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DANTE ALLIGHIERI

Preparava la solennità nazionale della nascita di Dante c

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loscher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

mostrato più di confidenza in Capidio, anzichè in Munazio, col quale egli famigliarmente usava, questi se ne adonto p: modo, che, giurandogli odio e forse anco vendetta, erasi da lui sdegnosamente dipartito. Catone sapea già da Teofrasto, che amore, trasmutabile com'è di sua natura, facilmente si adira, e convertesi in odio: e però non ne mostrava meraviglia, né dispiacenza : persuaso essendo aver egli operato il giusto: Marzia però, che colla sua dolcezza sa pea rice care le vie più segrete di si magnanimo cuore, e volgerne a sua posta le chiavi, seppe talmente persuadergli amorevolezza e indulgenza per l'amico, che, convitati essendo a cena in casa Barca, essendo stato richiesto Catone: ove più gli fosse in grado di allogarsi, prescelse di stare, per pubbl ca testimonianza di stima, d'appresso a Munazio; tuttoché per quella sera niun altro segno di onoranza gli dasse. Ma, la moglie instando mediatrice, Catone gli scrisse che avea secolui a conferir su qualche cosa di momento, per lo che si fosse compiaciuto di favorire a casa di buon mattino; e, come quegli rimisel piè su la soglia, festevolmente accoltovi da Marzia, Catone, protendendogli al collo ambo le braccia, al cuore se lo strinse, e lo colmo di baci e di affettuose accoglienze. Era si soave e santo l'imperio che questa donna esercitava su l'animo di un tanto eroe! e quindi si può comprendere di leggieri, con quanta utilità Dante se ne giovi, e con quanta finezza n'abbia fatto suo pro, perchè il mito si fosse svolto in tutta la sua pienezza e leggiadria. In che modo?

Per quel che si legge nella Farsaglia di Lucano, e

per quanto Plutarco stesso potè raccogliere da Trasea Peto, e questi alla sua volta dal precitato Munazio, che in tanta dimestichezza vivea con Catone, costui, richiesto da Ortensio a volergli, per manco d'una figlia, concedere la moglie, affine di far si che, rinsanguinandosi le prosapie, Roma rifiorisse di nuove e più belle virtù cittadine, senza punto esitare, con uno stoicismo senza pari, poiché Filippo padre di lei e poi console vi assenti, di sua mano gliela diede in sposa, presente il padre stesso. Mancato a' vivi Ortensio, Marzia avea già vestito le gramaglie, quando Catone, memore di lei, a sé richiamolla, e, commessole il governo della famiglia, mosse libero sotto le insegne della repubblica per l'Affrica, ove poi si luminosamente chiuse la vita. Or veggasi come l'Alighieri sa, con arte esclusivamente sua, idealizzare questo fatto per trarne utili conseguenze pel viver civile.

« Per Marzia s' intende la nobile anima; e potemo cosi ritrarre la figura a verità. - Marzia fu vergine, e in quello stato significa l'adolescenza: poi venne a Catone, e in quello stato significa la gioventute: fece allora figli, per li quali si significano le virtù, che di sopra si dicono convenire alli giovani: e partissi da Catone e maritossi ad Ortensio, per che significa che si parti la gioventude, e venne la senettule: fece figli di questo anche, per che si significano le virtù che di sopra si dicono convenire alla senettute: mori Ortensio, per che si significa il termine della senettute: e Marzia, vedova fatta (per lo quale vedovaggio significa lo senio), tornò dal principio del suo vedovaggio a Catone, per che significa la nobile anima dal principio del senio tornare a Dio » (Conv. IV, 28). E, come se lieve tutto ciò fosse stato, Dante a meglio lumeggiare l'idea mitica, domanda: « E che dice Marzia a Catone? – Mentre in me fu il sangue (cioè la gioventute), mentre che in me fu la maternale virtute (cioè la senettute, che ben è madre delle altre virtudi, siccome di sopra è mostrato), io, dice Marzia, feci e compiei tutti li tuoi comandamenti; cioè a dire, che l'anima stette ferma alle civili operazioni. Dice: E tolsi due mariti, cioè a due etadi fruttifera sono stata. Ora, dice Marzia, che'l mio ventre è lasso, e ch' io sono per li parti vóta, a te mi ritorno, non esseudo più da dare ad altro sposo; cioè a dire, che la nobile anima, conoscendosi non avere più ventre da frutto, cioè li suoi membri sentendosi a debile stato venuti, torna a Dio, cioè a colui che non ha mestieri delle membra corporali. E dice Marzia: Dammi li patti degli antichi letti, dammi lo nome solo del maritaggio; ch'è a dire che la nobile anima dice a Dio: Dammi, Signor mio, omai lo riposo. Dice: Dammi almeno, ch'io in questa tanta vita sia chiamata tua. E dice Marzia : Due ragioni mi muovono a dire questo: l'una si è che, dopo me, si dica ch' io sia morta moglie di Catone; l'altra si è, che, dopo me, si dica che tu non mi scacciasti, ma di buon animo mi maritasti. Per queste due cagioni si muove la nobile anima, e vuole partire d'esta vita sposa di Dio, e vuol mostrare che graziosa fosse a Dio la sua creazione. Oh! sventurati e malnati, che innanzi volete partirvi d'esta vita sotto il titolo di Ortensio che di Catone, nel nome di cui è bello terminare ciò che delli segni della nobiltà ragionare si convegna, perocchè

in lui essa nobiltà tutti li dimostra per tutte eladi» (ivi). Ecco chiara rivelata ed espressa la mente di Dante !

Ma, se l'Alighieri sentiva il bisogno di presentare alla contemplazione del mondo un archetipo divino di sovrumana virtù cittadina, perché trasceglierlo da' Gentili, e non piuttosto da fasti del Cristianesimo? Ne pativano forse difetto gli annali della civiltà nuova, in tanta luminosa schiera di martiri e di eroi? Perché, ad esempio, non servirsi della figura, non meno veneranda, di Arnaldo da Brescia, il primo che, fattosi interprete dei bisogni e delle aspirazioni di tutto un popolo, osó di sfidare impavido i fulmini temprati alla fucina del Vaticano, e scuotere dalle foudamenta il colossale edifizio della potesta civile de' Papi? e con cui si apre veramente l'età moderna, ch'è l'epoca de' liberi pensatori? e 'l cui carattere sacerdotale meglio assai si addiceva al Monte della purificazione dello spirito?

Non si debbe qui pretermettere che Catone fu sacer dote anch'egli, sacro al culto di Apollo (Plut. 4), e bisogna dire che tornasse grandemente onorifica a que'tempi tal dignità, dappoiché, sbalzato di seggio Tolomeo, in compenso di un trono che perdeva, gli si offriva da Catone medesimo il sacerdozio di Venere a Pafo (27); dignità che sarebbegii stata conferita a forma di popolo, come costumavasi allora. Ma, quale sia veramente la riposta ragione per cui l'Alighieri a tutte le immagini della storia antica e moderna antepose Catone, non tarderà a rendersi palese ed aperta, sol che si ponga mente ad una verità fondamentale di massima importanza : Qual'è la scuola di Dante ?

La scuola di Dante unica e vera scuola, la quale perciò fa d'uopo si rientegri e nella sua pienezza, se veramente si vuole che Italia, rivendicandosi in libertà, riascenda, regina del pensiero, il soglio della prisca grandezza !) è di tornare a vita il passato, idealizzare il presente, preparare i tempi, e per tal mo' schiudere, più glorioso e più splendido ancora, l'avvenire. Il presente è contenuto radicalmente nel passato; come l'avvenire potenzialmente é racchiuso nel presente. È nello sviluppo dinamico di queste forze che sta il conato e 'l progresso successivo della civiltà. Domandate di fatto al Gioberli: Quanti e quali sono i modi del Crono? Ed egli vi risponderà. « I tre modi del Crono ( Cronos, tempo), passato, presente, avvenire, esprimono le tre relazioni dell'esistente; cioè il nulla da cui esce (passato), la finitezza in cui è (presente), e l'infinito a cui corre per via della esplicazione (avvenire). Di qui due mondi, interno ed esterno, morale e fisico. L'azione progressiva degli uomini e degli Stati, di fatto, non solo mira all'avvenire, ma retroguarda al passato; il presente sendo locato tra gli altri due termini. Universalmente parlando, questi due termini opposti sono le due facce della metessi; cioè la metessi potenziale e originale e la metessi attuale e finale. Cosi pure la mira futura è l'armonia dialettica, l'unità perfetta; il termine passato è il conflitto dialettico, la dualità degli opposti. Perciò nel futuro si colloca l'ideale; nel passato il germe di esso, ma sovrattutto l'anti-ideale, o antischema, da cui l'uomo dee regredire per progredire verso l'idea» (Protol. vol. II, Saggio IV). E Dante n'é maestro sommo e divino; talché la storia di tutta la

umanità è per lui come un sillogismo tremendo, la cui maggiore è presso i nostri padri antichi, la minore siamo noi, e 'l conseguente sono le istituzioni che saranno per derivarne a' posteri; e tutto questo raziocinio, si concatenato e seguito, non è perciò che un sol pensiero, il pensiero di Dio, ch'è l' Ideale eterno; il che sinteticamente costituisce la Idealità del Poema sacro.

Dante, com'è chiaro ed evidente, a presentarci un quadro compiuto ed armonico della civiltà nazionale e cosmica, avea bisogno di un archetipo antico (e l'antico era per lui il mondo latino, il giardino del romano Impero) rifiorito, idealizzato cioè dal nuovo (l'Evangelio). E quindi ei ci fa vedere Catone (Mondo pagano!) colla fronte irradiata da' raggi delle quattro luci sante, dal lume cioè delle quattro virtù cardinali, delle cui tremole fiammelle parea godesse il cielo dell'anima, ovvero il cielo della scienza (Mondo cristiano). Né di ciò pago, ei ci fa vede re Catone stesso, che piega rispettosa la fronte, non più a Marzia che simboleggia la Psiche della filosofia stoica, si bene a Beatrice, donna del ciel, ch'è la nuova scienza ideale della scolastica. Cosi rappresentato Catone, che personifica ed incarna lo stoicismo, filosofia di genio colodoriese e quindi greco-romano, è perciò la individuazione più eloquente ed espressiva del genio etrusco-pelasgico che si disposa alla Palestina dell'Occidente, che s'identifica nel pensiero dell'Iran, dell' Europa che siede su la cuna d'ond'ella emerse, del gentilesimo che a nuova vita si rigenera nelle onde del Giordano, e vi deterge il sucidume, onde la notte infernale lo avea contaminato e tinto. In somma è l'umanità, che, sgombrata omai la nebbia dagli occhi, e ricinta d'un giunco schietto, quel medesimo giunco marino onde Cristo fu coronato, con Dante, pel tramite del dolore e della espíazione, prende il monte a più lieve salita, sicchè vegga il sole de' tempi nuovi, il sole che fervido sorgeva ad illuminare i redenti.

La quale idealità par fosse stata, se non pienamente svolta, intraveduta almeno e rettamente intesa dal Giuliani. « Catone (ei scrive nel metodo di commentar la Commedia di Dante, 1861, Firenze, pag. 370), bramó la civil libertà nell'universale impero della romana repubblica; Dante la volle sotto lo stesso Impero, ma di un Cesare. L'uno, anziché vivere senza di quella, si diè libero a morte; l'altro invocó dal cielo un giusto, nuovo e terribile giudizio sopra quelli Imperatori, che, dovendo e potendo, non curarono farla rivivere là dove perdevasi. Catone ebbe cara la libertà dello spirito propria del filosofo, ma stoico; Dante amò quella del filosofo, ma cristiano. Quegli, confortato dalle sole forze della natura, e però, in capace a secondare tale rigida norma, piuttosto che mancarvi, se ne usci liberamente di vita; questi, figliuolo di grazia, temendo di perdere il si caro tesoro, affrettava col desiderio la morte, ed avea per grazia poterla prestamente raggiungere ».

Ed a questa sublime idealità dantesca, a questo metodo insegnatoci da Dante il primo, di trovare cioè il nuovo nell'antico, ed, idealizzandolo, renderlo progressivo ed anco migliore, alludeva il non mai abbastanza lodato Vincenzo Gioberti, allorchè nella Introduzione allo studio della filosofia, deplorando la declinazione de'buoni studi, in Italia non pure ma in tutta la civile Europa, cosi facevasi

ad esortare gli scrittori del decimonono secolo: « Se volete in effetto beneficare la civiltà, e vi dà l'animo di mutare i costumi (il che non è veramente una ciancia), lasciate là i romanzi, le cronache, e volgetevi alle storie: aggiungete la perfezione sovrumana dell' Evangelio agli antichi spiriti di Atene e di Sparta, di Sannio e di Roma: accozzate e contemperate insieme Platone e Dante, Bruno e Michelangelo, Catone e Ildebrando, Licurgo e Carlo Borromeo; componete insieme questi elementi, che ci maravigliamo di trovare divisi nella storia (tanto gli uni, ad essere perfetti, abbisognano degli altri !); fatene uscire una civiltà nuova, più eccellente e squisita delle passate.... e sarà opera veramente benefica e santa la vostra! »

Ecco la tendenza universale! ed ecco lo svolgersi perenne della civiltà, logicamente e cosmogonicamente considerata. « L'esistente tende all' unificazione del Logo nell'ordine delle idee, e del Cosmo in quello delle cose. Il Cosmo unificato è l'immagine del Logo; il Logo umano metessi) unificato è immagine dell'idea o Logo divino. Nella tendenza verso l'unità del Logo e del Cosmo consiste il progresso dialettico del mondo » (Protol. vol. II, saggio IV, Progresso).

VI.

È veramente sublime, veramente grande, veramente nazionale e cosmica, l'archetipa idea, che per Dante ci si presenta nel mito di Catone! Ma, per fare che l'umanità, francata omai dal predominio del senso, e quindi pervenuta libera e donna di sè, sicchè finalmente rigenerata rigeneri, e rinsavita progredisca per le vie della perfettibilità, che cosa fa di mestieri si faccia? Non altro che metterci su le orme di quel genio divino, e fidenti seguirlo in tutto lo svolgersi prodigioso del suo mistico viaggio pe' tre regni della eternità cristiana. È peregrinazione artistica di non più che otto giorni, ma che in sé compendia la vita di molti secoli nell'ordine mondano, e nell' oltramondano il principio che non avrà mai fine. Ed anzi tutto qual' era l'ansia, la febbre, il sospiro di quell' anima grande? quale il pensiero dominante di quell' Esule illustre, che, girovagando fra gli orrori dell'italica selva, (com'ei la chiama nel libro de Vulgari Eloquio, I, 14 e 25), negli orrori cioè dell'anarchia sociale, anelo attendeva il romper del mattino, il vergine sorriso dell' oriente, lo spuntar del sole di giustizia e di pace? Non altro che di poter ascendere la vetta d'un monte, che di rincontro giganteggiava sublime, e la cui cima era già coronata de' primi raggi del pianeta, che mena dritto altrui per ogni calle; ed egli già cominciava a salire su per l' erta montana, ma non glielo consentivano le fiere; sicché di nuovo ruina, precipita a valle, giú nel cupo fondo delle miserie e de' dolori.

Tal se ne giaceva il misero, quando, a conforto del cielo, maestosa gli appare l'ombra di Virgilio, simbolo della umana ragione o della ragion de' tempi, ch'è la ragione politica, il quale, in aria di solenne mestizia, a lui che tremava e che piangeva, intuona l'alta sentenza : A te convien tenere altro viaggio.

(Inf., 1, 91). Dante, tradotto sé medesimo in fantasma, è splendida personificazione di tutto un popolo, anzi della umanità

intera, che viaggia incessantemente, attraverso di tutti gli ostacoli, al conseguimento d'un ternario ineffabile, il vero, il buono, il bello. La via dunque, che allora dall' Italia e da tutto l'uman genere si tepeva, era falsa; e però menar non poteva a veruna utile conseguenza pratica, pel viver civile. E di fatto Dante medesimo fin dal bel principio dichiara, che la diretta via, che la verace via, era smarrita (ivi, 3 e 12). Si andava senza scopo, senza un principio fecondatore, senza uno scopo diretto, senza un mezzo efficace.

E ciò avrebbe dovuto essere più che sufficiente a rendere accorti gl' interpreti, che 'l proemio del Poema è nou già la chiave (come si è pur sempre erroneamente creduto) per la interpretazione del Poema stesso, si bene la sua parte nejativa, é l'antischema, è l'anti-ideale, di cui sopra parla il Gioberti, e che perciò non riguarda l'avvenire, ma retrospetta il passato, in cui la lotta, il conflitto, la dualità, la guerra, e non l'armonia, l'unità, la concordia, la pice, ch'è visione, perciò relativa a' posteri. E di fatto, se ben vi si guarda, il primo Canto è nè più né meno che 'l rovescio dell' idea dantesca, l'antitesi perfella ed assoluta di tutta l'opera, il capovolgersi di tutto il suo sistema nazionale e cosmico. Facciamoci da capo, scendiamo alla disamina del vero, senz' altra premura che di penetrarne il fondo, affine di rivelarlo anche a chi meno è vago di studi danteschi, e vediamo s' egli è pur cosi. Carità ne stringa del natio paese; dappoiché spiegar Dante, oggi vale salvar l'Italia.

L'ansia, noi dicevamo, la febbre, il sospiro, il suo pensiero dominante, era di poter ascendere it Monte, figura eminentemente ideologica, comunque la si voglia considerare, in tutto il suo proteiforme aspetto. Ed invero. Se noi ci facciamo a considerare il Monte geologicamente, esso con Elia de Beaumont e con Alessandro Humboldt ci rimena all'epoca delle rivoluzioni cosmo-telluriche, quando la forza ignea dell' interno, squarciando qua e là la crosta del globo, rovesciando ed accavallándo le materie, la superficie terrestre vesti di tanta varietà e leggiadria. Se ci facciamo a riguardarlo storicamente, esso con Tito Livio ci riconduce a que' tempi primitivi, quando i popoli, sparsi in borgate, in montibus vicatim vitam agebant; e'l canuto Patriarca, sacerdote nello stato ch' era allora delle famiglie, su que' primi altari di natura, offriva a Dio l'olocausto innocente di poche frutta o d'una manata di spighe, primizie de' campi. Se ci facciamo a vagheggiarlo miticamente, esso su le ali della fantasia di Omero ci trasporta alla sede nebulosa di Giove, ch' era l'Olimpo, ed a' mirteti ed agli allori di Pindo e di Elicona, dimore care ad Apollo ed alle vergini Muse, ove perciò si coglieva il premio che avanzava ogni desio. E, se ci facciamo a contemplare il Monte filosoficamente, esso col Gioberti ci rivela la parte sintetica del globo, dappoiché chi su vi ascende e mira, ad un semplice muover di ciglio, tutto distingue ed abbraccia quanto d'intorno a lui si spande e ride; esprime la mimesi erompente dalla metessi, e l'una e l'altra dalla Idea; rappresenta il microcosmo, «< inaffiato dentro dalle vene che 'l girano, fuori da' rivi e torrenti che lo scorrono; composto di terra, di varie specie di minerali; coperto e incoronato di erbe, di fiori, di piante, di arbori, di prati, di boschi, di fo

reste; nido di ogni sorta di animali; offrente ne' suoi seni contorni, baizi, picchi, creste, dossi, dirupi, ogni sorta di forme; spesso avente un lago su la vetta, il fuoco nelle viscere, incappellato di nevi e di ghiacciai (Protol. vol. II, saggio IV, Mondo).

Né meno luminosa è la immagine del Monte, vestito di forma, biblica; dappoiché, a cominciar dall' Eden, questo non poteva che essere un altopiano, se di là scaturivano quattro fiumi, che per diverse gronde scorrevano per quattro plaghe diverse. L'arca noetica, galleggiante su le rovine d'un mondo naufragato, andò a posare su la cima del monte Ararat in Armenia, dalle cui giogaie scesero di nuovo gli uomini a ripopolare la terra. La pira, su di cui doveva esser sagrificato Isacco per mano di Abramo, fumo invece delle carni di un ariete su la sommità del monte Moria; e Giacobbe, omai reduce alle natie capanne, ebbe tutta una notte a lottare con un angelo sul monte Galaad. Il luogo, ove la prima volta Moise udi una voce, che gli comandava di andare in Egitto a salvare il suo popolo dalla schiavitù de' Faraoni, fu tra 'I crepitar delle fiamme, in un roveto del monte Oreb; e il luogo, ove Iddio gli affidava, scolpita in pietra, la legge delle dodici tavole, fu, tra 'l guizzo de'lampi e lo scrosciar de'tuoni, il monte Sinai. Salomone invitava la Sunamitide a scendere tra gl' incensi e gli aromi del monte Libano; e questo è ancora il monte de' Cedri, tra'cui vetusti tronchi par si aggirino tuttora le ombre de'profeti. E Cristo sopra un monte si trasfigurava '(il Taborre), sopra un altro monte orava al padre (l'Oliveto), e sopra un terzo moriva (il Golgota). Il monte perciò, nel linguaggio scritturale (di cui Dante pur tanto si piacque), passò ad esprimere tutto che sa di eccelso e di divino; e per converso la valle o la pianura, tutto che sa di basso e di umano. Onde la Torre babelica, opera di uomo, sorge ne'vasti campi di Sennaar; e Gerusalem me, la città del Sunto, posa le sue fondamenta su'monti eccelsi, cui perciò Davide levava gli occhi speranzosi, dappoichè giusta il vaticinio d'Isaia) aveva indi ad uscirne il supremo Legislatore delle genti, con in mano il codice della legge rinnovata, l' Evangelio.

E questi, nella pienezza de'tempi, venne; il Cristo, che divise i tempi, e si assise in mezzo a loro, arbitro della vita e della morte !

Cosi considerata, Gerusalemme, nell'ordine provvidenziale, è la città cosmica davvero, la città dove si sono svolti e maturati i destini della umanità. Laonde il meridiano di Dante è appunto quello di Gerusalemme, il quale dall'occhio onniveggente di Dio cade a perpendicolo sul Calvario, altare immenso di sagrifizio e di amore. Ma Gerusalemme, la città della ierocrazia mosaica, irremovibile nelle tradizioni del passato, in cui era rimasta come pietrificata, era caduta al lampo della spada di Tito Vespasiano, disfatta dal valore delle armi italiane, siccome era profezia di Balaam: Venient in triremibus de Italia, superabunt Assyrios, vastabunique Hebraeos, et ad extremum etiam ipsi peribunt (Num. XXIV, 24). Riedificata indi a poco ed a breve distanza per opera di Adriano col nome di Ailia capitolina, essa, rovesciati gli altari dell' Ebraismo, avea veduto su que' sfasciumi inalberarsi la Croce, ed a questa, nel teatro di fortunose vicende,

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