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cere che l'omaggio fatto ai Municipi di Firenze e di Ravenna per un esemplare speciale sia stato gradito. Compenso unico a tanta fatica la soddisfazione di veder fuori quest'opera; ma compenso tanto più caro quanto più sospirato.

È ben degno che questo giornale che portava i miei dolori, porti le mie allegrezze. Spero che gl studi si avvantaggino di questa pubblicazione non soltanto per la lingua, ma pei principii civili e politici che l'Italia si era lasciata sfuggire e che ora felicemente va riconquistando; tanto più pregevole il Lana che propugna le sue ragioni con quelle arti e quei metodi che tanto piacciono a chi ci prese il nostro migliore e ora invano si sforza di ritenere. Milano, 19 Marzo 1865.

LUCIANO SCARABELLI Dep.

CORRISPONDENZE DANTESCHE

Lipsia, 15 Marzo 1865.

Signor Direttore, Noi siamo manifestamente nel secolo dei corsi pubblici. La Società delle lingue moderne di Berlino, è affetta come tutte le Società sue pari, da questa specie di epidemia; essa pure ha le sue conferenze. Il 22 febbraio il signor dottor David Müller fece dinanzi a numerosa assemblea, nella sala dei concerti del teatro reale un discorso su Dante. Pensando io che potrà esser per voi di qualche interesse il leggere il giudizio di un Berlinese sul vostro grande poeta, mi propongo referirvene i passi principali.

L'oratore chiama Dante un mondo ove hanno tratte ispirazioni e argomenti tutti gli storici, tutti gli artisti e tutti i più nobili poeti. Lo paragona nel tesoro della sua universalità all'eroe della poesia antica, a Omero, il quale, malgrado il lungo. volger di secoli è sempre giovine, e per altri dati lo confronta ai luminari della poesia germanica Shakspeare e Goëthe. Il mondo di Dante è il medio evo; un mondo pieno sì di luce, di spirito, di bellezza, ma sottoposto all' imperfezione e all' instabilità, e in cui la Chiesa dispensa la salute eterna e lo Stato largisce ogni bene terreno. Dante risiede sul punto culminante del medio evo; a lui dintorno fermentano mille presagi di prossima dissoluzione; ma lo spirito e il carattere del grande periodo rimangono in tutta la loro forza e respirano nel suo poema. L'intimo legame dello ingegno tedesco con lo ingegno romano che ha formato il medio evo, si personifica in lui.

La potenza dell' impero germanico in Italia era spregiata Corradino ultimo degli Hohenstaufen era caduto a Napoli nella primavera della vita sotto la scure del carnefice; la politica del Papa aveva vinta quella dell' Imperatore. Ma la lotta de Guelfi e dei

Ghibellini durava a lacerare l'Italia ove eran sorte le piccole repubbliche. E una delle più importanti fra queste era Firenze, patria di Dante.

I bei giorni della Repubblica erano già passati, la lotta de' partiti ne facea strazio e ne minava la potenza: Dante partigiano entusiasta dell' impero si legò ai Ghibellini.

A otto anni perdette il padre, e secondo ogni probabilità fu educato dalla madre. A nove anni vide per la prima volta Beatrice Portinari, la quale aveva qualche mese meno di lui; e fin d'allora le dedicò un tale amore che gl' ispirò i più bei canti, e non tardò a diventare una vera adorazione, quantunque non la vedesse che raramente, e sebbene gli fosse per due volte rapita, a venti anni dal matrimonio che ella contrasse, a ventiquattro dalla morte che la colpì.

Ma l'amore non aveva impedito à Dante di darsi intiero agli studi; egli era stato istruito in tutte le scienze del suo tempo da Brunetto Latini e si era legato con le menti più illuminate onde Firenze non pativa difetto: aveva frequentata l'Università di Bologna, e aveva pur passato qualche tempo a Parigi, nella metropoli di tutte le Università.

Di buon ora servi la patria. A' 24 anni combattè nella battaglia di Campaldino, e nel 1300 toccò alla più alta dignità di Firenze, a quella cioè di priore. Compiè il suo ufficio con severità e con imparzialità di repubblicano; ma presto un inaspettato cambia mento lo precipitò dall' altezza cui era pervenuto. Il partito de' Gelfi o de' Neri ottenne la supremazia nella città; i Ghibellini, o i Bianchi, il partito di Dante, furono oppressi; e il poeta stesso ebbe bando. dalla città natale, e non la rivide più mai, quantunque ne conservasse dolce speranza fino all'ultimo respiro.

Mangiò il pane dell' esilio nelle corti dei tiranni del nord d'Italia e morì a Ravenna il 14 settembre 1321. Ma appunto questo tristo destino maturò in lui il genio della poesia. È vero che nella Vita Nuova, il libro dell' amore della sua gioventù, dice di aver vedute alcune cose che gli fecero prendere la risoluzione di non parlar più di Beatrice prima di essere in termini da operare in modo degno di lei;-ma nondimeno è da sapersi se nelle faccende della vita civile egli avrebbe trovato il tempo e il raccoglimento necessario a terminare il suo grande lavoro: la Divina Commedia. L'oratore fece quindi notare la cura mirabile che il sommo Vate ha posta nella costruzione del suo poema; la profondità simbolica e mistica chi vi si trova; poi condusse i suoi uditori nel terzo regno dell' altro mondo, tal quale se lo rappresentava il cattolicismo del medio evo, e tale quale il poeta immortale lo ha dipinto con una forza

ed una grandezza immutabili nella sua Divina Commedia. Egli lo guida insieme con Dante e Virgilio fra i terrori e gli spaventi dei circoli infernali; fa loro vedere nella dolce luce del Purgatorio le anime che espiano con gioia le loro colpe, nella speranza di pervenire alla felicità e li trae finalmente nei campi risplendenti del Paradiso, nel soggiorno degli eletti. L'oratore chiuse il suo discorso facendo osservare che Dante, poco più di 100 anni fa, passava per tutto e specialmente nella sua patria per un barbaro insopportabile. « Ai grandi ingegni della nostra nazione egli disse, si appartiene l'onore di aver di nuovo riconosciuto il suo vero valore (1): E se la moderna Italia che nelle sue speranze e nei suoi dolori e nelle sue lotte si è sempre ritrovata nel suo Dante l'onora come il suo più grande poeta nazionale e si prepara a celebrare in splendido modo il suo sesto centenario, noi pure dobbiamo rivaleggiare con essa, perchè Dante ci appartiene da lungo tempo ».

Genova, 19 Marzo, 1865.

Signor Direttore. Sebbene fu det to da Iacopo Bonfadio e da molti poi ripetuto che in Genova vi sono perspicaci e nobili ingegni, ma l'aritmetica li guasta e devia, non crediate però, che quando l'occasione cade, e il bisogno si mostra, non si levino a volo per tutto ciò che la comune patria riguarda ed onora. Vero è che per cose leggiere non si muovono e le vane ostentazioni dispregiano, usi come sono di attendere meglio alla sostanza delle cose che alla loro superficie.

Questo proemio v'ho fatto per dirvi che nella grande solennità nazionale dei natali di Dante, anch'essi i Genovesi non si sentono men caldi degli altri italiani per concorrervi e festeggiarla. Ed io amando, come soglio, di sincero amore la mia patria, non mi parve di dimenticarne una così egregia virtù raccontandovi quanto sinora per siffatto scopo venne deliberato tra noi; e pregandovi, se non vi disgra da, d'inserire la presente nel vostro Giornale

Il cav. Emanuele Celesia, nome carissimo alle migliori lettere, e che testè ad ornamento di quelle ha dato in luce una sua lodata opera intorno alla congiura del conte Gian Luigi Fiesco, fu il primo che

(4) Il prof. Müller avrebbe potuto dire che la Germania da circa cento anni si è data con molta scienza e molto amore agli studi di Dante; ma non può in buona coscienza asseverare che in Italia fosse tenuto per un barbaro. Le vicende del nostro paese impedirono si che Dante fosse onorato e studiato a dovere, ma però il culto di questo divino ebbe presso di noi ed in ogni secolo i suoi fedeli. G. C.

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nel Consiglio Municipale di Genova di cui fa onorevole parte promosse il generoso concorso a così memorabile festa. Indi mosse i suoi alunni della scuola di letteratura nel R. Istituto Tecnico Provinciale di Genova alla compilazione di un Album Dantesco, corredato di una carta della Liguria, ovvero di quei luoghi perlustrati, o menzionati dall'Altissimo Poeta. Nè di ciò pago propose alla facoltà di filosofia e belle lettere della Reale Università di Genova di partecipare alla gloriosa celebrazione con qualche atto solenne che porgesse fede se non del potere che ristretto è, del buon volere almeno, che molto ha; e la facoltà dei dottori pigliandone autorità dal rettore, il chiariss. cav. prof. De Notaris, uomo di cui non saprebbe se più grande sia la dottrina, o la umanità dei modi, unanime plaudendo alla proposta, incaricò il cav. prof. Celesia a volerla costì rappresentare per la insigne commemorazione, nominando ad un tempo una commissione composta dei dottori e professori nob. Pietro Giuria preside, cav. Giuseppe Morro, canonico Grassi, cav. Emanuele Celesia, ed avv. Michel-Giuseppe Canale, con incarico speciale di ricercare i codici della Divina Commedia che possono trovarsi di qualche rarità, e finora men noti nelle pubbliche e private biblioteche di Genova, e facendone una succinta descrizione, metterne in luce i pregi e le più gravi e preziose varianti.

Questo è quanto si è fatto tra noi, nè di più si aveva modo di fare. Se colà in cielo dove l'Alliglieri senza dubbio è in Dio beato, possono mai giungere le misere cose nostre di quaggiù, io spero che questi uomini diversi d'ogni costume, e pien d'ogni magagna, non gli sembreranno tanto degni di essere dal mondo spersi. Le passioni civili che infiammavano la irritabile anima sua non gli concedevano forse di considerare gli uomini e gli avvenimenti de'tempi suoi con giudizio integro e scevro d'ogni parzialità. E ben scriveva l'illustre suo commentatore Ugo Foscolo, com'ei pensasse che a volere rifare l'Italia, mestieri era il disfarla, per cui a tutti i popoli italiani imprecava e specialmente al fiorentino dond' era pur nato. E questa fatale sentenza la cui giustizia durava ai tempi di Foscolo, alcuni opi

essere tuttavia applicabile ai nostri; chè la peste delle fazioni ripullula ancora, nè cessa di contaminare gli animi degl' Italiani. A nei giovi almeno di mitigarne l'enormità rinfrescan do le più onorate memorie, e la nazione risorta si aiuti di quelle, e dall'amore di Dante ritragga il più schietto. sentimento della propria libertà e indipendenza, così civile come letteraria.

Avv. M. G. CANALE.

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Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa. Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Università di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8. con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti.. it. L. 45, 00 - Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8.0 massimo di carta imperiale con margini allargati (ediz. di 75 esempl.). »75, 00 Ediz. citata nella ristampa (che è in corso) del VocaboSi spedirà franca per posta nel Regno a chi ne rimetterà agli Editori in Pisa l'importo con Vaglia Postale.

lario della Crusca.

DANTE

IA E PO

CAPI XXVII.

Un Volume in 12mo di pag. 250, prezzo Ln. 3.
Venezia, Tipografia Naratovich, 1864.

In Firenze, presso Ricordi e Jouhaud ed i principali librai.

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI B C.

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loëscher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

canti del Poeta della Nazione dai quali principalmente si pare com'Egli colle morali e politiche dottrine da lui sostenute, proclamate, difese, presentisse l'idea fecondatrice dell' italico risorgimento. A tutte le dottrine registrate nel gran poema ei pone religioso suggello col canto XXVII del Paradiso, in cui dinanzi al primo degli Apostoli data prova di vera fede ascolta le tremende parole di lui contro i traviati pontefici, e quello che S. Pietro non nasconde, egli alle genti nei secoli non nasconde.

Seguitando il nostro autore e maestro, diamo pur noi con quel sublimissimo canto religiosa sanzione a quanto abbiamo delle dottrine del poeta sinora esposto, e con questo porgiamo argomento alla nazione di dar compimento alla legge sulla mano morta ecclesiastica; acciocchè finalmente siano resi alla circolazione quei beni che troppo lungamente in danno della società ed a discredito della Chiesa si rimasero vincolati al clero, il quale più di un quinto della proprietà assorbì; mentre pur la Chiesa non era stata istituita per essere ad acquisto d'oro usata, non per aver leggi speciali, tribunali speciali, giurisdizione speciale, e sino birri speciali; uè infine per apporre a privilegi venduti e mendaci il suggello colla figura del primo degli Apostoli.

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II. All'uopo di raggiungere il Poeta in mezzo agli angioli ed ai santi, innanzi alle corti di Paradiso, sotto l'occhio scrutatore dell'Apostolo, dove noi lo vedremo all'aprirsi del canto XXVII, tra per invogliarci allo studio della terza cantica (in cui la potenza della similitudine ed i tratti del sublime, se più rari, di tanto superano quelli delle altre cantiche), e quasi per inghirlandare il supremo vero coi fiori eterni del bello, lanciamo uno sguardo alle sfere in cui il Poeta si è inebriato e da cui prende animo a ripetere le parole dell'Apostolo, e tutte quelle verità proclamare che dalla sua città, anzi dalla fonte del suo battesimo, sperava di bandire alla Nazione.

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Dalla cima del sacro monte del Purgatorio con un volo che non seguiteria lingua nè penna dietro Beatrice si è innalzato velocissimo alle sfere (1). Come un puro raggio di luce penetra nell'onda mentre pur l'onda rimane unita, è stato ricevuto nell'eterna margherita del primo cielo, la luna, dove gli vengono vedute in aeree forme le vergini sorelle che sacrate a Dio pur furono per civili ragioni dai voti solenni disciolte; ragioni in cielo valutate, perocchè sulla terra la Chiesa è nello stato, non lo stato nella Chiesa.

Allo sfolgorare degli occhi di Beatrice, la quale quanto più s'innalza, tanto più raggia di beltà divina, si mette con lei nella luce di Mercurio, ed ella allora sì bella diventa che il pianeta stesso se ne fa più lucente. Scorge quivi i figli della vita attiva che sudarono per educare a civiltà il mondo. - Onore all'industria, al commercio, alle arti, alle scienze, ed alla storia che tutte le scienze comprende, di cui la luce di Giustiano imperatore, facendo capo all'aquila romana, ragiona con tal filosofia della storia da farci considerar Dante precursore di Vico.

E dal volto dell'amata sua donna che viepiù si fa bello s'avvede il Poeta di esser salito nel tanto decantato terzo cielo di Venere, dove ragiona colle anime di coloro che, per gl'influssi di quell'astro, dominate furono dalla passione d'amore, sinchè pentite non si raccolsero al Dio che volentieri perdona.

Dietro il baleno, con che si ravviva il sempre crescente riso di Beatrice, salito nel Sole non se n'è accorto che quando vi è giunto, come non s'avvede l'uomo del primo venir del pensiero se non quando il pensiero è venuto! E nel mare di luce del grande astro che misura il tempo, origina la vita, i gran dottori della Chiesa in forma di vivissime stelle, onde pur lor sembianza traspare, facendo centro dei

(4) Ho tratto in gran parte questa sintesi del Paradiso dal racconto istorico di Beatrice Allighieri, perocchè mi è paruto che 1 Autrice abbia fatto opera santa a dare al popolo italiano un'idea di questa cantica che è la meno studiata e di cui par dovrebbe farsi per la nostra gioventù un'apposita antologia.

due celesti viaggiatori, e di se medesimi doppia lucentissima corona, hanno ragionato supreme verità con canti di tal melodia che nulla è quaggiù da poterne ombreggiare l'idea.

In un sospiro di patrio amore giunto al pianeta di Marte, ha veduto in mezzo al rosso splendore dell'astro della guerra una bianca croce tutta ingemmata di minutissimi lumi, il segno trionfale de valorosi Crociati: e mentre dal sinistro corno della croce quei lumi si commovono e forte scintillano nel congiungersi insieme e nel trapassare; scende a piè della croce il suo trisavo Cacciaguida, il guerriero di Cristo, il soldato della patria, che amorevolmente gli ragiona del riposato viver civile ond'era bella in antico Fiorenza.

Ed ecco poi con quella prestezza onde il volto di una gentile si sveste del colore che vi dipinse la pudicizia, ecco la rosseggiante stella di Marte mutarsi nell'argenteo astro di Giove, ed il Poeta così riconoscersi a maggior salute rapito, come dal maggior diletto che prova si accorge l'uomo di aver progredito nel cammino della virtù. Per entro la candidezza di quel pianeta gli sono comparse in color d'oro le anime di quelli che con perfetta giustizia governarono i popoli, e che quivi cantando e volitando favellano per figura di lettere, le quali compongono coi loro sempiterni abbracciamenti, e le cui parole sì vivamente rifulgono che non v'ha splendore sulla terra che possa darcene un'adequata idea. Oh come bello, come grande era il così formato: Amate la giustizia Voi che giudicate la terra!

E poichè dal sesto è salito al settimo splendore, al pianeta cioè di Saturno, e quivi nella mistica scala ha veduto le anime che furono studiose della vita contemplativa, le quali per quella scala, poggiante al sommo dei cieli, tacitamente salgono e scendono, si muovono e ruotano, ecco che un grido d'amore, altissimo rimbomba in mezzo a quegli arcani silenzi, e le anime dei contemplanti di repente nel profondo dei loro raggi si chiudono.

Al subito sparire di tanti lumi, ed in meno che un uomo metterebbe a trarre il dito dal fuoco, si è colla sua sua donna levato all'ottava sfera, quella delle stelle fisse, ed è entrato nella costellazione dei Gemini, il suo astro natale, da cui, pregata virtù di compiere il gran Poema, getta un primo sguardo ai mondi che gli stanno sotto i piedi, e vede fra gli altri, come un punto impercettibile, l'aiuola che ci fa tanto superbi, la meschinissima terra!

III. Ed è in questa costellazione che noi raggiungiamo il Poeta, nella suprema letizia della spera ottava dove, non più alcuna specie di beati, ma solamente gli appaiono angeli e santi, e dove il Paradiso comincia ad aprirsi in tutto lo splendore della

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