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fine, per noi significa il diritto del più forte, lo straniero arbitro in casa nostra, un' Italia senza leggi, senza armi proprie, senza proprio governo; dunque Dante non fu buono italiano. Per verità se il concetto ch' ei si era fatto dell' Impero potesse accordarsi col nostro, tal quale si formò per una serie di troppo lunghe sventure, il torto di Dante ci parrebbe sì grave, sì enorme in tant' uomo da non potersi senza colpa scusare. Ma, lode al cielo, in realtà gli è tutto il contrario; dove noi altro non vediamo che mali, non vide Dante nè poteva vedere che il bene. Per esso adunque l'impero era il concorso dei voleri, che, pur liberi rimanendo dentro il circolo segnato loro, retti da una mente sovrana si accentrano tutti in uno scopo comune; era il fascio che insieme ristretto resiste inflessibile a chi fa prova di spezzarlo; era il grande riparatore dei torti, a cui appellano i deboli e gli oppressi, il conciliatore che si frappone fra le parti incontrastato e obbedito dovunque; era l'ordine, e coll' ordine la forza, la sicurezza, la pace, senza di che domare alfin la barbarie non poteano anche le genti meglio sortite dal cielo. Il perchè nel concetto di Dante quel Dio medesimo che chiamava la umana convivenza a felice vita, ordinava a regolatrice di essa sulla terra la podestà imperiale, quale unico mezzo a tanto uffizio per le cose del mondo, come nella maturità dei tempi dovea poi per le cose del cielo ordinare la papale podestà. Per tal modo nella mente del poeta filosofo erano il papa e l'imperatore i due soli destinati negli eterni consigli di Dio ad illuminare le due strade che l'umanità deve percorrere per giungere al suo fine, quella che a Dio e quella che mena al buono stato nelle cose del tempo. Acciocchè tuttavia le due podestà, conforme all'alto intento pel quale furono istituite, tutti producessero realmente i buoni effetti di che erano virtualmente capaci, e nessuno dei funesti che il mal uso o l'eccesso può generare, facea bisogno che ognuna fosse libera e indipendente nella sua sfera, di guisa che bilanciandosi tra loro. ugualmente fossero ambedue l'una dall'altra tenute in rispetto, nè mai potessero superchiare a danno di quella ben ordinata libertà che è fondamento al felice stato del genere umano (1). Così voleva il bene

(4) A chiarire che Dante, costituendo il monarcato universale non intendeva di fondare il dispotismo, basti ricordare come egli insegni appunto nella Monarchia, che la umana generazione ottimamente vive allora soprattutto che libera mantiensi (Humanum genus polissimum liberum optime se habet, De Mon. Lib. I, S XIV); che non il popolo è fatto pel re, ma il re pel popolo (non est gens propter regem, sed e converso rex proper gentem (ibi dem); nel che si dimostra ben più liberale di quel De Maistre, il quale tiene senza più che il popolo sia fatto pel sovrano e il sovrano pel popolo, e l'uno e l'altro acciocchè vi abbia una sovranità. Nel Purgatorio non altrimenti piacque a Dante di farsi

del mondo, così giustizia; perocchè nè l' Impero avea creato il Papato, nè il Papato l' Impero, st veramente Dio l'uno e l'altro istituiva di guisa che dal fatto stesso si facesse chiaro essere ognuno ne' suoi limiti padrone di sè, nè potere l'uno sull'altro vantar diritti, dappoichè se la Chiesa ricevea suoi poteri da Cristo, i suoi avea l'Impero ricevuti da Dio stesso innanzi che la Chiesa fosse, e quello come ognun vede, senza di che una cosa ha tutta sua virtù non può di sì fatta virtù esser cagione (1). Nella separazione pertanto e nell' equilibrio perfetto dei due poteri scorgeva egli l'unico mezzo sicuro, onde potesse la umana generazione procedere spedita e franca per quella via di civile e moral progresso, alla quale è chiamata. Perciò si duole che l'un potere, o per usare il suo linguaggio, l'un sole abbia spento l'altro, entrando cioè il papa in luogo dell' imperatore, onde giunta la spada col pastorale forza è che l'una e l'altra podestà vadano fuor di strada del pari, dappoichè, essendo unite di viva forza e confuse insieme, dove voglia l'una trascorrere, non può essere dall'altra tenuta in freno (Purg. C. XVI).

Veramente e codesto equilibrio delle due podestà rivali e codesto monarcato universale quali Dante divisava nel Convito, nel libro De Monarchia, nella Commedia, debbono parere a noi nulla più che il

presentare dal suo Virgilio al rigido Catone, qual uomo cercatore di libertà; per l'amore di questa vuol essere raccoman. dato al forte petto di colui che sdegnò di sopravvivere alla libertà di Roma, magnanimo rifiuto della vita che ne farà si luminoso il corpo nel gran giorno.

Or ti piaccia gradir la sua venuta,
Libertà va cercando che è sì cara,
Come sa chi per lei vila rifiuta.
Tu il sai, che non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
La veste che al gran dì sarà sì chiara.

De

Ma Dante credeva l'umana generazione allora massimamente essere libera quando obbedisce al monarca (Vedi Convito, Mon.). Voleva egli appunto l'Impero per abbattere la tirannide, che spesso toglie al cittadino la libertà di operare secondo virtù; e quindi Impero e virtù dovevano nel suo concetto darsi la mano reciprocamente, e sempre muovere di pieno accordo, perchè l'una cosa non può stare senza dell'altra, e si richiamano a vicenda come la causa l'effetto, e per converso.

(4) Illud, quo non existente, aut quo non virtuante aliud habel tolam suam virtutem, non est causa illius virtutis; sed Ecclesia non existente aut non virtuante, Imperium habuit tolam suam virtutem; ergo Ecclesia non est causa virtutis Imperii, et per consequens, nec auctoritatis, cum idem virtus sit et auctoritas ejus. Così Dante nell' ispido linguaggio della scuola, e continua a dimostrare la sua tesi valendosi di una formola tolta alle mate matiche a questo modo: Sit Ecclesia A, Imperium B, Auctoritas sive virtus Imperii C., con quel che segue, e che io stimo bene di lasciar nella penna per non offendere il gusto de' moderni si schifiltoso, quando al palato stesso di un Villemain e di un Balbo seppe d'agresto.

cose dello spirito separare da quelle del corpo, l'or-
dine fisico dal morale, l'atto esterno degli organi
materiali dall' interno della volontà donde move. Ora
se la volontà dell'uomo ha per causa movente una
fede, e a questa il principe non può comandare,
che ne sarà dove l'atto esterno, che il principe im-
pone con essa fede nou si accordi ? che sarà dove
per contrario l'atto ch'ei divieta sia per quella un
dovere? Qui l'urto è inevitabile, e forza è pure che
l'una delle due podestà, poichè di diritto nol potrebbe
fare essendo uguali, s'imponga all' altra violente-
mente, e a sè la tiri a mano a mano e l'assorbisca.
S'ha egli dunque sì la norma suprema e sì l'equi-
librio di queste due podestà da cercare fuori dell'una
e dell'altra ad un modo, in un principio di autorità
più alto, più spassionato, nella volontà e nella ra-
gione dell'umanità in generale? Noi lasceremo a chi
tocca il disputarne, chè non vorremmo in questione
tanto intricata, dove si smarrirono i migliori inge-
gni, star mallevadori delle conseguenze gravissime
che si potrebbero cavare da un principio posto in
falso. A noi basti l'aver dimostrato che codesto mo-
narcato universale, codesto equilibrio dei due poteri,
quali Dante imaginò come filosofo e poeta, non erano
nè poteano essere che un'utopia, ma utopia di un
alto e magnanimo spirto, il quale idoleggiando l'ideale
del supremo bene, tanto ne innamora che, scam-
biando il desiderio della cosa colla cosa stessa, riesce
a dar corpo ai fantasmi della sua mente e trasfor-
mare i concetti propri in enti reali.

sogno di un grande ingegno. In effetto se nell'ideale | fatto, così non potresti senza disfare il mondo le del poeta tutto concorre maravigliosamente al bene di tutti, forze uguali nei due poteri, e quindi rispetto reciproco, concordia d'intenti con mezzi diversi, e generosa gara di ben fare, potenza stragrande nell'imperante, e non pertanto temperanza di modi e discrezione di comando; chi direbbe, consultando la storia del mondo, questa severa, inappellabile verificatrice dei concetti attuabili, che quell'ideale abbia trovato o possa giammai trovare alcun riscontro sulla terra? Lasciamo stare che in tanta diversità di cielo, di schiatte, di usanze, di culti, mal sapremmo immaginare tutto il mondo raccolto sotto il principato di un solo, quando il fatto ci prova l'impossibilità di tenere a lungo unite sotto uno scettro pur le genti affini e di una credenza. Concesso anzi che il mondo si potesse ridurre a riconoscere questo unico, supremo impero, dappoichè nè re, nè repubbliche si hanno a togliere, giusta le teorie di Dante, troppo è chiaro che rimanendo nel mondo le stesse cagioni di discordia non potrebbe pur coll' impero posare giammai. Però dove nè voglino i re star contenti, come piace a Dante, nei termini dei regni loro, nè i comuni por giù le ire di parte, che farà l'imperatore per mettervi riparo? In che modo farà valere il suo arbitrato? anche colla forza al bisogno; ma di questo chi sarà giudice? Nè lui sicuramente, l'imperatore, nè i re o comuni querelanti, chè tutti ad un modo sarebbero giudice e parte in causa propria; nè saprei da qualunque parte penda quel diritto, se più doversi temere o l'abuso di un potere incontrastato, ovvero gli eccessi di una libertà indefinita, ridotta a non potere uscir mai da quel terribile bivio del dispotismo o dell'anarchia! Dove troveremo quel perfetto imperatore, che Dante ideava più da poeta che da filosofo, questo Cesare ottimo, fortissimo, sapientissimo che in sè congiunga per bene e perfettamente reggere la filosofica autorità colla imperiale? Ma posto ancora per impossibile che questa fenice d' imperatore s'avesse a trovare, come fare che due podestà, libere affatto e indipendenti tra loro, si movano nello spazio medesimo perpetuamente e mai non si tocchino, non si impaccino a vicenda, non si occupando l'una che delle cose del mondo, e l'altra che delle cose del cielo? Chi segnerà i limiti che separano gli interessi del cielo da quelli della terra, senza di che la giurisdizione di ciascuna podestà non si può determinare? Come serbare questa separazione così precisa, così netta quandò il subietto delle due potestà è pur sempre il medesimo, l'uomo vogliam dire tutto intero, questo essere composto d'anima e di corpo? A quel modo adunque che non si potrebbe separare l'anima dal corpo senza che l'uomo ne sia dis

Prof. A. ZONCADA.

VARIETÀ

Riceviamo la lettera seguente, che pubblichiamo con gran piacere.

Lipsia, li 10 Novembre 1864.

Signor Direttore.

Un giornale letterario di Lipsia, le Grenzboten, pubblica nell' ultimo suo numero un articolo intitolato La questione Romana. N'estraggo le poche linee che seguono, per provare a'vostri lettori che, se i governi tedeschi sono ostili alla giovane e libera Italia, vi sono pertanto in Germania degli uomini che applaudiscono alle di lei tendenze ed esprimono ad alta voce le simpatie loro pel popolo italiano.

«Sono di grand' importanza le circostanze nelle quali Firenze e con essa l'Italia celebrerà nel Maggio dell'anno prossimo la festa del suo gran Poeta. Per quanto splendida si affrettino a renderla l'arte e la scienza riunite, nulla darà a questa solennità tanta magnificenza quanto gli avvenimenti singolarmente grandi in mezzo ai quali

verrà celebrata; vogliam dire la crisi attuale del pontificato. Un momento d'immenso entusiasmo nazionale nel quale si stringono il passato e l'avvenire di un intero popolo Che felice fortuna che precisamente in questo momento si desti con più forza la memoria di quel gran Poeta della nazione, la quale, dacchè si sente veramente nazione, venera in Dante il simbolo della sua grandezza, del suo avvenire. Potrebbe questa festa ispirarci della gelosia contro l'Italia. Che cosa è in effetto quella dubbiosa agitazione che ci muoveva all'epoca della nostra festa di Schiller, quel triste tempo di rimproveri e di sospetti reciproci, che non tacquero che solo un giorno nella gioia della festa, che cosa è tutto ciò accanto a quell'alta e nobile disposizione di spirito colla quale gli Italiani possono celebrar la festa del loro Poeta nazionale, accanto alla coscienza d'aver fatto un gran passo e d'esser sulla via del compimento della grande opera. Forse s'ornerà la vecchia città guelfa nel medesimo tempo per la festa del Poeta e per il ricevimento del re d'Italia. E la memoria di Dante, che seppe alzarsi disopra all'odio di partito, che lacerava la sua città natale, come potrebbe celebrarsi meglio che collo stabilirsi fra le mura di Firenze di questo regno che dirimpetto all'Austria rappresenta il Guelfismo ed il Ghibellinismo contro al papa. Un'ardita impresa, concetta nel disegno di trovare per giungere a Roma, il mezzo di rovesciare il potere temporale della santa sede, è il dono festivo più bello che si può offerire al Poeta, che attribuiva alle possessioni temporali de' papi non solo la degenerazione della Chiesa, ma anche l' infelicità dell'Italia, ed anzi la desolazione del mondo intero, e volgeva gli occhi pieno d'un'espettazione impaziente verso il salvatore che deve respingere il mostro da questo bel paese di città in città fino nell' In ferno, donde l'aveva fatto uscire la vecchia invidia ».

In un discorso tenuto pochi giorni fa da un signor Jordan al Circolo delle Arti Su Giotto e sui principj del Risorgimento in Italia, trovavansi alcune idee su Firenze e Dante, delle quali voglio anche darvi parte.

<< La festa per il sesto Centenario della nascita di Dante Allighieri, che deve celebrarsi in Maggio del 1865, saluterà come capitale del Regno d'Italia la città di Firenze, la cui importanza per la causa nazionale di molto supera da più secoli quella di Roma; perché alla storia di

Firenze principalmente si rannoda il gran moto del Rinascimento, del quale Dante può esser considerato come il profeta, e che è intimamente legato al moto riformatore della Germania.

<< Dante fu il primo che scotesse le catene del medio evo, ravvivasse il sentimento della vita individuale, desse allo spirito umano un nuovo impulso, imprimesse alle idee una nuova direzione, il cui primo risultato fu il risorgimento dell'antichità classica, e la cui conseguenza la civiltà moderna ».

Vedete da tutto ciò, che la vostra gioja per la festa di Dante trova un eco nel cuore di tutti gli uomini, per cui è sacra la causa della nazionalità e della libertà dei popoli.

G. HARTMANN.

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d' Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

un'espiazione dei posteri, ma quasi un invito alle assise degli ingegni, convocati nella sua patria, e in suo nome assembrati, a far fede che già, spente le tirannidi e le fazioni, la nazione, ritemprata da eventi forieri dei tempi presagiti da lui, raccolta sotto unico scettro e con aspirazioni concordi, si accinge, impunemente oramai, a reintegrare nel proprio cielo legittimo e provvidenziale la formola ideale degli ordini suoi intellettivi e civili, della quale egli fu il vate supremo, e la gente ventura sarà forse l'espressione.

L'Accademia Palermitana non può senza disertar del suo còmpito e dalle sue tradizioni indugiare a partecipare alla festività iniziata in Toscana, e applaudita da ognuno; anzi precorrendo ai siculi voti ama farsi interpetre del paese natio, ove il poema sacro custodivasi un dì fra i gioielli della Corona in Catania, e quindi negli archivi del regno in Messina; più preziosi testi paleografici se ne conservano tuttavia, e per opera di tanti patrii scrittori è andato ognora studiandosi e commentando. Laonde sollecita di concorrervi nel modo che meglio da lei si può, per organo del suo Magistrato

Deliberava:

Di festeggiare a suo tempo anche appo noi, la memorabile ricorrenza, in una straordinaria tornata,

e i componimenti che vi saran recitati pubblicar per le stampe; e di delegare dal suo seno una Deputazione di tre Soci, commettendole di recarsi in Firenze a rappresentarvi il Consesso.

E a questa Deputazione, nominata in persona dei Signori Cav. Giuseppe de Spuches Principe di Galati vice Presidente, Consigliere Prof. Francesco Paolo Perez egregio socio della Terza Sezione, e del Sottoscritto, affidare il mandato:

Di promuovere le soscrizioni che in Sicilia si vanno segnando per contribuire al simulacro che all' epico magno vuolsi inaugurare colà per ricordanza perenne del fausto avvenimento (1);

Di recare all'esposizione Dantesca che ivi sarà tenuta quanto più le riuscirà procurare d'opere scritte da Siciliani intorno alla Divina Commedia, affinchè se ne argomenti lo studio nostro costante su quella allegorica trilogia, che è tipo immortale e specchio dell' italico genio, e pari al Titone della favola invecchiando ringiovanisce;

Di porgere ai promotori della solenne commemorazione il diploma di Soci d'onore, che volentieri l'Accademia offerisce loro, qual testimonianza di lode verso chi seppe un desiderio conceputo da tutti degnamente attuare ;

Di assistere ed intervenire ad ogni letteraria mostra o convegno che ivi occorrerà, acciò l'Accademia in persona dei suoi inviati vi faccia pur atto di pre

senza;

Reduce poi dalla missione conferitale, di darle contezza in apposito rapporto degli uffizi eseguiti;

Infine che si rendessero conscie di tale deliberazione le consorelle accademie dell' isola, perchè annuendo all'esempio potessero, o spedire colà speciali lor delegati, ovvero avere almeno opportunità di cumulare sui nostri il gradito incarico di rappresentarle al sottoscritto dirigendo le loro lettere credenziali).

Così nella adesione spontanea colla quale dalla ripa d'Oreto si accoglie un invito venuto dall'Arno, e l'eco dell' Ercta all'Appennino risponde, e nel mutuo connubio di glorie di affetti e di gioje, del quale è simbolo essa, chiunque possa scorgere un'altro, benchè tenue, indizio della solidal comunanza di fede di sagrifici e di destini che indissolubilmente cementa l'Italia degli Italiani !

Palermo, 30 Novembre 1864.

PARTE NON OFFICIALE

Secolo di Dante

CENNI CRONOLOGICI

(Continuazione, V. N.o 3o, pag. 237). 1323. Muore in Venezia Marco Polo, celebre viaggiatore, figliuolo d'un patrizio veneto Niccolò, il quale con Maffeo suo fratello aveva fatto nel 1254 un viaggio a Costantinopoli e poi in Crimea, nelle parti del mar Caspio e poi a Bukhara. Marco accompagnò il padre nel se condo viaggio intrapreso nel 4271: visitò la Tartaria la China, le Indie, e ritornò in Europa nel 1295. Scrisse la storia de' suoi viaggi in patria o quand'era prigione de' Genovesi dopo la battaglia di Curzola.

1324. L'Impero romano nell' interdetto. Appello di Ludovico il Bavaro. Opposizione de' Frati Minori contro il papa.

» Nasce Tommaso, detto Giottino. Tra le sue opere sono le pitture nella Cappella de' Bardi in Santa Croce di Firenze.

1325. Palermo assediata da Carlo duca di Calabria, figliuolo di re Roberto.

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(23 di Settembre). Gran rotta de' Fiorentini,
capitanati da Raimondo da Cardona, ad Alto-
pascio, presso il lago di Bientina in Val di
Nievole. Castruccio guasta ed arde tutto il
contado fiorentino. Gran penuria di danaro in
Firenze, per cui si aumentano le gabelle: si
rinforzano le mura, il poggio di S. Miniato e
la rocca di Fiesole. Il re Roberto manda in
aiuto 300 cavalieri. (24 di Dicembre) I Fio-
rentini danno la Signoria della città a Carlo
duca di Calabria figliuolo di re Roberto.

Si comincia la torre, detta del Mangia, del
Palazzo pubblico di Siena da Agostino ed Agnolo.
Si principia la Chiesa del Carmine in Pisa.

>>> (14 di Maggio). Castruccio batte messer Piero di Narsi, capitano de' Fiorentini. Si fortifica Empoli.

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Il Segretario FEDERICO LANCia, duca di Brolo.

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(4) 4000 Lire il Municipio ed altre mille il Consiglio Provinciale di Palermo hanno già votato.

Prima menzione di cannoni e pallotte in Fi

renze.

1327. Gran parlamento a Trento fra Ludovico il Bavaro e i ghibellini italiani. Galeazzo Visconti e altri della stessa famiglia sono fatti prigioni

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