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gni coloro che la volessero inflitta dalla giustizia divina a quei miseri, cui la carità umana battezzò in alcuni luoghi col nome d' Innocenti.

11 bene dell' intelletto è il vero; fonte d'ogni verità, causa delle cause è Dio; e queste genti dolorose hanno perduta ogni speranza di bearsi nella contemplazione di Lui. E tanto basti a ben fermare il senso di questo verso, che va lasciato dov'è, senza stiracchiarlo e falsarlo contro l'intendimento di Dante, il quale, nel XXVIII del Paradiso, dice, quasi a commento ammonitore:

E déi saper, che tutti hanno diletto,
Quanto la sua veduta si profonda,

Nel vero, in che si queta ogni intelletto.

E nel XXXIII della cantica medesima, ultimo del Poema:

Lume e lassù, che visibile face

Lo Creatore a quella Creatura,

Che solo in Lui vedere ha la sua pace.

III.

Venimmo al piè d'un nobile castello,

Sette volte cerchiato d'alte mura,
Difeso intorno d' un bel fiumicello.
C. IV, 106-108.

Il poeta è per Dante un Savio gentile, che tutto sa; e savi sono chiamati da lui i cinque poeti, che prima l'avevano fatto della loro schiera, sicchè egli fu sesto tra cotanto senno. Trattasi qui dunque di scienza e d'arte; e intorno a scienza ed arte erasi egli venuto già intertenendo coi seguaci del signore dell'altissimo canto, parlando cose, com'egli dice, che il tacere è bello, « siccom'era il parlar colà dov'era »>, mentre s'avviava con essi al castello simbolico; entrando nel quale, egli doveva provare il suo merito d'appartenere a quel collegio di sapientoni. Io mi sto pertanto con chi tiene essere nel castello simboleggiato lo scibile umano, secondo la partizione enciclopedica di quei tempi, che tutto l'accumulavano nel trivio della grammatica, della dialettica e della rettorica, e nel quadrivio dell'aritmetica, della musica, della geometria e dell'astrologia; e queste scienze, disformi, per natura e comprensione, dal moderno uso, sono le sette mura, queste le sette porte, per le quali dice poi Dante d'essere entrato nel castello coi cinque poeti. Così, o press 'a poco, intendono questo simbolo taluni, e così mi pare di dovere intenderlo anch' io, fuorchè però nel significato del fiumicello, che difende intorno il nobile edificio, e cui Dante soggiunge d'avere passato come terra dura co'suoi gloriosi compagni.

Intorno ad esso vennero profferite opinioni disparatissime, nessuna delle quali mi pare accettabile. Fu chi disse persino il fiumicello essere sim

bolo della lingua latina, base ed organo di tutti gli studj ai tempi di Dante; e dimenticò nientemeno che il capitano o sire di quel drappello, Omero, dico, il quale con l'idioma del Lazio non crederei che potesse avere dimestichezza nè conoscenza.

Io credo, invece, le scienze e le arti essere la scienza e l'arte in quanto che sono rami d'una sola pianta ed hanno quindi comunità di principj e di attinenze. Ora il fiumicello che circonda e difende l'edificio dello scibile, ne simboleggia, per mio avviso, e ne custodisce l'unità primitiva; ed insieme ne rappresenta gli elementi e gl' intenti comuni, intorno ai quali fu necessario e facile a Dante l'intendersi con quei maestri, prima di mettere piede nella reggia settemplice, a cui venne quindi introdotto.

IV.

Ancor sei tu degli altri sciocchi?
Qui vive la pietà, quand' è ben morta :
Chi è più scellerato di colui

Che al giudizio divin passïon porta?
C. XX, 27-30.

Il volume degli Scritti varj di Giuseppe Giusti, pubblicato mesi sono dal Le Monnier, contiene, tra gli altri abbozzi, anche delle note ed osservazioni sulla Divina Commedia, le quali non essendo appunto altro che abbozzi, non hanno a gran pezza ciò che avrebbe saputo dar loro di sostanza e di forma, meglio che molti e forse che tutti, quel profondo ed arguto ingegno tanto pieno di Dante, come egli era, e come il dimostra il suo Centone mirabilissimo, se la vita breve e sconfortata glielo avesse consentito. È lavoro giovanile, si vede, oltrechè imperfetto; e, nondimeno, c'è da impararvi non poco, per finezza di linguistica toscana e per cose che risguardano al concetto generale ed ai concetti particolari di un'opera, in cui la fantasia ed il senno umano fecero congiuntamente la massima prova della . loro potenza organatrice. Questo luogo, per esempio, è stato inteso stortamente da quanti commentatori io compulsai, non potendo mai acquietarmi all'assurdo significato di compassione, che tutti danno al vocabolo passione usato qui da Dante. Io sempre l'intesi per passività, e, quando nella nota incompleta, fuggevole, del Giusti, m'imbattei, almeno, nella precisa parola da me pensata: Oh, finalmente! sclamai con giubilo; ecco finalmente, per la parola cardinale del passo, un appoggio autorevole alla mia opinione, il quale mi vale per mille avversarj! E poco m'importa che il Giusti medesimo, non la dia per assolutamente unica, e non ne coordini il significato a tutta la logica del concetto. - Gran fatto mi parve l'essermi incontrato con lui nell' identica omonimia del vocabolo, ed ogni resticciolo del timore di pas

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sare per un originale, opponendomi a tanti barbassori, che la intesero tutti ad un modo, si è dileguato.

Qui si parla dunque dei divinatori, i quali sono travolti dal mento al principio del casso; e, perchè vollero vedere troppo davanti, guardano dietro, e fanno ritroso calle. Dante non può tenersi dal piangere, vedendo sì tôrta l'umana effigie, ed il suo duce gliene fa rimprovero. Ma come lo fa egli? Lo fa dicendogli: Ancor sei tu degli altri sciocchi. E sciocco può dirsi, ma non dicertissimo scellerato, chi sente pietà di pena sì grave e miseranda, quantunque meritata e rispondente come sempre in Dante, stupendo anche per questa parte, alla qualità del reato. Ora, a questo sciocchi non badarono gl' interpreti; il che troppo sovente loro avviene, e non intesero che sciocchi sono quelli che sentono pietà di tali dannati, e scellerati, che qui vale delinquenti, sono in sommo grado i dannati medesimi, i quali portano, cioè, attribuiscono passione, cioè passività, al giudicio divino; presumono, cioè, di rendere passivo della loro investigazione il giudicio di Dio, che è quanto dire la sua prescienza ordinatrice. - Io non credo che altramente si possa intendere questo luogo, che oscuro non è se non a chi ne fugga la retta intelligenza, per isbadataggine o per seguire alla cieca la corrente. A. CAVALIERI.

DANTE ANTIPAPISTA.

Saggio storico filosofico intorno la Divina Commedia. Nel lungo mio esilio ebbi rare volte a consolarmi della vista di recenti pubblicazioni italiane sulla Divina Commedia dell'Allighieri; ma il sacro volume viaggiava sempre con me come balsamo alla ferita dolorosissima che mi avevano aperta nel cuore le lotte infruttuose ed i lutti inenarrabili del 4849; - e ovunque portavo i miei passi errabondi, vidi sempre uomini e libri religiosamente parlanti del massimo poeta, il quale pareva ancora esule dalla sua terra nativa, e ricevere ancora dagli estranei generosa e splendida ospitalità. In Francia il Lamennais, l'Ozanam e l'Aroux gli consacravano grandi opere di laboriosa e saggia critica: in Inghilterra il classico poeta rivedeva la luce ne' suoi quattro più corretti ed antichi codici per cura del chiarissimo Panizzi e dello studiosissimo lord Vernon in maniera sontuosa e munificentissima; colà pure Ugo Foscolo e Gabriele Rossetti disotterravano i preziosi elementi che rivendicano Dante alla verità de' suoi tempi ; in Germania poi un regnante gli dedicava i superbi suoi ozii, il paziente ingegno e le sovrane ricchezze, pubblicando una fedele traduzione della Commedia, ed accogliendo nelle regie sue aule la più copiosa biblioteca che esista delle opere scritte intorno il Dante; e in Halle

si istituiva una Società dantesca che da molti anni studia indefessamente alla intelligenza del sommo poeta; mentre in Berlino un'altra Società fa soggetto delle sue scientifiche riunioni Dante e la letteratura italiana.

Un lavoro tanto assiduo e fecondo, che da oltre sei lustri hanno riassunto li stranieri sopra il padre della nostra poesia, onde la letteratura loro sappia riputarsi completa senza lo studio della nostra, dovrebbe ormai farci arrossire dei poveri commenti nazionali, e scuoterci dalla neghittosa superbia, che rendendoci paghi alle opere degli antenati, uccide le speranze del progresso, e ci lascia privi d' una let teratura vivente civilizzatrice. E da cosiffatto operoso amore che d'oltralpi si porta al genio di Dante, avrebbero gli Italiani, siccome io penso e confido, a prendere incitamento a bene intendere l'oracolo di loro lingua, e tralasciate una volta le sterili disquisizioni trastullo di retori inanimati sulla filologia e sulla estetica del sacro poema, dovrebbero darsi ad investigare la sua ideologia, dedurne il sovrano concetto, determinarne l'intendimento finale.

Dante per verità non può considerarsi soltanto nel rapporto della letteratura, come riformatore di lingua sua e creatore della poesia nazionale; egli è da chiarirsi principalmente nel rapporto tuttora incompreso o indefinito della filosofia e della religione ; si ha da evocare il suo spirito di sotto le tombe istoriche, su cui passeggiò per molti secoli l'inquisizione, l'ignoranza e la menzogna clericale: conviene ancora interrogarlo, e udirne il misterioso responso sulla questione che oggidì si rinnovella se ei sia guelfo, cioè, o veramente ghibellino, se papista o imperiale, dichiarando così la monte ed il senso interno dei suoi versi strani.

Il lungo studio fatto in questa ed il conversar frequente co' cultori suoi, incontrati nel mio pellegrinaggio per Francia, Germania ed Inghilterra, mi portarono nella opinione che l'idea Dantesca appartiene al razionalismo cristiano di Arnaldo da Brescia e non al cattolicismo romano de' papi, siccome si crede in Italia. Ed in fatto: Dante, che non quadrilustre ancora si slanciò volontario fra i difensori della sua terra natale; che partecipando alle lotte intestine onde essa era travagliata, esercitò pubbliche funzioni di magistrato ed ambasciatore; che per intrigo di parte guelfa fu da Firenze proscritto, processato, e condannato, le sue proprietà confiscate, la sua vita infamata; che errando esule di terra in terra, tenne, diresse, eccitò la parte imperiale, nemica aperta alla autorità di Roma; che cospirando assiduo alla riuscita del suo partito, affrontò pericoli, patì ingiurie e sventure atrocissime; che nello svolgersi della sua vita fra elementi contrari a quelli che lo avevano cacciato in bando dettò la Commedia, ove tutto tra

sfuse sè stesso, subbiettivamente impersonando lo spirito de' suoi tempi; Dante, che da vivo e da morto fu fatto segno alle segrete e pubbliche vendette della polizia inquisitoriale del Sant' Uffizio, dovrà egli ancora riputarsi avere scritto fra ghibellini con uno intento tutto favorevole ai guelfi, e dedicato ad antipapisti cantiche che glorificavano le dottrine del Vaticano?

In tale sentenza scrissero quasi tutti i commentatori della filologia dell'Allighieri che da cinque secoli si affaticano in Italia a dichiarare il di lui concetto segreto, e così pure la pensa il dotto solitario cesenate che ha presentato non ha guari la più completa illustrazione della filosofia dantesca che fra noi fosse comparsa.

Che gl'interpreti dell'altissimo poeta non abbiano potuto nè saputo svelare la sua idea ostile al pontificato romano, mentre in Italia si desiderò ogni libertà, specialmente quella della stampa, e persino il pensiero tremò impaurito dalle minacce di una sempre vigile inquisizione segreta, niuno saprà farne doglianza nè meraviglia; ma che dopo i fecondi rinnovati studi sul classico poema italiano apparsi in mezzo alla culta Europa, e dopo frante anche fra noi le vecchie catene del dispotismo politico e religioso, si faccia di Dante un frenetico cattolico, e della sua Commedia un catechismo da convento, la è cosa la quale può spiegarsi soltanto colla potenza delle tradizioni, colla influenza della educazione scolastica, prevalsa finora nella infelice patria nostra, colla temenza di affrontare una opinione consacrata ne' monumenti e nelle biblioteche. Chi invero oserebbe di smentire l'espressione della bellissima Beatrice nelle sale del Vaticano e strapparle di dosso i ricchi arredi della teologia ascetica, onde piacque al buon Raffaello di adornarla, per denudarla dall'occhio profano del filosofo incredulo, e mostrarla quale Dante seppe dipingerla nel tempio del Sole, e quale i ghibellini se la figuravano per sostituirla al Grifone lussureggiante ed evangelizzante in Babilonia?

Quella stupenda immagine dell' Urbinate ispirò tale una devozione nell'animo del pio professore Ozanam che gli fece scrivere la più erudita critical della Bice Cattolica di Dante che sino allora fosse stata regalata alla bella fiorentina.

Sennonchè, avviene del Sole Dantesco come di tutti i grandi veri del suo poema, ciò che ebbe a soffrire il sole astronomico di Galileo; tradizioni, pregiudizi, scuole, preti e frati, sono tutte tenebre che lo velano nell'ordine filosofico, ove il gran vate seppe collocarlo, perchè i profani non gli portassero offesa, e si restassero paghi alla seducente ingannevole atmosfera, onde volle avvilupparlo: il cattoli

cismo è bene l'atmosfera di cui si circonda il sole che mena dritto altrui per ogni calle, simbolo unico e vero dello spirito religioso e politico dell'Allighieri e degli orientali suoi maestri. Il magistero da lui adoprato nel nascondere l'idea subbiettiva sotto il velo della allegoria obbiettiva ha troppo felicemente ed anche fatalmente troppo riuscito, da far degli illusi ancora in mezzo alla luce delle scienze critiche che ponno rivendicare il vero alla purezza del concepimento generatore, siccome la filosofia razionale del tredicesimo secolo lo concretava. A convincersi però della ideologia dantesca e dello spirito intrinseco della sua Commedia opposto al letterale ed alla autorità di Roma, conviene investigare il genio filosofico de' suoi tempi, studiarne il movimento, scoprirne la pratica, avvertendo la discrepanza de' principj, delle dottrine, delle scuole allora prevalenti, notando i partiti osteggiantesi ed i campioni loro, e considerando l'umanità del secolo XIII fisicamente compaginata della maniera che noi la vediamo, e capace delle medesime sensazioni ed af fezioni che noi esperimentiamo. A siffatto studio diligente, libero, spassionato, aggiunto quello della letteratura nazionale di quell'epoca, ne resusciteremo un Dante veramente ghibellino, antipapista, templario, guerreggiante per la libertà politica, religiosa e civile d'Italia, e comprenderemo insieme perchè la tema di perdere sè stesso ed il suo lavoro didascalico lo costringesse a simularsi guelfo ed a vestire tutti i personaggi del suo gran dramma delle indumenta cattoliche. E chi non voglia trarre dalla storia dell'età dantesca queste filosofiche induzioni, ravvisando nella Divina Commedia due poemi - intrinseco e subbiettivo l'uno, estrinseco ed obbiettivo l'altro, combinati a creare una Unità politico-religiosa, l'Imperatore Papa - niega a Dante quella onnipotenza di genio che non ha rivali in niun tempo, in niuna nazione, e non riconosce in lui la sintesi storica del XIV secolo, e la profezia filosofica del secolo della riforma. Avv. E. TEODORANI.

Bibliografia

Strenna dantesca per il 1865, ossia raccolta di poesie scelte in onore di DANTE ALIGHIERI dai suoi tempi ai nostri giorni.

Manifesto.

A niuno è mai venuto in pensiero di raccogliere le poesie che in onore di Dante dal trecento fino a'giorni nostri furono dettate. Eppure noi sappiamo che il culto del divino Poeta ha sempre dimostrato la buona condizione della nostra letteratura, e la tra

scuranza di esso fu sempre prova di decadenza. Infatti nel quattrocento, nel secento e nella prima metà del settecento, poco si diede opera allo studio del padre di nostra lingua; solamente più tardi dal Varano dall'Alfieri e dal Parini, dal Foscolo e dal Monti vennero rialzati gli altari di Dante. Allora un concetto filosofico e politico informò le nostre lettere, furono disprezzate le, ciance arcadiche, fu avuta in non cale la poesia che ad alto scopo non mirasse.

Noi adunque credemmo di offerire tributo d'onoranza al Sommo, riunendo in un volume i versi scritti per celebrarlo. Ma siccome non tutti sono tali che a questo riescano, poichè è destino delle cose umane che il male spesso prevalga al bene e che nelle lettere il cattivo maggioreggi sul buono; così noi determinammo di raccogliere quel che di bello dettarono in versi illustri ingegni sull'Alighieri, trascurando ciò ove non possa ammirarsi, altro che l'intenzione. Dal Boccaccio a noi vi ha grande spazio di tempo. Cercheremo di riempirlo come meglio potremo, scegliendo fiori e gettando le spine. A scegliere dai nostri tempi saremo parchi, chè sdegneremmo di esser reputati piaggiatori dell'odierna poesia, sebbene prenda ispirazione da diritto principio.

A questa impresa ne incoraggia l'amore del sommo Poeta, il quale nella festa a lui consacrata parrà come risorto ad inaugurare il nuovo evo d'Italia. Firenze, 40 Ottobre 1864. ›

Per i compilatori GUIDO CORSINI.

Condizioni d'Associazione.

La STRENNA DANTESCA formerà un volume di circa 300 pagine, caratteri e formato del Manifesto.

Per gli Associati il prezzo sarà di L. 5, da pagarsi al ricevimento del volume.

Legato alla bodoniana costerà L. 7.

Per i non associati costerà L. 8, e legato come sopra L. 10.

DELLA FESTA NAZIONALE

PER

IL SESTO CENTENARIO

DELLA NASCITA

DI DANTE À LIGHIERI

aggiuntivi

I CENNI CRONOLOGICI

DELLA VITA, DELLE OPERE E DEL SECOLO DI DANTE
PER BONAVENTURA BELLOMO.

Firenze, Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., 1864

Dall'Uffizio di questo Giornale si fanno le spedizioni di detto libro per tutto il Regno, mediante vaglia postale di Lire Una in lettera affrancata.

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

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Ci

Due versioni straniere della D. C. scrivono, da Barcellona che il prof. Gaetano Vidal sta per pubblicare una traduzione del Poema sacro del secolo XV, con illustrazioni, intorno alla quale lavora da sei anni. Questa interessantissima pubblicazione sarà seguita da altra traduzione dalla Commedia, fatta dallo stesso sig. Vidal, in lingua spagnuola. Aspettiamo con vivo desiderio l'uno e l'altro volume, che così bene faranno testimonianza dell' influenza del sommo italiano ovunque è civiltà.

Un libro dantesco forse perduto. - Fra gli avanzi del R. Tesoro Siciliano, che era passato al re Federigo III di Sicilia, si rinvenne un libro intitolato Librum unum dictum lu Dante quod dicitur de Inferno. Nell'Inventario degli arredi reali fatto il 17 Dicembre, 6 ind. 1367, Federigo III detto il Semplice, pone questo libro come 43.° dei suoi oggetti.

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Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa.

Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Univer sità di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8. con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti. it. L. 45, 00

- Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8. massimo di carta imperiale con margini allargati (edis. di 75 esempl.). .

» 75,00 Ediz. citata nella ristampa (che è in corso) del Vocabolario della Crusca. Si spedirà franca per posta nel Regno

a chi ne rimetterà agli Editori in Pisa l'importo Postale.

con Vaglia

G. CORSINI Direttore-Gerente.

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Onorate l'altissimo Poeta.

GIORNALE DEL CENTENARIO

DI

DANTE ALLIGHIERI

Prepara la solennità nazionale della nascita di Dante c

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d' Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

1307. Secondo una tradizione, da molti combattuta, essendo stato ritrovato in Firenze l'abbozzo della Divina Commedia, è mandato da Dino Frescobaldi al marchese Maroello (o Moroello) Malaspina. Il Boccaccio però narra come il quadernetto de' primi sette canti fu ritrovato da Andrea di messer Leon Poggi, nipote di Dante, figliuolo della di lui sorella; la quale avendo serbato il forziere e le cose più care del fratello, quando gli furono sequestrati i beni, aprendo dopo qualche tempo detto forziere tra le carte che ella vi trovò era questo quadernetto, che pensò di mandare all' uomo più intendente di quel tempo, Dino Frescobaldi : e questi poi l'inviò al marchese Malaspina, il quale mostrollo a Dante e avendo avuto da lui che que'canti erano sua opera, il pregò che gli piacesse di continuare la impresa. Al quale (dicono) Dante rispose: « Io estimava vera<< mente che questi, con altre mie cose e scrit⚫ture assai, fossero nel tempo che rubata mi « fu la casa, perduti, e però del tutto n'avea << l'animo e 'l pensiere levato. Ma poichè a Dio « è piaciuto, che perduti non sieno, ed àm« megli rimandati innanzi, io adopererò ciò

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