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modo che gli Ateniesi ebberlo in somma venerazione, ed appo lui deponevano le chiavi della città. Dettò filosofia per quarantotto anni, e morì di 99, verso la 129.ma Olimpiade. Quando Antigono re di Macedonia ebbe notizia che quel filosofo di rigida e vasta dottrina e di più rigidi costumi non era più, ne restò gravemente contristato. Atene gli eresse una tomba presso il Ceramico e lo commendò per aver eccitato sempre i discepoli alla virtù, e per aver avuto conformi ai sensi i costumi. E questa è la più bella laude a cui uom dotto e dabbene possa aspirare. Dal Portico (Stoa in greco) ov' ei disputava, stoici detti furono i suoi discepoli, dei quali il più degno di succedergli fu Cleanto da Assos.

Dioscoride.

E vidi il buono accoglitor del quale
Dioscoride dico. (Inf. c. IV).

Dioscoride, ottimo medico, fu acuto investigatore del quale, cioè delle qualità e virtù dell' erbe e dei minerali. Egli fu di Anazarba nella Cilicia.

Orfeo.

e vidi Orfeo Tullio e Livio e Seneca morale. (Inf. c. IV).

Orfeo fu di Tracia, musico e poeta, e quindi detto figlio di Calliope. Ornato di molta prudenza e dottrina trasse i suoi connazionali dallo stato selvaggio al sociale e civile e di qui fu detto che al fascino della sua voce le fere mansuefatte scendessero dai monti e carezzevoli se li ponessero d'attorno. Tanto è potente la poesia, miracolo della Provvidenza, a mitigare gli uomini efferati, calmare i feroci, commuovere a virtù a gentili costumi gli stupidi e rozzi. Credesi andasse cogli Argonauti alla conquista del vello d'oro, e col dolce suono della cetra rendesse comportabili le aspre fatiche di quella spedizione pericolosa. Aristotele mette in dubbio la costui esistenza. Ma se è un mito, è un mito pieno di profonda sapienza.

Tullio.

Marco Tullio Cicerone nacque in Arpino 108 anni avanti G. C. Fu istruito, nuovo nobile, come gli altri romani di buona famiglia, da precettori greci. Dipoi per formarsi all'eloquenza ed alla politica, trasse in Rodi ed in Atene, e sotto Cratippo e un certo Zenone di Sidone fece squisiti progressi nella filosofia degli Accademici e degli Stoici, conoscendo, uomo perspicace com'era, quanta benigna influenza esercitassero gli studii filosofici e sulla eloquenza, alla quale era per applicarsi, e sulla condotta della vita pubblica. Egli dette opera a trapiantare le più

pratiche e vere teorie de' Greci sul suolo romano, ma i suoi non gliene seppero grado. Serbò nelle controversie tutta l'imparzialità della scuola accademica, e nella filosofia pratica tutto il vigore della morale stoica. In tempi di costumi corrotti sì che lo stesso Sallustio ne restava scandalizzato, solo questa filosofia poteva ritardare la ruina della repubblica. Nei suoi libri tratta le questioni più profonde su Dio, sul Sommo Bene, sui doveri morali, sull'amicizia ec. col metodo dialogistico del gran Platone, nè aridamente, ma con ricca eloquenza, nè leggermente, ma con profonde vedute; se non si voglia confondere la profondità de' pensieri, e la sodezza degli argomenti con nebulose astruserie, simili a quelle del trascendentalismo. E della rettorica e dell'arte oratoria scrisse con fino discernimento e sicura critica; e le sue Orazioni recarono l'eloquenza latina ad un grado del quale mai il maggiore. Non fu magistratura civile dalla questura in su, ove egli non desse prova di mente e di rettitudine. Edile, in una carestia provvide del proprio ai bisogni del popolo. Console, non senza rischio della vita salvò Roma dalla congiura di Catilina, e fu acclamato padre della patria. Pure sopraffatto dall'iniquo Clodio dovè esulare in Tessalonica: il suo ritorno in Roma fu un vero trionfo. Nel governo della Cilicia disfece i Parti, e dai soldati fu gridato imperatore. Parteggiò per Pompeo, ma Cesare non seppe disamare. Credesi però che dubitando della costui smodata ambizione fosse a parte della congiura ordita da Bruto e Cassio contro il dittatore. Perito Cesare per assassinio, Ottavio non si vendicò contro Cicerone, ma n'ebbe in pregio la dottrina. Vero però che allorquando Antonio, irritato per le Filippiche pronunziate da Cicerone contro di lui lo volle morto, e cedè ad Ottavio per conseguire l'intento la vita del proprio zio; Ottavio non seppe o non volle rigettare la barbara inchiesta, e consegnò la vita del grande oratore alla collera del collega. Cicerone cadde spento per mano di Popilio Lena, che dicesi fosse debitore della vita ad un'aringa dell'illustre Oratore. Questi morì sui 63 anni, 45 prima di Cristo.

Lino.

Lino fu Tebano, detto per la sua eloquenza figlio di Mercurio e di Urania: dicesi inventore della melodia e delle proporzioni musicali, e che riducesse in greca dizione le lettere che Cadmo recò di Fenicia in Tebe. Ebbe fama di sommo poeta.

Seneca.

Seneca chiamato morale da Dante per distinguerlo dal tragedo suo nipote, fu oriundo di Cordova, e

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nacque l'anno sessagesimo quinto dell' era cristiana. Seguì i dettami della filosofia stoica, e in conformità di questi volle regolare l'educazione di Nerone, che in principio molto l'onorò; ma in seguito calunniato da'detrattori del favore, e delle ricchezze più grandi che di privato, e forse perchè le riprensioni del maestro allo scostumato giovine erano martello; l'efferato tiranno lo condannò a morte, sebbene il savio vegliardo per tor via qualsivoglia sospetto avesse rinunziato ad ogni grado ed onorificenza. Concedendogli Nerone la scelta sulla specie di morte che ei volesse, si fece tagliare le vene. Dice il Landino che egli fosse in corrispondenza epistolare con l'Apostolo delle genti. Era stato oratore di grido, ma perchè Caligola, che aspirava alla gloria dell' eloquenza non adombrasse di lui, si tacque.

Messalina lo aveva accusato complice di Giulia Livilla e lo rilegò in Corsica ove scrisse i libri de consolatione e gli epigrammi, pittura orrenda di quell'isola. Scrisse in tempi di corrotta latinità; quindi volle più abbagliare che istruire, e ne' detti suoi scritti si desidera l'aurea semplicità di Tullio e e di Cesare.

L. N.

EPIGRAFI DANTESCHE

Da porsi

alla Torre di Gargonza (1)

DANTE ALLIGHIERI

PADRE DELLA RIGENERAZIONE EUROPEA
PER LA RABBIA DELLE FAZIONI

E PER LA PERFIDIA STRANIERA
BANDITO DALLA PATRIA

IL XXVII GENNAIO DEL MCCCII

QUI PASSÒ 1 PRIMI E PIÙ ACERBI GIORNI DELL' ESILIO

ITALIANI, VENERATE QUESTE MURA

MDCCCXXXIII.

(1) Dalla Viola del Pensiero, miscellanea di letteratura e di morale, MDCCCXXXIX. Livorno, Fratelli Sardi, in 8vo, p. 168.

DELLA FESTA NAZIONALE

PER

IL SESTO CENTENARIO

DELLA NASCITA

DI DANTE ALLIGHIERI

aggiuntivi

I CENNI CRONOLOGICI

DELLA VITA, DELLE OPERE E DEL SECOLO DI DANTE
PER BONAVENTURA BELLOMO.

Firenze, Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., 1864
Dall' Uffizio di questo Giornale si fanno le spedizioni di
detto libro per tutto il Regno, mediante vaglia postale di
Lire Una in lettera affrancata.

Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa. Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Università di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8.o con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti.. it. L. 45, 00 Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8.o massimo di carta imperiale con margini allargati (ediz. di 75 esempl.).. » 75, 00 Ediz. citata nella ristampa (che è in corso) del Vocabolario della Crusca. Si spedirà franca per posta nel Regno a chi ne rimetterà agli Editori in Pisa l'importo con Vaglia Postale.

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

ISH

Nella Libreria di ERMANNO LOESCHER, Torino, Via Carlo Alberto, N.° 3.

LA DIVINA COMMEDIA

DI DANTE ALLIGHIERI

RICORRETTA SOPRA QUATTRO DEI PIÙ AUTOREVOLI TESTI A PENNA

DA CARLO WITTE

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edizione assai elegante colla fotografia del busto di Dante per frontespizio ed il suo ritratto inciso a foggia di cammeo, 113 fogli in 4.o - Berlino 1869. Legato in cartone L. 54 00 Legato riccamente con ornamenti dorati » 60 00 Legato con marrocchino . >> 72 50 Per quanto sieno numerose le edizioni della Divina Commedia, contandosene più di 300, tuttavia nessuna di esse ha quel fondamento di sana critica che la filologia de' giorni nostri ci è venuto indicando. Un tale fondamento ha procurato il prof. Witte alla presente edizione, correggendone il testo esclusivamente sopra quattro codici manoscritti scelti in mezzo a più che 400 altri, dopo averli in prova convenientemente confrontati. Il risultato di questo confronto, e le varianti delle tre principali edizioni sono riferite nel modo il più preciso, ed oltre a ciò le note forniscono tutto il materiale critico raccolto sino ai tempi presenti.

LA DIVINA COMMEDIA

DI DANTE ALLIGHIERI

EDIZIONE MINORE FATTA SUL TESTO DELL' EDIZIONE CRITICA

DI CARLO WITTE

31 fogli in 8vo, legato, L. 9.

G. CORSINI Direttore-Gerente.

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1311 (16 di Aprile). Indugiando Arrigo VII in Lombardia, Dante con una lettera scritta nel Casentino in nome de' fuorusciti fiorentini, lo eccita a passare in Toscana. In un'altra lettera sotto scritti le fonti dell'Arno ( inedita nella biblioteca vaticana) Dante rimprovera a' Fiorentini lo spirito di ribellione che li mosse ad opporsi al re Arrigo. Vedi l'Apologia di Giulie Perticari dell' Amor patrio di Dante.

(6 di Settembre). Dante è esiliato con nuovo decreto.

1312. Arrigo entra a Roma nel Maggio ed espugna il Campidoglio. Nell'Agosto parte per la Toscana; guerra contro i Fiorentini, che resistono all' imperatore con molto valore; ed è costretto a partirsi il 31 di Ottobre. 1313. I Fiorent.i danno la signoria per anni cinque al re Roberto.

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Malaugurata impresa del re Roberto contro la
Sicilia.

1315. Quarta ed ultima condanna di Dante pronun-
ziata dal vicario del re Roberto in Firenze dopo
la sconfitta di Montecatini data da Uguccione
della Faggiuola a' Fiorentini e collegati Guelfi.
1316. I Fiorentini divisi tra loro, una parte favorisce
i Francesi e re Roberto una parte è loro contra-
ria. Ribellione di Lucca contro Uguccione della
Faggiuola; Castruccio Castracane degli Antelmi-
nelli è eletto a capitano del popolo. Guido conte
di Battifolle vicario di re Roberto in Firenze.
Paliotto d'argento in S. Jacopo di Pistoja la-
vorato da Jacopo Ognabene pistojese.
Musaici della facciata di S. Paolo fuori le mura
presso Roma fatte da Pietro Cavallini romano.
Dante è presso Can Grande della Scala. Co-
mincia a comporre il Paradiso che dedica a
Cane, laddove prima egli voleva dedicarlo a
Federigo re di Sicilia come disse a frate Ilario.
Lettera di Dante a Can Grande, nella quale
spiega il soggetto e il titolo della ( Divina) Co-
media (Epist. VI nella edizione di Witte e Fra-
ticelli), che era il seguente: Incomincia la
Comedia di Dante Allighieri fiorentino di na-
scita e non di costumi.

«

1317. Nuova impresa del re Roberto contro la Sicilia. S'impadronisce per inganno de' luoghi occupati in Calabria dall'Aragonese.

Can Grande vicario imperiale in Verona e
Vicenza.

>>> Matteo Visconti gridato signor generale di Milano.

>>> Lippo Memmi senese dipinge nel palazzo pubblico di S. Gemignano.

Essendo stata conchiusa la pace tra Pisa guelfa e Firenze ed altre città si cominciano ad ammettere i fuorusciti ritornano Tosinghi, Mannelli e Ricucci, i quali accettarono tutte le

condizioni loro imposte. Anche Dante fu ri-
chiamato a Firenze, ma ricusò di ritornarvi,
perchè quelle condizioni erano contrarie al suo
onore e alla sua dignità; come per esempio
era questa: «Che egli stesse per alcuno spa-
«<zio in prigione; e dopo quella in alcuna so-
<< lennità publica fosse misericordiosamente
<< alla principale ecclesia offerto; e per conse-
<< guente libero ». Dante non si abbassò a
questo segno, e a colui che tali cose gli pro-
poneva rispose dignitosamente: « Questo è
<< adunque il glorioso modo per cui Dante Al-
« lighieri si richiama alla patria dopo l'affanno
« d'un esilio quasi trilustre? Questo è il me-
<< rito dell' innocenza mia che tutti sanno? E
«<il largo sudare e le fatiche durate negli
<< studj mi fruttano questo? Lungi da un uomo
« alla filosofia consecrato questa temeraria bas-
« sezza propria d'un cuor di fango; e che io
<«< a guisa di prigione sostenga di vedermi of-
<«<ferto, come lo sosterrebbe qualche misero
« saputello o qualunque sa vivere senza fama.
<< Lungi da me banditore della rettitudine, che
« io mi facia tributario a quelli che m' offen-
« dono, come se elli avessero meritato bene
« di me. Non è questa la via per ritornare
<< alla patria, o padre mio. Ma se altra per
<< voi o per altri si troverà che non tolga ono-
«re a Dante, nè fama, ecco l'accetto; nè i
<«< miei passi saranno lenti. Se poi a Firenze
<< non s'entra per una via d'onore, io non en-
« trerovvi giammai. E che? forse il sole e le
<< stelle non si veggono da ogni terra? E non
<< potrò meditare sotto ogni plaga del cielo la
« dolce verità, se io prima non mi faccio
<< uomo senza gloria, anzi di ignominia al mio
« popolo e alla patria ? »

1318. Genova assediata da Marco Visconti si dà a re Roberto.

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Pel termine di cinque anni si assegnano quattro soldi di ogni lira pagata al camarlingo per la fabbrica di Santa Maria del Fiore, stante il lento progredire dell'opera per mancanza di denaro.

>> Dante è nel monastero di Fonte Avellana, vicino a Gubbio nell' Umbria, dov'è ricevuto da Moricone priore. Poscia è a Gubbio presso Busone de' Raffaelli, il quale ammirava tanto il suo amico Dante e le opere di lui che scrisse alquanti commenti e argomenti in rime sulla Divina Comedia.

1319. Nuovo assedio di Genova formato dalle forze ghibelline.

Studi Danteschi

FIRENZE E L'ITALIA

NEL CONCETTO E NEL CUORE DI DANTE

Esime e apologia delle dottrine politiche del Poeta cittadino; l'Italia di Dante.

(Continuazione, V. N.o 27, pag. 214).

Ma d'altra parte con quanta tenerezza per bocca del suo grande avo Cacciaguida ricorda i bei giorni di Firenze, quando dentro della cerchia antica sobria. e pudica si stava in pace; quando non avea donne ornate di catenelle, di corone, di cinture che fosse a veder più che la persona! (Parad. XV). Come rimpiange quel buon tempo antico dei Bellincioni, dei Nerli, di quei del Vecchio quando le donne loro non avevano ancora imparato a dipingersi il viso, quando la figlia nascendo non faceva ancor paura al padre pensoso della dote, nè ancor venuto era Sardanapalo a mostrare quel che in camera si puote, quando i maggiorenti della città andavan cinti di cuojo, contenti nel vestire alle semplici pelli, e le donne loro attendevano al fuso ed al pennecchio! Oh! l'esule ramingo per questa oscura e dolorosa selva dell' Italia, il padre, il marito tolto all'amplesso dei figli, della moglie invidia quei tempi dai presenti ahi! troppo diversi, allorchè ognuna di quelle fortunate doune era certa di aver sepoltura nella terra de' suoi padri, e nessuna peranco si giaceva ne! vedovo letto dolorosa, colpa della prepotenza francese (1), e mentre l'una vegliava a cura della culla, usando

(1) Così almeno iutendo io il dantesco

.... ancor nulla

Era per Francia nel letto deserla », parendomi che riesca un senso più affettuoso, più calzante pel poeta, che verrebbe così a ricordare indirettamente la cagione del suo esilio. I più dei commentatori, fissi nell'idea che, contrapponendosi sopra il lusso dei contemporanei di Dante all'antica semplicità fiorentina, deve tutto il discorso di Cacciaguida camminare per quel verso, spiegano così: nessuna donna era abbandonata dal marito tratto in Francia per sete dell'oro a mercanteggiare. Per me tengo che a rappresentare quel contrasto nel costume dei due tempi siano più che bastevoli quei due tocchi maestri delle mogli dei maggiori cittadini che vengono dallo specchio senza il viso dipinto, e non isdegnano di filare, e che accanto alla imagine della sepoltura di cui erano fraudate tante donne fiorentine figuri assai meglio quest'altra del forzato esiglio del marito, trista conseguenza della prepotenza francese. Niente per me di più naturale che questo trapassare dalla dipintura del viver sobrio e modesto degli antichi che valsero un tempo a Firenze tanta sicurezza e quiete, alle triste conseguenze dell'aver mutata quella prisca continenza e semplicità nell'ambizione e nel lusso, fra le quali principalissimo il male invocato intervento francese, onde gli esigli e le morti dei migliori fuori della patria, onde tante spose infelicissime, quali vaganti coi mariti lungi dal tetto paterno, quali lasciate a macerarsi di dolore nel vedovo letto.

ad acquetare il bambino le mozze voci infantili alle madri ed ai padri sì care, l'altra filando novellava de' Troiani, di Fiesole, di Roma e di quegli altri meravigliosi fatti di che si compiacevano le leggende popolari. Certo è che, gravandogli ogni di più l'esilio, col declinare degli anni si venivano a mano a mano attutando pur le giuste ire dell'offeso poeta; e mentre sempre più sentiva l'altero spirto quanto sa di sale lo pane altrui, si struggeva di tornare al dolce, al posato vivere della sua Firenze, e di terminare il breve tempo che ancor gli rimaneva là dov' era nato, dove cresciuto fino al mezzo di questo viaggio mortale (1). Stanco di andare così peregrino e quasi mendicando il vivere a frusto a frusto come il buon Romeo per tutte le terre d'Italia, stanco di mostrare al volgo quella piaga della fortuna che troppo spesso usa il crudele imputare al percosso, appena ricorda le patite ingiurie, tutto perdona, purchè cessi una volta di vagare, fatto vile altrui dalla povertà, a tanti e sì diversi lidi, quasi nave senza vela e senza governo. Se in quei momenti amarissimi, che offeso nel giusto orgoglio del cittadino conscio della sua innocenza, anzi dei meriti ch' egli ha verso la patria, si sente ridestare in petto l'antica fierezza, a chi gli osa rinfacciare la immeritata sventura risponde tuttavia con vanto superbo:

L'esilio che m'è dato a onor mi tegno;

se ancor protesta nella luce del mondo che ben possono l'iniquo giudizio degli uomini e la onnipotenza del fato, dare ai Neri, a' suoi nemici implacabili il trionfo, ma ad ogni modo

Cader tra i buoni è pur di lode degno; tant'è, non può levare il pensiero dal fiero fiume dove pure si dà la caccia ai lupi fiorentini, e dalla Falterona al mare nel lungo corso per mezzo la Toscana, pure imprecando, l'accompagna con desiderio infinito, nè può il suo cuore aver posa che in

(1) Pongasi mente come Dante in quel luogo del Convito tanto citato (Tratt. I. C. 3), dove manifesta il desiderio che lo struggeva della patria, dichiari formalmente di volerci tornare non già di viva forza, ma con buona pace di essa, e rammenti non solo senza pur ombra di sdegno l' iniquo bando, ma con modi anzi si temperati, sì riguardosi, che se dovessimo da quelli farne argomento senz'altro cercare, mal sapremmo dire se quella condanna fosse o no meritata. Qui non è l'esule calunniato che si volge a que' sceleratissimi fiorentini che sono rimasti in città (vedi la lettera di Dante del 31 marzo 1331 ai Fiorentini. Opere minori di Dante, ediz. Barbèra, vol. 1, 474) annunciando la vindice spada di Dio, che pende loro sul capo, e il terrore della seconda morle per avere scosso il giogo di libertà che imponeva l'impero ribellandosi al re del mondo, al ministro di Dio; ma il fuoruscito supplichevole che prega i cittadini ai quali fu in piacere di gellarlo fuori del dolcissimo seno di Fiorenza, questa bellissima e famosissima figlia di Roma.

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