte, perchè venga conservata la memoria di cotanto scempio. Le prime cancellature si osservano nel Canto XIX dell'Inferno, là dove dice:

Di voi pastor s'accorse il Vangelista

Quando colei, che siede sovra l'acque, Puttaneggiar coi regi a lui fu vista; Quella che con le sette teste nacque, E dalle diece corna ebbe argomento Fin che virtute al suo marito piacque. Fatto v'avete Dio d'oro e di argento :

E che altro è da voi all'idolatre Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento? Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, Non la tua conversion, ma quella dote Che da te prese il primo ricco patre!

Nel Purgatorio si trovano intrisi questi versi del Canto XX:

Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi

Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
Per far conoscer meglio e sé e i suoi.
Senz'arme n'esce, e solo con la lancia

Con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
Si, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.

Nel Canto IX del Paradiso si trovano cancellati questi versi:

A questo intende il Papa e i Cardinali :

Non vanno i lor pensieri a Nazzarette,
Là dove Gabriello aperse l'ali.

Ma Vaticano e l'altre parti elette

Di Roma, che son state cimitero

Alla milizia che Pietro seguette,
Tosto libere fien dall'adultero.

Queste sono le osservazioni che ho potuto fare in questo codice manoscritto di Dante Allighieri, che fu sempre tenuto in pregio in questa Biblioteca Filippina, dove si è sempre conservato gelosamente. Lo troviamo segnato in un catalogo di libri stampato nel 1744, e quel che è più importante, in alcune note manoscritte fatte da qualche antico bibliotecario troviamo quanto segue:

<< Dante ms. in fol. absque ulla inscriptione optia mis characteribus exaratus pulcherrimas habet << pictas initiales auro. Vetustissimum a se facili << apparet ex orthografia sine ulla interpetratione et fortasse typis antiquior L annis: ut sub fine << saeculi XIV collocari posset. Habet rect. in fine « omnium quintern: constat ex CIV foliis, duabus << columnis; integra columna habet versus XXXVI. << Esset optimae conservationis nisi foedatus ab impiissima manu et stultissima fratris Decii Carrega, << qui nomen infame in multis libris ab ipso con«spurcatis reliquit, et inquisitionis cuius erat Sa<< telles memoriam. In principio omnium canticarum «ita scribitur, v. g. Capitulum I Inferni etc. ».

Agostino Gallo nell' Effemeride letterarie di Sicilia (1832) ne diede una illustrazione in un apposito articolo. Egli vi legge delle varianti tra le quali ricordiamo quella al Canto XX dell' Inferno:

Ma per trattar del ben ch'i' vi trovai
Dirò dell'altre cose che vi ho scorte.

Il Gallo invece di altre legge alle: Dirò dell'alte cose che vi ho scorte.

Il Visconte Colombo de Batines parla di questo codice nella sua pregevole opera Bibliografia Dantesca.

Non voglio infine passare sotto silenzio che il sommo Carlo Witt, celebre per gli studii da lui

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

fatti sulla Divina Commedia, e per la biblioteca esclusivamente Dantesca che possiede, nel 1852 studiò questo bel codice manoscritto, e ne restò molto contento. Ignorasi che cosa ne abbia detto nelle sue pubblicazioni che qui non sono arrivate.

Aggiungasi che nel 1842 il volume del quale parliamo fu anche osservato dallo illustre Cardinale Angelo Mai, il quale lo stimò pregevolissimo, perchè anteriore alla invenzione della stampa, e scritto o sul fine del secolo XIV, o sull' incominciare del secolo XV; il quale giudizio viene a confermare quanto ne lasciò scritto l'autore anonimo delle note deila Biblioteca Filippina, che di sopra ricordammo.

NOTIZIE

Offerte a Dante. Il giorno 14 Agosto, facendosi la distribuzione degli attestati scolastici agli Alunni del Liceo ginnasiale di Ancona, il Direttore di quell' Istituto, cav. Ab. Eugenio Rumori, prese opportunità di parlare del monumento a Dante, e di eccitare quei giovani, e tutti gli altri intervenuti, a concorrervi con qualche offerta. Furono raccolte L. 34, 50, che furono passate in mano della Commissione Fiorentina. Quel Direttore intese con questo di aggiungere il Liceo Anconitano al nome di tutti gli altri che prendono parte agli onori di Dante, e di far plausi alla bella proposta del cav. Ab. Bernardi.

nuovo

C. Vogel di Vogelstein, l'illustre autore del celebre quadro rappresentante l'allegoria della Divina Commedia, ha offerto in dono al Municipio fiorentino, per omaggio al divino Poeta, un suo quadro rappresentante il trionfo di Beatrice (Purg., Cant. XXX), a desiderando, com'egli dice, di manifestare anch' io la mia viva gratitudine per tanti conforti d'anima e di cuore procuratimi dal sacro Poema ». Il Municipio accettando non potrà non tenersi grandemente onorato di questo nuovo omaggio che si fa al nostro primo cittadino.

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IL MONUMENTO DI DANTE

SCOLPITO DA ENRICO PAZZI.

Otto anni fa, quando niuno pensava a far monumenti a Dante, lo scultore Enrico Pazzi modellò il poeta nell'atto d'imprecare alle discordie italiane: e come il modello ebbe lodi concordi dai giornali e dal pubblico, alcuni cittadini toscani si costituirono a società per raccoglier denaro e dar modo all'artista di condurre a compimento quell'opera. Tutto ciò facevasi allora come in segreto e in onta al governo austriaco dominante fra noi. Ma mutate poscia le nostre sorti, la Società cercò aiuti anche fuori di Toscana, e con suo manifesto dei primi di Gennaio del 1862 invitò tutti gl' Italiani a concorrere all' esecuzione del monumento già disegnato, e destinato a inaugurarsi

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d' Europa: Sig. Ermanno Loscher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

nel centenario del 1865. Gl' Italiani risposero all'appello, molti cittadini e molti Municipi di ogni provincia mandarono offerte e, per quanto sappiamo, oramai la questione del denaro è risoluta, ed il monumento lodato da parecchi artisti e accolto dal Municipio fiorentino si scolpisce con alacrità dal Pazzi, non curante dei botoli che gli latrano attorno, sarà solennemente inaugurato sulla piazza di Santa Croce nelle feste dantesche del Maggio venturo.

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Ciò che in brevi parole dicemmo sopra è la semplice è pura storia dei fatti, come risulta dai documenti già pubblicati in molti giornali. Ora vuolsi aggiungere, come storia delle brutte passioni degli uomini, che questo monumento, il primo inalzato dagli Italiani al profeta dell' unità nazionale, è un fatto che toglie i sonni a quelli che in altri tempi facevano monumenti a' principi austriaci, e che nella penosa insonnia si arrabattano per osteggiare l'opera consentita dalla patria libera ed una è un fatto che ha destato anche le furie selvagge del signor Oreste Raggi, il quale mosso da odio personale contro uno dei componenti la Giunta pel monumento in due libelli pubblicati a Milano, grattando dove ha la rogna, ha versato ingiurie da trivio contro la Giunta stessa, il Municipio fiorentino e l'autore della statua: ingiu

rie contro cui negli ultimi giorni protestarono la Gazzetta di Firenze, la Nazione, il Progresso, la Gazzelta del Popolo, e gli onorevoli nostri concittadini Emilio Frullani e Adriano Mari, che il signor Raggi, mentendo, invocava come testimoni per acquistar fede alle sue invenzioni. E noi pure protestiamo contro tali brutture, senza arrestarci a confutare le asserzioni malevoli cui rispondono i fatti accennati in principio; senza spender parole a difendere l'onore degli accusati da scempiate calunnie che non possono offenderli * ; e senza perder tempo a discutere se si debba rappresentar Dante qual fu, cioè rampognante sempre le discordie degl' Italiani che li fecero schiavi, o se debba farsene uno nuovo, ad uso dell'anno 1864, come il signor Raggi vorrebbe; se il monumento stia meglio a Santa Croce o altrove; e se sia lecito parlare di un concorso di artisti quando la Società non ebbe altro intento che di eseguire il modello del Pazzi, e a questo esplicitamente invitò i cittadini e i Municipi d'Italia. E mentre protestiamo contro le ingiurie suddette, ripetiamo che qualunque sia il dispiacere che possa venirne al signor Raggi, e a tutti i cupidi di disturbare gli onori nazionali di Dante, il monumento sarà compiuto e inaugurato, e il pubblico italiano venendo numeroso in Firenze a festeggiare il sesto centenario, giudicherà da par suo, inappellabilmente, l'artista e l'opera sua, e i calunniatori che cercavano la trista fama che viene dal seminare scandali e dal far guerra di vituperi. E ciò sia detto per questa volta e per sempre. G. CORSINI Direttore.

* I componenti la Giunta sono i seguenti:

ALEARDI prof. Aleardo.

BARELLAI dott. Giuseppe.

BOLOGNA avv. Carlo, Provveditore.

FENZI deputato Carlo, Cassiere.

FRANCESCHI Eugenio.

ORLANDINI F. Silvio, direttore del Liceo Fiorentino.

PAGANUCCI Prof. Luigi, Presidente.

PANCIATICHI Ferdinando, Presidente della Socielà Promo

trice di Belle Arti.

POGGI archit. Giuseppe.

SGAPPUCCI avv Carlo, Segretario.

TARGIONI TOZZETTI, piof. Adolfo, Segretario.

VANNUCCI prof. Atto, Vicepresidente.

PARTE OFFICIALE

ATTI DELLA COMMISSIONE INCARICATA PER LE RICErche INTORNO LA CASA DI DANTE.

Il Consiglio Generale di Firenze, nell' Adunanza del dì 12 stante, ha deliberato di dar pubblicità alla seguente comunicazione:

Illustrissimi signori componenti il Consiglio Municipale di Firenze.

A compimento dell'onorevole incarico affidatoci dalle SS. LL. III.me intorno alle ricerche

della vera Casa di Dante Allighieri in questa città, siamo in grado di annunziare la buona riuscita delle medesime.

Per raggiungere il nostro scopo abbiamo dovuto, nè si poteva altrimenti, ricercare colla più scrupolosa attenzione tutti quei documenti che potevano porger luce nello scuro cammino. Infatti per mezzo di questi possiamo oggi confermare autenticata la tradizione che fa della Casetta, distinta da breve memoria in marmo in Piazza di S. Martino, la vera Casa di Dante, e siamo pervenuti ordinatamente a conoscere come questa Casa, ora di proprietà del Nobile sig. Luigi Mannelli Galilei, descritta insino dai tempi del Bruni e del Renuccini per quella degli Allighieri in faccia alla Via che mena diritta a'Sacchetti, passasse dagli Allighieri a Dante, e da lui a' figli, e da questi alla Pia Società d'Or S. Michele, quindi agli Arrighi e da loro a' frati di S. Miniato al Monte e poscia con vari altri passaggi a' Galilei, autori del prenominato sig. cav. Luigi Mannelli.

A questo semplice ma formale avviso terrà dietro una estesa Memoria, la quale si sta compilando con l'autorità di tutti i suoi Documenti; Memoria alla quale, ci lusinghiamo, vorrà compiacersi di dare il Municipio pubblicità per mezzo della stampa.

Ci diamo frattanto l'onore di soscriverci con tutto il rispetto.

Della SS. LL. Illustrissime

Firenze, 9 Settembre 1864

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Governo fondò una cattedra dantesca nell' Istituto Superiore; na quella non saprebbe essere per il popolano, al quale va preparato quel forte alimento in modo idoneo alla sua educazione intellettuale. Non sappiamo neppur dubitare del nostro Municipio in cosa di tanto rilievo, e molto più che non mancano neppure i volenterosi e gli onesti che sono pronti a dividere col popolo il pane del sapere.

Ora perchè, se il Municipio Fiorentino comincia, almeno i più importanti della penisola non seguiranno l'esempio? È egli giusto che il popolo italiano arrivi al Maggio del 1865 senza neppure un ind zio sulla vita e sulle opere di colui, a festeggiare il quale sarà chiamato? Crediamo che ciò non è solamente ingiusto, ma è anche indecoroso per la nazione. Possano quindi le deboli nostre parole spingere i Municipi a sollecitare questa nuova istituzione, che non cederebbe in merito ed in buon effetto a molte altre meno umili ed assai più pompose.

Memorie di Dante in Firenze

SUL PIÙ AUTENTICO RITRATTO DI DANTE *

Lettera al Cav. Avv. EMILIO FRULLANI

Senza rintracciare come vada che in molti umani propositi restiamo più maravigliati che edificati, con un tal qual rammarico, qui devo far nuova lettera e scrivere del solito argomento, cioè sul ritratto di Dante per l' unica ragione che ancora non mi sembra essersi fatta vera luce intorno questo soggetto, che quanto più viene studiato, più si travolge ed appare imbrogliato. Rispondendo alle non. esatte notizie su questo ritratto date dai signori Milanesi e Passerini in quel loro rapporto al signor Ministro dell'Istruzione pubblica del Regno, non mi sarei aspettato che dopo un non breve spazio di tempo fosse poi venuto fuori, invece che que'signori, un nuovo scrittore, che conciliando piuttosto la questione ne'due estremi, mandasse per dirlo con una frase ora familiarissima, un saluto a casa ed un bacio a' bimbi. Nell' ultimo numero del giornale il Centenario di Dante, consta che il signor avvocato Girolamo Checcacci, premuroso del proprio decoro quanto alcun altro nobilissimo concittadino nostro, conviene nella massima, pure a sua detta universale, di rispettare il ritratto di Giotto per Dante nella cappella del

Dobbiamo dichiarare, a richiesta del sig. avv. G. Checcacci autore dell'articolo sul ritratto di Dante che venne pubblicato a pag. 176 di questo Giornale, che quello scritto era destinato al giornaletto popolare La festa di Dante, e come fosse un articolo del giornale stesso; perciò nel tuono generale indicava che era fatto proprio da una Redazione e non da un individuo. Essendo stato invece collocato in questo giornale per far seguito ad altri articoli sullo stesso soggetto, e senza verun cambiamento di forma, perchè alla Direzione parve egualmente buono, il sig. Checcacci ha domandato questo schiarimento. G. C.

Bargello di Firenze. Mentre però, come lo giustifica, lo esalta bello e verissimo, scende poi ad apprezzare con culto pari e con ugual fervore l'altro ritratto che si riscontra nel codice Riccardiano segnato 1040, già da me combattuto, non perché gli mancasse in origine il concetto di rappresentare un Dante, ma sibbene a causa del poco merito d'arte, della poca fedeltà d' imagine, e della mancanza di una data non potuta pur dimostrare da quegli stessi signori Milanesi e Passerini a' quali correva il maggior impegno di ciò, premurosi della sua riabilitazione. Ma poiché non sono troppo soddisfatto e convinto, non riporrò cosi presto le armi, per desiderio che si torni una volta al principio vero ed almanco risulti chiaro che in impegno si grande non tutti ci travolse un errore medesimo.

Sino a pochi anni addietro nella patria di Dante vigeva a oltranza fra gli eruditi la questione del come si aveva a scrivere il cognome del Poeta. Vuolsi ora, che se n'ha maggior bisogno, disconoscere il ritratto vero del medesimo? Come non potrei ammettere il dubbio, inclino piuttosto a credere che si vuole anzi sostenerlo a ogni costo colle maggiori prove, quindi non mi astengo di soccorrerne l'argomento col sostegno della sua storia.

Interessati nella questione testé suscitata dal giornale il Centenario di Dinte sul vero ritratto del Poeta, tu nel ricevere la mia lettera, io nello spedirtela, non si poteva a vicenda trascurare di rimaner guardinghi o in giorno su tutto quanto nelle altre pubblicazioni o effemeridi sarebbe uscito in proposito e in particolare sull'avanzata controversia. Vidi dopo la mia lettera nel Centenario detto, quell' articolo del signor Cavalcaselle e mi piacque, giudicando l'accorto scrittore molto destramente in favore del pittor Giotto pel dipinto del Bargello: non però cosi mi andò a genio, e tanto più ora, poichè se ne raccolse il suo effetto, quando in seguito dello scritto si fece egli a dare il consiglio di mettere cioè ad esame, se per resultanza d'impronte detto ritratto nel codice Riccardiano potesse credersi un secondo ritratto di Dante fatto da Giotto. Ciò fu detto, forse, ambiguamente con istudiata ironia. Perché tutto accomoda, vediamo che ne fu levato un costrutto, per come uscire della questione pel rotto della cuffia e venire a una tal qual transazione tra il vecchio e il nuovo. Le parole dell' accorto erudito scrittore d'arte signor Cavalcaselle furono troppo bene accettate dalla parte contraria, di modo che se ne è lusingata di farsene arme, trovando tuttavia chi per suo interesse si esponesse ad un esperimento in campo.

Il prelodato signor Checcacci, che sembra disposto a levar d'impaccio i signori Milanesi e Passerini e conciliare la questione da me fatta, abilmente da quell' avvocato ch'egli è, si gioverebbe all' uopo del consiglio espresso dal Cavalcaselle; ma non conduce poi tanto bene la prova, dividendola tra sé e un egregio artista per due modi non sostenuti a evidenza. Egli dice in sostanza, che i due ritratti in questione nel Bargello e nella Riccardiana sono identici e d'una mano per la convinzione del raffronto, e perché il giudizio del signor professor Dupré risolve l'uno e l'altro per giottesco. Ma in questo, identici da provarsi, risponderò. I due ritratti si guardano l'un l'altro per profilo, e questo è vero; ma

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