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L'erigergli un monumento non è solo rendergli | Provinciale di Ancona ha adottato per acclamazione

onore, ma bensì è debito che da molti anni avremmo dovuto pagare a colui, il quale fu indegnamente oltraggiato dal popolo fiorentino, che troppo credulo alle parole di un iniquo partito lo bandì dalla patria che egli amava sviceratamente; a colui che per renderla una non avrebbe esitato a deporre ai piedi dell' iniquo che la voleva schiava, il proprio sangue. Ogni uomo che racchiude in seno un cuore ha d' uopo fremere al pensare che l'ultimo alito di sì grand' uomo fu esalato lungi dalla propria patria.

Oggi dunque ogni buon cittadino concorre a dare il proprio obolo affinchè gli si eriga un Monumento, e così far conoscere al mondo, che se stolti furono i padri nostri, tali non lo sono i loro successori. Voglio sperare che anche la filodrammatica Società dei Ravvivati vorrà anch'essa concorrere, dando una beneficiata in onore

Dell' altissimo Poeta, Dante Allighieri. Firenze, 3 Ottobre 4864

Dev. Obbl. Servo
DAVID CIONI.

Offerta per concorrere alle Feste del centenario di Dante del 1865. Da qualche tempo lo zelo degli amatori di Dante si è rivolto verso un punto importantissimo; il concorso alle spese per la solennità del 1865. Non sappiamo abbastanza lodare questa nuova gara di devozione al Poeta, e riportiamo con somma sodisfazione la notizia che il Consiglio

DELLA FESTA NAZIONALE

PER

IL SESTO CENTENARIO

DELLA NASCITA

DI DANTE ALLIGHIERI

aggiuntivi

I CENNI CRONOLOGICI

DELLA VITA, DELLE OPERE E DEL SECOLO DI DANTE
PER BONAVENTURA BELLOMO.

Firenze, Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., 1864

Dall'Uffizio di questo Giornale si fanno le spedizioni di detto libro per tutto il Regno, mediante vaglia postale di Lire Una in lettera affrancata.

LA DIVINA COMMEDIA

QUADRO SINOTTICO ANALITICO

DI LUIGI MANCINI

Un Volume al prezzo di Ln. 2. 50. Vendesi a benefizio del Monumento a Dante. Deposito in Firenze alla Libreria Paggi.

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

la proposta del cav. Francesco Matteucci di offrire al Municipio di Firenze la somma di Ln. 1000 per concorso alla festa nazionale del sesto centenario di Dante.

EPIGRAFI DANTESCHE

Di

Pietro Galli Toscano

A

DANTE ALLIGHIERI
POETA SOVRANO
TEOLOGO PROFONDO
FILOSOFO GRAVISSIMO

GRAN LETTERATO IN OGNI SCIENZA

DI QUANTO PUÒ L'UMANO INGEGNO
VERO ESEMPIO

RARO E NOBILE CITTADINO

GLORIA D'ITALIA
AMMIRAZIONE DEL MONDO

PIETRO GALLI

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Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa.

Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Università di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8.o con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti.. it. L. 45, 00 - Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8.° massimo di carta imperiale con margini allargati (ediz. di 75 esempl.).

» 75,00

Ediz. citata nella ristampa (che è in corso) del Vocabolario della Crusca. Si spedirà franca per posta nel Regno a chi ne rimetterà agli Editori in Pisa l'importo con Vaglis Postale.

Si pregano i signori Associati al GIORNALE DEL CENTENARIO a sodisfare il pagamento dell'Associazione.

Gli articoli letterari di questo Giornale non si potranno riprodurre senza licenza della Direzione.

G. CORSINI Direttore-Gerente.

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се

Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d' Europa: Sig. Ermanno Loëscher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

gittato fuori del seno della dolce sua patria, peregrino, quasi mendicando, andava mostrando, contro a sua voglia, la piaga della fortuna che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata? (Conv. I, 3). Ma come non ci crescerebbe il diletto, se ne fosse dato di aver sott'occhio, da maestra mano tratteggiati, que' luoghi stessi che gli furono di rifugio e di ostello, che per poco ci sembrerebbe andar par di lui, di vederlo per duro calle scendere e salire le altrui scale, ma sempre alla fortuna presto, e ben tetragono ai colpi della sventura.

E questo desiderio, solo che si voglia, potrebbe venir pieno. L'illustre autore del celebre dipinto, la Divina Commedia, il cav. prof. Carlo Vogel di Vogelstein, nel 1842 imprendeva a bella posta un viaggio in Italia per ritrarvi col pennello, dal vero, que' luoghi stessi che l'Ampère avea descritto con la penna. I disegni sono da 80. Il nome del Vogelstein ci è arra più che sicura a persuaderci della bellezza e dell' importanza di quei disegni. Onde mi sembra che bene meriterebbe dell' Italia e del massimo poeta, chi, nell'occasione del prossimo Centenario, si facesse promovitore della pubblicazione di quei nobili lavori. Certo, a mio avviso, non vi sarebbe strenna Che fosse di piacer a questa uguale.

Oltre questi disegni il Vogelstein condusse 56 disegni illustrativi dell' Inferno, 10 del Purgatorio, 11 del Paradiso: in quelli dell' Inferno gli piacque pure con bellissimo pensiero di rappresentarvi molte similitudini del poeta, le più caratteristiche e parlanti.

Il sommo cantore dei tre regni fu sempre la suprema sua delizia e il suo grande amore. « Dante, così mi scriveva, mi sta sempre nel cuore, e tutta mi signoreggia la mente: io soggiaccio all'attraimento di questa costellazione sì potente, che nella sua celeste rotazione attira a sè checchè le si avvicina. Dante è il poeta non solo dell' Italia, ma del genere umano intero. Chi studia nella Divina Commedia, e non fa progressi nella rettitudine della mente, non l'ha mai studiata davvero ». E l'egregio artista, a cui va unita l'eccellenza dell' ingegno con la più squisita delicatezza del sentimento, non ha molto offeriva al Municipio di Firenze un suo quadro, rappresentante il Trionfo di Beatrice, nell' intento di manifestare la sua gratitudine per tanti conforti di anima e di cuore procacciatigli dal sacro poema.

Queste nobili espressioni non han bisogno di commento. Io poi le sarò grandemente obbligato se si compiacerà pubblicare questa mia lettera nel Centenario. In quanto a me, mi terrò ben avventurato se potesse venire intero il mio desiderio.

Prof. FERRAZZI.

Secolo di Dante

DELLA FESTA NAZIONALE

PER IL SESTO CENTENARIO DELLA NASCITA

DI

DANTE ALLIGHIER!

CENNI CRONOLOGICI

(Continuazione, V. N.o 22, pag. 171).

1304. (26 di Aprile) Per le preghiere di Benedetto XI, che mandò per ambasciatore in Firenze il cardinale Ostiense Niccolò da Prato, si fa pace tra' Bianchi e i Neri; la qual pace appena durò fino a' 9 di Giugno.

(Giugno). Trovasi una guarentigia rogata nel coro dell'abbazia di S. Gaudenzio, in cui è menzionato Dante.

(22 di Luglio). Impresa de' Ghibellini e de'Bianchi contro Firenze. I fuorusciti tra'quali Vieri de' Cerchi, gli Ubertini, ed altri in gran numero si radunano alla Lastra, entrano per la

Porta S. Gallo, ed arrivati sulla piazza di S. Marco con bandiere bianche e con rami di ulivo gridano: Pace! Ma sono respinti dal popolo e fuggono. Si crede da parecchi che fosse anche Dante tra' ghibellini che fecero questa impresa; ma non pare che ciò sia, stantechè egli la disapprovava e chiamava imprudente. 1304 ( 22 di Luglio). Muore papa Benedetto XI con veleno messogli in fichi freschi recatigli da un giovane travestito in serva di monache. Da alcuni si attribuì il delitto a' Cardinali nemici di lui, da altri al re di Francia. Dante è a Bologna con Pietro suo figliuolo. Secondo l'opinione di alcuni scrive il primo trattato del Convivio, e comincia il libro De Vulgari Eloquio. Il tempo in cui fu composto il Convivio va soggetto tuttora a grandissimi dubbj. Da certi si crede che il II e IV trattato siano stati scritti nel 1297, il I e il III nel 4344. Ma il IV trattato dicesi dover essere stato scritto nel 1307, o poco dopo, essendo morto il dì 26 di Marzo di tal anno Gherardo da Camino, il quale nell'anzidetto trattato si trova indicato come mancato a' vivi da poco. (II Convivio, già scorrettissimo, fu ridotto a miglior lezione per opera del Monti, del Trivulzio, e di altri. Una nuova edizione fu fatta da P. Fraticelli in Firenze nel 1836). Pier Crescenzi, bolognese, per lo spazio di 30 anni ramingo per l'Italia, pubblica la sua opera latina sull' agricoltura, o l'utilità della villa, dedicata al re Carlo II.

D

(20 di Luglio). Francesco Petrarca nasce in Arcetri da ser Petracco dall' Incisa, uno dei fuorusciti ghibellini, e da Eletta Canigiani. Fiorisce Dino de' Frescobaldi, poeta fiorentino. 1305 (23 di Luglio). Per la morte di papa Benedetto XI dopo un anno e un giorno accade l'elezione di Clemente V, una delle più scandalose che abbiano vedute la Chiesa e l'Italia. I cardinali eransi divisi in due parti; a capo dell' una era un Orsini e Francesco Gaetani nipote di Bonifazio VIII, e questa parte stava per la memoria di questo papa e voleva un papa italiano; a capo dell'altra erano Niccolò da Prato, paciero di Toscana, e Napoleone Orsini che favorivano le parti francesi: queste due parti scelsero tre vescovi francesi, creature di Bonifazio e nemici di Filippo. Ma questi avuta la nuova della proposta da'suoi partigiani fece venire a sè Bertrando d'Agoust arcivescovo di Bordella, e mostratogli che potea farlo papa, il fece giurare quando il fosse di concedergli sei cose: assol

verlo dal misfatto da lui commesso contro Bonifazio; condannare la memoria di questo; rimettere nel sacro collegio due Colonnesi già cacciati; far altri cardinali da lui proposti; concedergli le decime del clero di Francia per cinque anni; e una sesta cosa da palesarsi a suo tempo, che fu il trasferimento della sede pontificia in Francia. Da questo fatto cominciò la Cattività di Babilonia per la Chiesa, e Babilonia furono chiamati da Dante quest'esilio della Chiesa, la corruzione della corte Romana in Avignone, che tanto male arrecarono nell'ordine politico e religioso. Con questo avvenimento si spiegano molti luoghi della Divina Comedia.

1305. Andrea Pisano, scultore ed architetto, lavora sotto Giovanni Pisano nel Duomo di Pisa. Si crede di sua mano la statua di papa Bonifazio VIII, ed altre per la facciata di S. Maria del Fiore.

1306. Pistoia si arrende a' Fiorentini capitanati da Maroello Malaspina. – Guerra nel Mugello contro gli Ubaldini.

Vita di Dante

scritta

DA C. CARLO FAURIEL

versione

DEL GIORNALE DEL CENTENARIO

(Continuazione, V. N.o 22, pag. 175).

<< Tutte le cose doversi inchinare al capo supremo di questa Chiesa militante; tutti i cristiani, a qualunque stato più onorevole appartenessero, avere a piegare il capo davanti a lui. Che se così non fosse, qual vita menerebbero cosiffatti uomini che si mostrano impazienti di ogni autorità? chi correggerebbe i loro errori, chi punirebbe le loro scelleratezze? Certo, che se pensasse esser sapiente a questa maniera, sarebbe il più insensato fra gli uomini. Per la qual cosa a noi tanto più grava il vedere attaccata questa autorità della santa sede, e questa pienezza di potere che ci viene da Dio, perchè questo muove da coloro che più particolarmente e più da vicino sono sudditi nostri.

<< E non ci sono sommessi i re, e gli imperatori che reggono cotesta città di Firenze, non ci giurano essi fede ed obbedienza? E se non si ricorra a noi, qual uomo porrà mai riparo ai danni grandi che si sono fatti nelle città e nei luoghi della Toscana >>.

Queste erano le belle parole; ma è da vedere come i fatti vi rispondessero. Sul principiare dell'anno 1300 le ire dei partiti erano tanto ingrossate

che non mancava che un destro perchè scoppiassero; e questo non tardò ad offrirsi.

Noi abbiamo già toccato delle grandi feste che si facevano a Firenze in sui primi di maggio, a celebrare il ritorno della primavera. La sera del primo maggio 1300 sulla Piazza di S. Trinita si erasi affollati uomini, donne e giovani di ogni età, a cantare, danzare e far baldoria. Nel bel mezzo di quella moltitudine due cavalcate numerose e brillanti s' incontrano, composte l'una dei giovani di casa Cerchi, capi dei Bianchi, l'altra dei Donati, principali dei Neri. Al primo vedersi le due schiere s' irritano, dalle minaccie si passa alle ferite, e il sangue si versa in meno che non si dice. Al rumore dell'avvisaglia gli aderenti di ciascun partito danno di piglio alle armi, si riuniscono nei posti consueti, e Firenze in un attimo passa dalla gioia alla guerra civ ile.

Bonifazio VIII come ebbe voce per gli agenti suoi della discordia che si era aperta fra le due famiglie, ed avvisando le gravi distrette nelle quali i Neri si erano messi, affrettossi a cavarne profitto. Egli spedì a Firenze il cardinale Matteo Acquasparta, personaggio avuto in gran conto per pietà e dottrina, ingiungendogli rimettesse la pace, modificasse il governo della città, procurasse che gli onori e i pubblici impieghi ugualmente si distribuissero fra le due fazioni, come per lo addietro. Il Cardinale andò, ed ebbesi liete accoglienze; ma i Bianchi, che molto sospettavano dei disegni del pontefice a riguardo loro, erano fermi di non accettare la mediazione del suo legato, e di negargli ogni facoltà di fare alcuna innovazione nel governo. Per il che le fazioni rimanevano sempre di fronte colle armi alla mano, gli animi peggiorati, e determinati a por termine colla violenza alle loro querele. Il cardinale che era venuto a Firenze per mettere i Neri a parte della somma delle cose, non vi rimaneva ormai che per sostenerli in segreto cogli intrighi, e colle occulte maochinazioni, senza badare allo sdegno che i Bianchi avrebbero preso di lui.

Tale era Firenze sul cominciare del mese di maggio 1300, quando i sei priori al governo della Repubblica e che uscivano di ufficio alla metà dello stesso mese, doveano secondo il costume, eleggersi i successori. In tempi così torbidi, la loro scelta era. cosa più grave e più pericolosa che non fosse pel consueto. Essi lasciavano ai loro successori un governo pericolante, quale era quello di una città scomunicata, e che avea offeso il fiero Bonifazio, e dove la guerra civile, che quasi un miracolo teneva sospesa, minacciava scoppiare da un momento all'altro. A. B.

Studi Danteschi

ILLUSTRAZIONE

DI QUATTRO LUOGHI DELL' INFERNO DI DANTE

I.

O donna di virtù sola per cui

L'umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel che ha minori i cerchi sui;
C. II, 76-78.

Questa donna è Beatrice, la quale, in questo canto, come per tutto il poema, ora è personalmente la Bice dei Portinari, amata, in vita ed in morte, dal divino Allighieri sopra tutte le cose di questo mondo; ed ora, idealmente, la beatrice di lui e di tutto l'uman genere, che per essa unicamente eccede, cioè, supera e vince in eccellenza ogni contento, cioè, ogni cosa contenuta sotto la luna, cioè, sulla terra; la quale, secondo il sistema tolemaico, è più prossimamente circolata da quell' astro, il quale ha perciò minori i suoi cerchi, che da qualunque altro.

Ora vorremo noi, o meglio, potremo noi seguitar a credere che cotesta ideale Beatrice simboleggi la Teologia, come generalmente si crede, o la Rivelazione?

Qui si parla dell' umana spezie, qui si sta dunque sopra ad ogni teologia, ad ogni rivelazione particolare; qui si ragiona di alcun che d'immanente e d'indelebile nell' umana natura, di ciò che le dà maggioranza e legittima signoria sopra tutte le cose terrestri. Se si trattasse di teologia, bisognerebbe intendere « tutti gli uomini sono teologi (dal che Iddio ne scampi!), e ciò li fa essere superiori alle altre creature che sono in terra»: assurdità e ridicolezza, non so qual più. - Eppure così fu inteso, e s'intende tuttavia. Se non che la miseria di simile interpretazione non toglie peso di dramma alla sapienza quanto profonda altrettanto semplice e lucidissima del nostro Divino; il quale, a chi attende con lungo studio e con grande amore a ciò ch' ei dice, non in un dato luogo soltanto, ma sì bene in tutto il corso luminoso del sacro Poema, porge avvertenze, commenti e prove, da rendere imperdonabili certi svarioni presi per manco d'attenzione o per pecoraggine, i quali abbuiano l'intelligenza di ciò che, essendo chiarissimo e fondamentale, vuol essere perciò stesso nettamente compreso e messo in sodo, onde averne in seguito norma ed indirizzo.

È chiarissimo per me, che in Virgilio, che in Virgilio, da lui prediletto sopra tutt'i poeti, Dante personifichi la umana Ragione, la quale in questo luogo, s'inchina a Beatrice, simboleggiante la Fede, e non punto la Teolo

logia, nè altro affatto; e me lo dice Dante medesimo nel XVIII del Purgatorio (v. 46-48), ancora per bocca di Virgilio:

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Quanto ragion qui vede,

Dir ti poss' io: da indi in là, s'aspetta
Pure a Beatrice, ch'è opra di fede ».

Essa è la Fede sovrastante nell' uomo alla ragione,
non per abbatterla, ma si per consolarla, sollevarla
e confermarla; essa è la Fede, appellata più innanzi
nel canto stesso « loda di Dio vera», per dire che
i salmeggiamenti della bocca non valgono, senza i
salmeggiamenti armonizzati del cuore e dell' intel-
letto essa è poi per Dante, ben s' intende, la Fede
delle Fedi, cioè la cristiana, fatta sedere perciò con
l'antica Rachele, per la quale va inteso il Mosaismo,
ch'ebbe dal Cristianesimo nuova forma e fecondità,
o, secondo l'ardita figura del Gozzi nel suo bel ser-
mone sulla sacra eloquenza, « Cui fu madre la Bib-
bia e il Vangel padre ».
bia e il Vangel padre ». Chi si ostina a credere
che la Beatrice idealizzata simboleggi la Teologia,
s' incoccia anche a sostenere che Rachele rappresenti
la Meditazione, e non bada a quell'epiteto signifi-
cantissimo di antica, nè alla sciocchezza di far se-
dere il teologante, con a fianco la meditazione; non
bada a nulla. E questo non badare è un guaio grande
in tante cose di questo mondo, ed è poi un guaio
arcigrandissimo in un poeta, come il nostro, che
vuole anzi tutto essere badato molto, ma molto,
essendo egli sommo ed uno, da capo a fondo, nella
sua stupenda ed ordinatissima varietà.

II.

Noi sem venuti al loco, ov' io t'ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose,
Ch' hanno perduto il ben dello intelletto.
C. III, 16-18.

Io non avrei notato questo luogo, siccome bisognoso d'un po' d'illustrazione, se non mi spiacesse oltremodo ogni maniera di profanazione. Tale è per me l'abuso che tanti fanno dell'ultimo di questi versi, applicandolo ai mentecatti, ai pazzerelli, a chi non ha, insomma, o non ha buono, il lume della ragione. << Colui »> dicono, a ha perduto il bene dell' intelletto!» E intendono significare, ch'egli non sa ciò che dice o ciò che fa, ch'egli è uno stolido, uno scimunito. Che l'intelletto sia un bene, sta bene, ma qui si parla DEL BENE dell' intelletto, non dell'intelletto in sè stesso; si parla di ciò che giova supremamente all' intelletto, e lo fa aver pace e letizia. Se si dovesse interpretare il verso in discorso a modo di costoro, bisognerebbe credere che Dante abbia voluto dire l'Inferno essere un manicomio; e chi ripugna, come fo io, ad ammettere la dannazione eterna dei veri rei, ne riputerebbe quasi de

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