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di buon esito che a tale atto sarebbero associate? Ed unanimi quelle Presidenze lo approvarono, anco perchè hanno creduto nessuna sicurezza potersi avere maggiore che nel nuovo e vero modello: e perchè consapevoli che un gran nome, cui ora si ricorresse, non sempre è garanzia d'opera veramente egregia. Le Gallerie degli Uffizi in Firenze, e più che tutto Torino e Milano negli ultimi monumenti che vi si eressero, ce ne offrono prove anche troppe.

Dio che tante volte sorrise d' uno sguardo benigno agli artisti d'Italia; che volle l'arti vi avessero la culla ed i trionfi più splendidi, trasfonda ora Iddio un lampo del suo spirito creatore nell'animo del giovane nostro artista; egli che tanta parte ne trasfuse nel grande Allighieri, e noi tutti avremo bene meritato della patria!

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Mentre lo scultore Enrico Pazzi sta conducendo in marmo la statua dell' Allighieri, mentre da tutte le parti d'Italia giungono soscrizioni per onorare la memoria del più grande degl' Italiani che furono ; parmi cosa non affatto fuori di proposito di discorrere alquanto del luogo più appropriato a inalzarvi il colossale monumento, nè disdičevole la mia opinione in forma di lettera, indirizzata alla SV. illustrissima siccome presidente meritissimo del Comitato Dantesco.

Fino da quando il Municipio deliberò che il monumento si dovesse inalzare sulla Piazza Vecchia di Santa Maria Novella, io non feci buon viso a quel voto; e per la irregolarità del sito, che male si adatta all'uso a cui vorrebbesi destinare; e perchè parmi indegno per la memoria di lui che vuolsi ono

rare, il porne la statua nel luogo medesimo in cui in tempi meno felici, si alzava il patibolo pei malfattori e perchè ancora, mi sia lecito il dirlo, sembrommi che fosse rimpicciolire di troppo la grande idea che abbiamo del divino Poeta ravvicinandolo al teatro di Stenterello. Il perchè io fui allora d'avviso che la colossale statua avrebbe potuto meglio collocarsi in fondo alla gran loggia degli Uffizi, affinchè colui che sopra gli altri com'aquila vola avesse il principal posto di onore tra gl' illustri toscani che ad essa fan corona; ma dovei ricredermi da questa opinione per le osservazioni che molti artisti mi fecero circa la impossibilità di collocare una statua di marmo in un luogo che non ha, se non a lunga distanza, una parete che possa servirle di fondo.

Sicchè ripensando alle varie località che ha la nostra Firenze, restai convinto fino da quel giorno, che niuna sia più dicevole a quest'effetto della Piazza di Santa Croce.

Ricordino i Fiorentini che essi fanno a Dante un monumento d' espiazione per l'ingiusto esilio a cui lo dannarono i loro padri; e che per conseguente, se fu grande la colpa, conviene del pari che grande sia la tarda ammenda che ora vuolsene fare. Santa Croce è il tempio delle glorie italiane, e l'Allighieri vi ha pure il suo monumento: ma questo non deve impedire che possa averne un altro al difuori di quelle mura auguste; e sono puerili le ragioni che si possono addurre per contradirmi. Dante fu l'iniziatore della civiltà italiana; fu immenso in tutto: giusto è pertanto che egli apra la serie dei grandi uomini che vennero dopo di lui, e che primo di tutti s'incontri il suo simulacro, perciocchè molti di quelli che vennero dopo, forse non sarebbero stati quali essi furono, se egli non avesse mostrata loro la via della gloria. Dante fu del pari l'iniziatore dell' idea magnanima dell'unità della patria; e parmi conveniente anche per questo rispetto, che si ammiri la sua immagine prima di accedere al tempio, nell' atto di ridestare il sopito sentimento nazionale, gridando quei magnanimi versi coi quali rimpianse le sciagurate parti d'Italia che la fecero serva e di dolore ostello. Questo concetto ha poi la continua. zione e il compimento nell' interno della basilica, dove l'Italia vede ravvicinati sei secoli d'espiazione, coronata dal trionfo per la continuazione della grande idea nel Machiavelli e l'attuazione nel Cavour, a cui vuol giustizia che in quel Panteon di glorie nazionali s' inalzi un cenotafio degno di tanto uomo e di cotal benefizio.

Forse altri, per sostenere questa mia medesima idea, vi direbbero di porre l'Allighieri in quel luogo, perchè, prima che fuor di puerizia fosse, vesti per alcun tempo l'abito dei Minori nell'attiguo convento:

ma io, rigettando coi migliori critici questo racconto, che nulla ha del verosimile, non voglio tacere della molta venerazione ch' ebbe Dante al Poverello d'Assisi, per indurne probabile congettura delle frequenti sue visite a quel tempio che i suo figliuoli in Cristo andavano costruendo, e facevano così grandioso per la munificente pietà dei nostri maggiori.

È pnr cosa da avere in qualche conto, che in quella chiesa, ma in luogo a noi ignoto, riposano le stanche ossa del Conte Ugolino, dei figliuoli, dei nipoti, fatti immortali dal poeta con versi di uno dei più sublimi Canti della Divina Commedia; av vegnachè quelle ceneri deposte già nel chiostro di San Francesco di Pisa, fossero poi da un guardiano di quel convento fatte portare a Santa Croce di Firenze, forse non sembrandogli conveniente che giacessero in terra ghibellina, e tra quelia gente che contro quegli infelici era stata così crudele.

Un'altra considerazione, che non debbe trascurarsi nel cercare il luogo conveniente a collocarvi tale monumento, si è di sceglierlo, per quanto è possibile, nella Firenze antica, quale era ai tempi nei quali l'Allighieri vi faceva dimora. Percorrendo ora col pensiero la città di quel tempo, io non so trovar luogo adattato allo scopo che andiamo cercando: ed è questa una ragione di più che mi fa preponderare per la piazza che ho già indicato; perciocchè, sebbene situata fuori di Firenze, trovasi subito appena usciti da porta all' Olmo e da quella che nomavasi da quei della Pera; piazza che assai prima dell'esilio di Dante erasi decretato dover comprendere nel nuovo cerchio delle mura, e che vi fu inclusa pochissimi anni dipoi la sua morte.

Molte altre considerazioni potrei aggiungere a queste che sono principali se non temessi di troppo diffondermi; ma ove occorra potrò esporle a tempo più opportuno.

Col desiderio frattanto di aver soddisfatto al debito di cittadino e di umile veneratore del gran Poeta, mi pregio di segnarmi

Di Lei, meritissimo signor Presidente,

Da Torino, ai 13 marzo 1864

Devotissimo LUIGI PASSERINI.

Ci è pervenuta la lettera seguente.

Onorevole Signor Direttore.

Tosto che si ebbe certezza della solennità, onde cotesta benedetta Firenze si apprestava a ricordare nel Maggio del futuro anno il Sesto Centenario del nascimento di Dante, ne nacque il pensiero di festeggiare ancor quà il giorno in che vide la luce l'univer

sale civilizzatore. Oh se quello fosse di sacrato da tutte le città, paesi e villaggi d'Italia, quanto si paleserebbero degni di Dante! Giacchè penso, che Italia sarà davvero la nazione de'grandi pensieri, conscia del suo progresso, beneficio dell'umanità, solo allora che squarciato l'arcano dell' idea di Dante, in questa scorga l'unità nazionale; pensiero unico, incessante, prepotente della vita travagliata della vittima della discordia italiana.

Non le potrei oggi tracciare il programma, che in quel dì sarà per seguire la Commissione Centese, formata dai Signori dott. Cesare Carpeggiani, dottor Antonio Mangilli, prof. Alessandro Rusconi, Cammillo Pezzoli, e dal sottoscritto. Le dirò solamente che la effigie di Dante sarà sculta dall'esimio nostro concittadino Stefano Galletti, le cui opere ella e Italia videro ed ammirarono nel Palazzo della prima Esposizione Italiana del 1861.

Con tutta la considerazione,
Cento, 19 Marzo 1864

Dev. Servo Dott. DIDACO FACCHINI.

In altre città italiane è nato il bel progetto di costituire Commissioni che fin d'ora si occupino di un programma di feste per il 1865; unico modo perchè la solennità abbia come deve, carattere nazionale. A quegli egregi però che vorrebbero che la Commissione fiorentina nominasse delle sotto-Commissioni in ogni città rispondiamo che non ci par buono; primo perchè il programma di Firenze, centro della festa, non potrebbe eseguirsi dappertutto, e poi perchè ogni città, restando libera di solennizzare a piacer suo il grand' anniversario si avranno più spontanee e più svariate manifestazioni, e resterà sempre intatta la grande unità del concetto. Che tutte le città imitino come credono meglio l'esempio di Cento, e la preparazione al Centenario precederà fin d'ora in maniera degna della nazione.

Studi Danteschi

G. C.

Al Sig. Direttore del Giornale del Centenario di Dante Allighieri.

Preg.ma Signore,

Gli eredi della Donna gentile, quando io ebbi dato alle stampe il Carme di Ugo Foscolo Le Grazie, affine di mostrarmi la loro gratitudine per le cure da me impiegate intorno a quella pubblicazione, affidatami già da quella egregia signora, vollero cortesemente donarmi la Divina Commedia (edizione di Livorno 1807,

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Questa data fa conoscere chiaramente che egli intraprese questa fatica pochi mesi prima di partire per sempre dalla Toscana, e ciò ne rende ragione dello scarso numero di note che allora egli potè apporre al Poema, giacchè esse cominciando al Canto XVI dell' Inferno, non procedono oltre il XXXI. Per la maggior parte sono correzioni del testo adottato dalla Crusca e ristampato dal Poggiali; e fra queste, alcune di lieve momento, perchè unicamente volte a rigettare parecchi fiorentinismi pretti, cui gli antichi accademici prediligevano ed il Foscolo teneva in non cale; mentre, come più tardi prese a fare in Inghilterra, egli voleva che finalmente si avesse un testo della Divina Commedia, il quale fosse non fiorentino, ma italiano. Altre però sono di maggior rilievo, come quelle che propongono emendamenti di filologia, o di storia, o di maggior poetica eleganza; e vi hanno per ultimo alcune postille declarative e illustrative del testo dantesco. Tutto ciò è inedito; ed avendomi ella, Sig. Direttore, mostrato di desiderare che ne vada adorno il suo Periodico, vi acconsento volentieri, quantunque creda che questo tenue saggio non sia per accrescere la fama letteraria del Foscolo, perchè, come ho detto, è lavoro breve e sfuggevole, ancorchè in più d'un tratto riveli la mano maestra. Tuttavia non sarà senza interesse, io penso, il vedere dopo oltre mezzo secolo, come in mezzo ai formidabili eventi onde allora, e non invano, era minacciata la patria comune, questo ardentissimo fra gl' Italiani, sebbene il male. lo premesse e lo spaventasse il peggio, tenesse volto l'animo alla emendazione del gran Poema iniziatore del nostro nazionale risorgimento.

Mi creda sempre Di casa, 19 febbrajo 1864

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Spesse fiate m' intruonan gli orecchi. Foscolo. Spessamente m'intronano gli orecchi. V. 94, 95. Poggiali.

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V. 1. Poggiali.

Suo Devotissimo F. S. ORLANDINI.

Inferno, CANTO XVI.

Già era in loco, ove s'udia 'l rimbombo. Foscolo.

Già era in loco, onde s'udia 'l rimbombo.

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V. 71. Poggiali.

E volti a destra sopra la sua scheggia. Foscolo.

E volti a destra su per la sua scheggia. CANTO XIX.

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(10) Postilla del Foscolo.

E son pur tirato pe'capelli fuori del mio proponimento di lasciar altri nel suo parere; ma chi non riderebbe, sapendo che il Venturi ( gesuita, com'a Dio piacque per la rovina della nostra letteratura) ha chiosato che Diomede ed Ulisse, come dotti Greci ed allari, avrebbero forse sdegnato di rispondere a Dante? meraviglia che non abbia chiamato que'due dolli e accademici, sebbene non pare da Omero che i Greci d'allora sapessero leggere: nondimeno avrebbero potuto sedere nelle nostre accademie. Altri rida del Venturi; io me ne sdegno. Il suo commento, per beneficio de' gesuiti che lo raccomandarono, è divenuto oggimai quasi l'unico testo de' giovani e delle scuole ove leggesi Dante.

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