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CENNI CRONOLOGICI (Continuazione, V. N.° 54, pag. 269). 1350. Secondo Giubileo. Nella quaresima si trovano in Roma 1,200,000 pellegrini.

D

I Fiorentini cominciano ad estendere il loro contado ridotto a nulla nel tempo della ribellione contro il duca d'Atene prendono Colle, S. Gemignano e riacquistano la Signoria di Prato.

La republica di Firenze manda a messer Giovanni di Boccaccio fiorini dieci d'oro, perchè li dia a suora Beatrice figliuola che fu di Dante Allighieri, monaca nel monastero di Santo Stefano dell' Ulivo in Ravenna.

1371 (42 di Agosto). I Fiorentini fondano una publica cattedra per esporre la Divina Comedia. Giovanni Boccaccio fu scelto a spiegarla nella chiesa di Santo Stefano, e diede princi

pio il dì 3 di Ottobre: il suo commento giunge sino al verso 17.° del canto XVII dell' Inferno. 1383. Messer Antonio piovano di Vado commenta la Divina Comedia.

1385. Francesco di Bartolo da Buti spiega nell' Università di Pisa la Divina Comedia. 1396. La Signoria di Firenze fa un decreto per eriin Santa Maria del Fiore i monumenti ad gere Accursio, Dante, Petrarca, Boccaccio e Zanobi da Strada.

1401. Filippo Villani spiega la Divina Comedia. Scrisse anche una vita breve di Dante. 1417. Messer Giovanni di Gherardo da Prato, poeta, spiega la Divina Comedia. 1480 (1.° di Febbrajo). La Signoria di Firenze prega Ostasio da Polenta, signore di Rimini di voler rendere le ceneri di Dante alla propria patria. 1431. Francesco Filelfo, dichiarato cittadino fiorentino

il dì 12 di Marzo, spiega la Divina Comedia in Santa Maria del Fiore: 1465 (4 di Gennajo). Secondo il pensiero di maestro

Antonio frate di S. Francesco che spiegava Dante in Santa Maria del Fiore, gli Operaj del Duomo allogano a Domenico di Michelino un quadro in memoria di Dante, il quale fu rappresentato vestito di toga rossa alla civile e incoronato di lauro, che tiene il libro della sua Divina Comedia in una mano, e coll'altra accenna i tre regni che cantò. E questo fu il primo segno di publica gratitudine mostrata al proscritto ghibellino. L'opera costò 155 lire secondo la stima che ne fecero Alessio Baldovinetti e Neri di Bicci.

1472 (circa). Cristoforo Landino commenta la Divina Comedia.

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Dante Allighieri: Michelangelo Buonarroti si of fre di fare il monumento a Dante. Michelangiolo aveva ad ogni canto di Dante fatti certi disegni e pitture, che sfortunatamente andarono perduti in un naufragio. 1692. Il sepolcro di Dante in Ravenna è ristaurato dal card. Corsi legato di Ravenna. 1780. Seconda ristaurazione del sepolcro di Dante in Ravenna per opera del cardinal legato Valenti-Gonzaga.

1817. Ugo Foscolo dimorando in Inghilterra spiega sulla cattedra di Londra la Divina Comedia. 1822. Muore G. Perticari, che scrisse dell'Amor pa trio di Dante.

1827. Gian Iacopo Trivulzio publica il Convito e la Vita Nuova di Dante.

1830. Stefano Ricci fa il monumento a Dante in Santa Croce di Firenze.

1840. Si scopre nel palazzo del Potestà in Firenze parte di un fresco di Giotto col ritratto di Dante.

1863 (14 di Novembre). Il Municipio di Firenze considerando che Dante Allighieri, il maggior poeta dell'éra cristiana e dell' incivilimento moderno, fu fiorentino, delibera ad unanimità. di suffragj: «Sarà solennemente celebrato in Firenze nel mese di Maggio del 4865 il centenario di Dante Allighieri ».

Quanto alla bibliografia Dantesca e allo studio delle opere di Dante ne'diversi tempi fatti in Italia è a sapersi che nel 1400 si fecero ventuna edizione della Divina Comedia. Nel 1500 se ne fecero quaranta'; e varj furono i commenti e gli esami de' testi fatti dal Manetti, dal Sansovino, dal Vellutello, dal Daniello, dal Dolce, oltre i varj lavori fatti dall'Accademia della Crusca. Nel 1600 le edizioni furono solamente tre, e quegli solamente che solitario studiava e meditava Dante fu Galilei, che poscia ne ritrasse il maggior frutto. Nel 1700 le edizioni furono trentasei. Lo studio di Dante ritornò in Italia per opera del Gravina, del Betti, del Leonarducci e di Alfonso da Varano: furonvi i commenti del Volpi, del Venturi, e del Lombardi, gli studj del P. Cesari, detti da lui le Bellezze della Divina Comedia; ma i due instancabili studiosi di Dante furono Alfieri e Monti da ultimo merita anche di essere ricordato Gasparo Gozzi il quale nella edizione di tutte le opere di Dante fatta in Venezia da Antonio Zatta nel 1758 difese la gloria di Dante, e richiamò gl' Italiani allo studio della Divina Comedia, da cui l'aveva allontanati l'insolente ignoranza del gesuita Bettinelli colla irriverente publicazione delle Lettere Virgiliane. Nel nostro secolo infine si nu

merano oltre a 150 edizioni, il commento di Biagioli, quello della Minerva, di Foscolo, di Arrivabene, di Rossetti, di Tommaseo, di Costa e la ripublicazione del commento di da Buti. Il Perticari scrisse dell'Amor patrio di Dante. Il conte Marchetti, lo Scolari, il Missirini, e Troya nel Veltro allegorico in varj punti illustrarono la vita e le opere di Dante, e da ultimo a compimento degli studj fatti innanzi C. Balbo publicò la bellissima Vila di Dante, del qual lavoro gl' Italiani sapranno grado all' illustre storico piemontese.

Fuori d'Italia poi scrissero di Dante e della Di*vina Comedia il Ginguenè: l'Artaud la tradusse in francese, il Boyd in inglese, e il Witte publicò le lettere di Dante. Furono erette cattedre a Berlino, Londra e Parigi per ispiegare la Divina Comedia. Delle traduzioni poi fatte nelle lingue d'Europa sono da contarsene diciannove latine, trentacinque francesi, venti inglesi, venti tedesche, due spagnuole e centocinquantacinque illustrazioni con disegni e pitture, siccome ne scrisse Colomb de Batines nella Bibliografia Dantesca publicata nel 1841. Solamente la Biblia può vantare maggior numero di commenti e di edizioni.

B. BELLOMO.

Studi Danteschi

DANTE, VICO, GIOBERTI

UN PENSIERO ED UN VOTO.

(Continuaz. e fine, V. N.o 34, pag. 270).

IV.

È noto come il Gioberti, nella storia della umanità, o meglio dell'umano pensiero, distingue ed ammette, in corrispondenza de'vari stati psicologici dello spirito con le successive trasformazioni ontologiche della formola ideale, cinque grandi epoche: la 1. cioè intuitiva, quando l'anima, come in lucido specchio, si rifletteva in Dio, e n'era l'immagine fedele (e questa fu, secondo lui, epoca perfetta e divina); la 2. immaginativa, quando la fantasia cominciò a prevalere sulla ragione o sull' idea, la quale perciò a poco a poco si andò oscurando, e quindi di mano in mano a tradursi in fantasma (e questo fu principio di regresso): la 3. sensitiva, quando il senso assolutamente prevalse, ed alla idea sottentrò risolutamente il fantasma, onde il sensibile tenne luogo di ragione (e questo fu il colmo del regresso); la 4.' di rinno

vamento, quando nella parola del verbo si restaurò tutto l'ordine ideale, e la ragione, domo il senso, riascese il suo trono. gemmato (e questa fu epoca di rigenerazione dello spirito); la 5.' finalmente astrattiva, quando l'intelletto cioè, astraendo dal sensibile l'idea di realtà assoluta, s'innalzò fino al concetto di una sostanza unica, che del pari convenga all'ente e alle esistenze (e questa è la vita in che si travaglia l'Europa da oltre a cinque secoli in qua, senza che per anco siamo venuti ad una conciliazione qualunque tra la scienza e la fede).

E, in correlazione a queste cinque grandi epoche, il Gioberti medesimo statuisce cinque differenti sistemi filosofico-religiosi, che ne danno altrettante civiltà, le quali a vicenda si disputarono l'impero del mondo, e che sono provate vere dalla storia comparata delle nazioni: Monoteismo cioè (con cui la prima formola l'Ente cred le esistenze, e ch'è la formola biblica); Emanatismo (con cui la seconda formola le esistenze emanano dall'Ente, e ch'è la formola indiana); Politeismo (con cui la terza formola le esistenze sono l'Ente diviso e moltiplicato, e ch'è la formola greca); Palingenesia (con cui la restaurazione della formola primitiva, ch'è la cristiana); e Panteismo (con cui la quinta ed ultima formola : le esistenze sono l'Ente, unico e sostanziale, e ch'è la formola delle moderne scuole, le quali, scrive a proposito il Massari, antropomorfizzando Iddio e i suoi attributi, non possono sortire altro effetto se non quello di un intollerantismo dissennato e crudele). E dalla filosofia della storia passando al campo letterario, un riscontro vi troveremo non meno sorprendente e grande.

La letteratura (come oggi la intendono i migliori) è l'espressione della Idea progrediente nello spirito della umanità pensante, espressione artistica fatta per via del sentimento ed a mezzo della parola, ch'è il segno articolato della idea, l'organo o il mezzo necessario a ripensarla, o il pensiero medesimo riflesso, quando cioè, come ripiegandosi sopra di sè, secondo com'è di sua natura, genera e crea. E ad ogni epoca suespressa corrisponde un genio in letteratura, che, collocandosi come interpetre sublime tra l'uomo e Dio, in sè compendia riti, tradizioni, idee, costumi, aspirazioni, gioie, dolori, glorie, sventure, e, tutto personificando in sè, se ne fa divinatore ed apostolo. Tali furono per l'epoca degli Israeliti Mosè, legislatore e duce, poeta ed istoriografo primo, che perciò, a capo della Genesi, come sul frontone d'un tempio, pone la formola primitiva : A principio Iddio (l' Ente) cred (atto creativo) il Cielo e la terra (le esistenze); per quella degli indi Valmichi, sacerdote e poeta, che tuttora perciò tanto ne diletta con le sue mistificazioni di esseri e di mon

di, che, come atomi in un raggio di luce, ci fa pullulare dal seno della Divinità; per quella dei greci Omero, anch'egli poeta teologo secondo la Teogonia e Cosmografia di quei tempi, onde ci dipinge l'Olimpo con tutta la pluralità degli Dei, sovente in gare tra loro, ed intervenienti nelle azioni umane; per quella del cristianesimo in Italia Dante, che perciò, secondo l' Ideale evangelico, si slancia in un mondo del tutto sovrannaturale, e cantò la umanità ne' regni della eternità; da ultimo per l'epoca della riforma, il Shakspeare e il Byron in Inghilter

il Goethe e lo Schiller in Germania, i quali perciò ritraggono il pensiero, libero, fremebondo, irrompente, ed a quando a quando ribelle anco contro Dio, cui osano affrontare impavidi, ed interrogare più audacemente ancora. Talchè, com'è chiaro, tutta la storia della umanità, considerata nel suo più alto punto di vista, idealmente cioè, si compendia ed esprime in questi otto nomi di grandi, che sono i veri giganti dell' umano pensiero. Cui la palma ?

chiaro se ne vegga il concetto filosofico, e di cui possa far tesoro la gioventù, avida sempre di sapere. Concetto della vita e della selva (V. Protologia, Vol. II. Torino, -57).

« La vita in universale si manifesta sotto due stati; latente e manifesta. La vita manifesta è la mimesi, il sensibile; la latente, la metessi, l'intelligibile» (pag. 118). Di qui due fisiologie, e quindi due scienze. « La Francia tende a studiar lo stato manifesto; la Germania lo stato latente. L'Italia dee conciliarli entrambi » (ivi). E di qui l'armonia dialettica, espressa da Dante. « Dante (di fatto) chiama selva selvaggia la vita, perchè imperfettissima la civiltà che l'adorna; giacchè la vita silvestre è il contrapposto della civile »>< (pag. 119). Selvaggio vuol dire ignaro, senza intelligenza delle cose, qual si è lo stato selvaggio opposto al civile. Lo stato sel vaggio è mimetico ed esclude ogni metessi, cioè l' intelligibilità e l'intelligenza. Dante (perciò) dice selva selvaggia per indicare la vita disordinata, sensuale, che esclude l'intelligibile» (pag. 77). « Onde poi nel Purgatorio (XXXII) chiama silvano l'uomo terrestre e viatore. Infatti la civiltà cosmica e mimetica è una vera barbarie rispetto alla civiltà olimpica e metessica. E noto che come Dante per selva intende la vita mondana, così egli simboleggia la vita ollramondana col giardino che incorona il monte del Purgatorio (pag. 149).

Scienza umana e Trilogia cosmica.

E qui è veramente magnifico il giudizio che il Gioberti dà dell'Allighieri, nello istituire la comparazione tra lui e i due massimi poeti dell'antichità pagana, Valmichi ed Omero; eccone le precise parole: « Egli è unico nella età moderna: sovrasta a tutti per l'ampiezza del lavoro e dell' ingegno: primo di tempo come di eccellenza. Se vuoi trovare con cui pareggiarlo ti è forza risalire a Valmichi e ad Omero; Valmichi ed Omero da un lato, Dante dall' altro, appariscono negli ordini delle umane lettere come capi e guidatori di quei due corsi civili, l' uno dei quali si connette con la rivelazione primitiva, e l'altro con la rinnovazione evangelica. Ma i due primi possedevano soltanto pochi rimasugli del Vero antico, benchè l' uno probabilmente vivesse nello splendore del Pan-│(potenza), alla cognizione intellettiva della metessi teismo braminico; e l'altro, quando fiorivano il ricco Politeismo e il genio eroico degli Elleni. Laddove il Poeta cattolico godeva della verità instaurata nella sua pienezza, e ritraeva dalla fonte, non già da' rivi; ond' egli avanzò di tanto i due sommi vati della civiltà gentilesca, di quanto il Pentateuco e l' Evangelio sovrastanno alla Teogonia e ai Vedas ».

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<< La scienza umana è la cognizione della metessi per mezzo della mimesi, cioè del genere concretizzato e individuato per mezzo della potenza sensata e dell' individuazione imperfetta. La scienza risale dalla cognizione sensata degli individui uranici (mimesi) alla cognizione intellettiva della metessi iniziale

finale e compiuta (atto, individuazione olimpica) › (pag. 123). È la rosa celeste di Dante. Il poema di Dante è la Trilogia più ampia ed illustre e il simbolo più espresso della dialettica universale e del passaggio delle esistenze dalla mimesi alla metessi ». Dentro l'ampiezza di questo reame Casual punto non puote aver sito (Parad. XXXII); sicchè tutto risponde dall'anello al dito ». La perfetta rispondenza delle cose coll'idea è la metessi. Il casual punto, per cui la materia non risponde all' intenzione dell'arte, è la mimesi.

Lo rege per cui questo regno pausa

In tanto amore ed in tanto diletto (ivi). Questa pausa indica l'immanenza (pag. 23). Simbologia del Poema sacro.

<< Il poema di Dante è la metessi favolosa del Cosmo, l'una melessi poetica, mitologica che idoleggia partitamente la metessi reale e scientifica. È la metessi

incoativa e progressiva della storia cosmica che riesce alla metessi assoluta. L' Inferno rappresenta la mimesi assoluta; il Purgatorio è la metessi incoata e progressiva (come si vede nel Paradiso terrestre, che è la melessi del celeste); il Paradiso è la metessi perfetta congiunta all'idea » (pag. 77). La Divina Commedia pel Gioberti è quindi mitica; e miti principali sono Dante stesso, Virgilio e Beatrice.

<< La scienza mimetica è ombra, la metessica è luce. Ora egli è chiaro che la gnosi compiuta e la scienza metessica non possono appartenere allo stato mondano, ma all'oltramondano. Perciò Dante colloca la trasformazione della opinione della gnosi nel finire del Purgatorio e presso l'adito del Paradiso terrestre. Qui giunto Virgilio, che rappresenta la scienza mimetica (come leggesi a pag. 64, la riflessione), dice a Dante :

Se' venuto in parte

Ov'io per me più oltre non discerno. (Purg. c. XXVII ). Perchè gli occhi umani sono appannati al vero intelligibile. A Virgilio dee succedere Beatrice, cioè la scienza metessica (o, come dice a pag. 64, la virtù intuitiva); la quale non sovrastando più all' uomo oltramondano, ma immedesimandosi con esso fa sì che l'uomo possessore di tale scienza ubbidisce solo alla propria ragione (connessa per l'atto creativo colla scienza ideale, cioè colla ragione di Dio) e non ad alcuna rivelazione esteriore. Dante esprime questo stato del gnostico metessico così:

Libero, dritto, sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno;
Ond' io te sopra te corono e mitrio.

(Purg. c. XXVII ). Quasi dices se tu sarai a te stesso papa e imperalore; e la dualità guelfo-ghibellina del sacerdozio e dell' imperio verrà assorbita nell' unità tua. Notisi che il poeta accenna all' unificazione metessica dell'intelletto e del volere sinonimando senno con arbitrio, e la mitra (sacerdozio, governo ideale) colla corona (spada, governo imperiale); e già pochi versi prima avea preparato il lettore a questa unificazione mostrandoci in Lia e in Rachele la dualità e l'antagonismo del vedere e dell'ovrare, cioè della vita contemplativa e attiva, che non arrivano alla cima paradisiaca del Purgatorio, cioè allo stato oltramondano ». (pag. 121).

Sistema de'cieli. L'universo e Dio.

L'universo è una gerarchia di vari ordini dispari insieme armonizzanti » (pag. 66). « Dante pennelleggiò questa gerarchia mimetica col suo sistema de'cieli. La virtù divina muove dal cielo empireo, e si propaga di cielo in cielo, che di sopra prendono e di sotto fanno... Lo spazio cosmico e la sostanza

cosmica, il contenente e il contenuto sono adunque identici (pag. 140) ».

<< Dante dando a' suoi beati due sedi, l'una simultanea e stabile nell'empireo, l'altra temporaria e divisa ne' vari pianeti, ađombra i due modi dell'esistenza, continua fuori dello spazio e discreta in esso. E di più accenna che come la polingenesia è nel Cosmo, così le sostanze che godono il superior modo di esistenza non si distinguono memericamente da quelle che hanno il secondo (pag. 695) ».

Che più?« Girando sè sovra sua unitale, dice Dante (Parad. c. II). Questo verso esprime la proprietà dialettica del centro, in cui s' immedesimano gli oppositi, come nell' infinito. Così il centro del circolo è ad una uno e molteplice; e se il circolo si muove, è moventesi ed immoto (pag. 648) ».

Ecco quel che di più rilevante il Gioberti ravvisava nel poema di Dante! ed ecco quel che di più peregrino ei vi scorgeva!

VI.

E Lamartine, nel corso familiare di letteratura, osava scrivere che la filosofia dantesca era tenebrosa; che Dante era pure un grand uomo, ma che la Divina Commedia era un cattivo poema, da non potersi leggere nemmeno, se non fosse che la fama lo strombazza e la moda lo introna; in somma che fosse una cronoca rimata fatta più per le moltitudini che per altro, una leggenda della piazza del Palazzo Vecchio a Fiorenza; una vendetta, e non più, del Poeta e dell'uomo di stato contro i partiti; idea meschina, indegna del Poeta, cui non risparmia i titoli di oscuro, di enigmatico, ed anco (orribile a dirsi!) di barbaro (Entr. VIII, vol. 3o, Dicembre e Gennaio 1864). Parole ignominiose che disonorano immensamente lui che le scrisse soltanto, alle quali perciò più non si accorda l'onore della confutazione. Se non che giova (e qui cade in acconcio) ricordare qualche solenne verità.

Delirante il misticismo di Dante? Tenebrosa la filosofia dantesca? I deliri della mente invece, le tenebre del senso, che, come foschi nugoloni, sorsero ad ingombrarle lo spirito, qui vennero sempre dall'umida Senna; la scuola sensista ed atea di fatto, scuola di regresso e quindi di tirannide, scuola di forza bruta e quindi di empietà, ci scusi il chiarissimo signor Lamartine, è scuola francese: è la scuola di Hobbes e di Volney. Il progresso, la civiltà, l'umanità in generale, devono pur molto alla Francia, nazione patriottica e generosa, eroica nazione, che perciò diritti eterni si acquistò alla gratitudine e riconoscenza umana; ma, 'di grazia, ov'è più la Francia dell' 89? È stata uccisa appunto da questa

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