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ziosissimi non solo per l'età ma sì bene per Varianti si trova qua e là nelle pagine, toglie che questo

e per unite antiche Rime. Si dica prima di quello, che per avventura è il più antico (*).

Questo Codice membranaceo si compone di pagine 472. Le iniziali di ciascun canto sono a lavori miniati sino al quattordicesimo del Purgatorio, ove lasciano ogni lavoro a varietà di colorito per divenire semplici e rosse. Vuolsi eccettuare però la iniziale del primo canto del Paradiso, la quale è messa ad arabeschi come le due delle altre due Cantiche.

Al termine dell' Inferno si legge: « De suo betinus de pilis scripsit in usu q. Kl. ianuari anno domini 4369 ». La prima cantica adunque fu scritta quarantotto anni dalla morte di Dante. Il carattere del Codice appare opera di mani diverse (e il cambiamento accade al ternario decimonono del XXIII del Paradiso), ha dinanzi a ogni canto succinti Argomenti scritti in color rosso, e sarebbe molto bene conservato se infine non mancasse di due carte: è scemo però de' quarantadue ultimi ternari dell'ultimo canto del Paradiso. Il carattere tiene al gotico.

L'altro Codice è pure scritto in pergamena, ma in un 16.o alquanto più piccolo. Il carattere men bello del precedente, le ragioni ortografiche, e talune citazioni marginali fan dubitare, che codesto Codice sia meno antico dell' altro, e quindi più prossimo al secolo XV.

Conta esso Codice pagine 248, ma la Divina Commedia non ne occupa che 225, sendo tenute le altre 23 dalle Rime antiche. Sovrapposto a ogni canto. è l'argomento scritto latinamente con tinta rossa. L'iniziale di cadauna delle tre Cantiche è a minio ed oro, e le iniziali degli altri Canti sono ora rosse ora azzurre, alternativamente. Talun foro e taglio, che

(*) Vi fu chi disse, che tra le varianti di questo Codice vi aveva quella dataci nel suo Quaresimale dal Padre Paolo Fiorentino (edizione di Milano 1479), cioè: « Che sugger dette a Nino e fu sua sposa » invece di a Che succedette a Nino e fu sua sposa ». Noi per la verità dobbiam qui dichiarare sapere con sicurezza che, quantunque il codice contenga varianti d'importanza, non ha questa, la quale piaceva tanto all'eruditissimo Strocchi e al Conte Marchetti. (Nota della Dir.)

Codice si possa dire di conservazione affatto buona.

Le Rime antiche poste da ultimo sono assai importanti. Dopo un Sonetto e una Canzone all' Alighieri vi si leggono inneggiate in altri sessantuno Sonetti, al pari del primo, col ritornello, o coda, le solennità e feste di Gesù Cristo e le feste della Vergine; inneggiati S. Michele Arcangelo, la Natività di S. Giovanni Battista, gli Apostoli, i quattro Evangelisti, i quattro Dottori latini, alcuni Capi d'Ordine e Santi e Sante Martiri; ed è a chiusa una Canzone, in cui l'Assunzione della Vergine è ricantata.

Piacemi di qui recitare ridotto a miglior lezione il Sonetto, che (consideratosi Dante quasi un santo) sta a capo di queste Rime di tema sacro, e ci è dato dal Crescimbeni ne' Commentari della Storia della volgar poesia, qual componimento di Mucchio da Lucca della famiglia de' Fatinelli, rimatore vissuto nel secolo XIV:

O Spirito gentile o vero dante

a noi mortali il frutto della vita
dandolo a te l'alta bontà infinita

⚫ sicome a congruo e degno mediante,
O verissimo in carne contemplante.
di quella gloria là dove sortita

é l'anima tua santa oggi partita
dalla miseria della tomba (sic) errante,
A te, il quale io credo fermamente,

rispetto alla tua fede e gran virtute,
esser a pie dell' alto onnipotente,
Mi raccomando, e per la mia salute
priego, che prieghi l'alta maestate,
ch'è uno in tre e tre in unitate,
della cui eternitate.

E del cui regno si bene scrivesti
quanto dimostran tuoi sacrati testi.

Se Giovanni Battista Bisso avesse veduto un tal Sonetto, non avrebbe esso forse scritto nella cognitissima sua << Introduzione alla volgar poesia >> che questa spezie di sonetti con una o più code non si usa che in materie familiari e da scherzo.

Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa.

Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Università di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca nel loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8.° con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti .. it. L. 45, 00 - Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8.° massimo di carta imperiale con margini allargati (ediz. di 75 esempl.). » 75, 00

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

I SI

Per risparmio di spese, i signori Associati che domandano ricevuta del fatto pagamento, sono pregati a ritenere come tale quella del vaglia postale spedito; avendo la Direzione delle Poste deciso che le ricevute stampate e riempiute a mano siano considerate come lettere.

La pubblicazione del giornaletto popolare La Festa di Dante annunziata per il 3 Aprile ha dovuto protrarsi alla Domenica 1.° Maggio successivo.

I signori Associati sono pregati a spedire con sollecitudine il prezzo dell'associazione.

G. CORSINI Direttore-Gerente.

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.o 5.

pezzi di Dante, non sarebbe meglio scegliere queiii che più toccano il suo concetto politico? Se si volessero scegliere i più belli ci accadrebbe come all'Alfieri, che messosi nell'idea di trascriverli si accorse che bisognava copiare tutto il Poema! Ora se qualcuno di quelli si volesse mettere in musica per la gran festa, ben si troverebbe chi ne assumesse la recitazione innanzi alla musica perchè la musica sortisse maggiore effetto. Il Modena non si può evocare dalla tomba, ma vi è Rossi, vi è Salvini, e anche fuori del teatro, non mancano persone che saprebbero certamente ben rispondere allo scopo.

PARTE NON OFFICIALE

Proposte

PER LA CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DI DANTE

(Frammento di una lettera ).

Ho letto nel N.o 1 di questo Giornale le bellissime indicazioni date dall'illustre Tommaseo per musicare nei dì della festa i più bei pezzi di Dante. Ma perchè tutto sia in relazione del programma del giornale e del fine del nuovo monumento, invece dei più bei

Egregio sig. Direttore.

In relazione alla proposta che fu fatta di far cantare per la festa di Dante i passi del divino poema, che meglio vi si prestano, musicati da insigni maestri, non so se sia necessario, ma non sarà forse inopportuno, il ricordare che l'Italia ha il Conte Ugolino musicato egregiamente da Donizzetti.

Quantunque Dante sia più alto di tutti i sommi italiani, credo nondimeno che non sia per isdegnare

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Quando signoreggiavano in Firenze i Guelfi Neri, quando, giusta Matteo Villani, vi si proclamava parte guelfa esser rocca ferma e stabile della libertà d'Italia, contraria a lutte le tirannie per modo che, se alcuno divenisse tiranno, conveniva che per forza divenisse ghibellino, la repubblica fiorentina, con decreto del 12 agosto 1373, (con cento ottanta sei voti favorevoli, non ostante diciannove in contrario) erigeva una cattedra dalla quale la Divina Commedia, a documento del buon vivere, fosse pubblicamente spiegata. « Pro parte quam plurium civium civitatis Florentiae, desiderantium tam pro se ipsis, quam etiam pro eorum posteris et descendentibus instrui in libro Dantis, ex quo tam in fuga vitiorum quam in acquisitione virtutum, quam in ornatu eloquentiae, possunt etiam non gramatici informari, reverenter supplicant vobis dominis prioribus ut dignemini opportune providere et facere solemniter reformari possitis eligere unum valentem et sapientem virum in hujusmodi poesiae scientia bene doctum pro eo tempore quo voletis non majore unius anni, ad legendum librun qui vulgariter appellatur el Dante, in civitate Flor. omnibus audire volentibus, continuatis diebus non feriatis, et per continuas lectiones, ut in similibus fieri solet >> (Prov., filz. 62).

Erano ancor vivi gli amici e gl'inimici di Dante, scrive il Perticari, e i Bianchi e i Neri, e i figli e i nepoti dei lodati e dei vituperati si assidevano a quella lettura, e forse avevano al fianco le armi tinte di sangue non ancora placato. I Savi, che di quei giorni governavano Firenze, con pubblica provvisione del 25 agosto, elessero Giovanni Boccaccio, pubblico oratore, e gli fermarono lo stipendio di fiorini cento, affinchè rinnovasse quei rabuffi di Dante, e seguisse la coraggiosa opera già cominciata da quel fortissimo, di ajutare cioè la repub

blica a sanarsi dei mali che l'avevano quasi morta. Del quale stanziamento ne venne a un tempo una gran difesa al nome dell'Alighieri, e un argomento meraviglioso della fiorentina sapienza, che anche in questo si fece simile alla sapienza ateniese. Uscì dunque il Boccaccio dalla sua solitudine, in che viveva travagliato dall' indigenza e da lunga infermità, e si accinse alla santa ed onorevole impresa. A' 23 ottobre del 1373, nella chiesa di S. Stefano, oggi della Vergine, presso il Ponte Vecchio, cominciò egli la sua prima lettura. Confortavasi che potesse spendere gli ultimi suoi anni nel propagare la religione del sommo degl' Italiani. E non ostante lo scoramento continuo ond' era abbattuto, e la vacillante salute che gli rendeva incresciosa la vita, ebbe forza di scrivere le sue lezioni, ma non vi durò che soli due anni, cioè fino al 1375, in che morte lo colse, e non potè giungere col suo comento che fino al XVIII canto dell' Inferno.

II.

Antonio Pievano di Vado succedeva nel 1384 al Boccaccio, come ci è chiaro da un sonetto di Franco Sacchetti a lui indirizzato. Indi sottentrò Filippo Villani che il Mehus, vuole incominciasse l'interpretazione di Dante nel 1394, coll'emolumento di 150 fiorini. Il Salvini e lo Strozzi vogliono invece che ciò avvenisse solo a' 48 ottobre del 1404, e che per una provvisione del 1404 fosse quel valentuomo riconfermato per cinque anni nella cattedra dantesca. Lo Strozzi poi ritiene che pel primo anno gli fossero assegnati 80 fiorini d'oro, e 50 per gli anni appresso. Il chiarissimo P. Ponta nel 1847 rinveniva nel codice LVII, 253 della biblioteca Ghigiana a Roma, il comento latino del Villani, in cui chiosando il proemiale canto dell' Inferno più volte ricorda l' Epistola di Dante a Gan Grande, come un'introduzione che il poeta avesse voluto premettere alle sue cantiche, e specialmente a quella del Paradiso. Lo che valse al Giuliani per vieppiù stabilire e propugnare l'autenticità di quell'importantissimo documento.

Successore al Villani fu il ravennate Giovanni Malpaghinis che professava prima lettere belle nello Studio fiorentino. Con altre provvisioni del 1412 e del 10 giugno 1419 fu raffermato a leggere pubblicamente la divina Commedia ne' giorni festivi. - Da vari libri dell' archivio delle Riformagioni è manifesto che nel 1417, 1421, 1423, 1424 un Giovanni Gherardo da Prato interpretasse la trilogia dantesca, e nel 1423 le Canzoni morali dello stesso poeta. Un'annotazione posta sul codice 1036 della Riccardiana proverebbe che un P. Antonio dei Minori sponesse nel 1430 la poetica enciclopedia del fiorentino in

S. Maria del Fiore, e che anzi, secondo il prezioso documento rinvenuto dal dott. Gaye, vi avesse fatto dipingere per Domenico da Michelino quella tavola che tuttavia si ammira, con entrovi il poeta coronato di alloro che si presenta col divino poema a Firenze. Certo è però che ivi la sponesse Francesco Filelfo da Tolentino nel 1431 e 1432 che di Bologna erasi tramutato all' università di Firenze, accoltovi con sommo plauso, avendo ogni di sopra quattrocento discepoli ad ascoltarlo. Di che la repubblica riconoscente dichiaravalo concittadino del gran poeta. - Anche i Domenicani, scrive l'egregio P. Marchese, si diedero a promovere le dottrine dantesche dischiudendo al popolo quel tesoro d'ogni sapienza e di ogni eleganza collo sporre e dichiarare in S. Maria del Fiore la divina Commedia, tra' quali specialmente va ricordato il P. Domenico di Giovanni da Corilla che successe al Filelfo nell' onorevolissimo ufficio. Seguono poi Lorenzo di Giovanni da Pisa, canonico di S. Lorenzo nel 1431 e nel 1435; Antonio da Castello di S. Niccolò, casentinese, pubblico interprete nella chiesa del B. Fiorenzo nel 1432; Antonio da Arezzo nel 1432-33; Cristoforo Landino nel 1457, che poi dava alla luce il suo comento nel 1481. E ci narra Marsilio Ficino, come Firenze, non appena pubblicavasi questo dotto lavoro del Landino, ne ebbe tanta cagione di gioja, quanta ne avrebbe potuto avere se Dante medesimo tornando in umane spoglie fosse stato restituito alla patria e coronato d' alloro.

III.

dell'Accademia, tuttavia invendicata dall' ingiurie lanciatele dal Vellutello. Dinanzi dunque il fiore della sapienza fiorentina raccolto in essa accademia, dovea entrare egli in giudice di questione si ardua. Volendo pertanto far sua la materia, riprese la questione da alto, e con le nozioni scientifiche che potevano essere nella mente di Dante, rifacendo le induzioni e i calcoli sui quali si era fondato il Manetti, non dissimulò le prove in contrario addotte dal Vellutello, e dopo averle convinte di falsità dimostrò come l'opinione del Manetti fosse in tutto conforme all'idea concepita da Dante. Queste due lezioni fruttarono al giovine geometra la cattedra di Pisa che gli fu data l'anno appresso.- Anche Benedetto Buonmattei nel 1632 (17 e 24 gen., 3 e 11 marzo) rese illustre la cattedra dantesca fiorentina, che si tacque nel 1780 colla morte di Bartolommeo del Teglia.

Istituitasi l'Accademia fiorentina per Cosimo I, si tennero lezioni dagli accademici sulle immortali cantiche nello Studio fiorentino, talvolta in un salone del palazzo Vecchio, ed anche in palazzo Medici, in Via Larga. Benedetto Varchi vi lesse più volte nel suo consolato (1545); G. B. Gelli in quelli del Guidi, del Borghini, del Landi (1543 e seg.); oltre al Giambulari ed a parecchi altri. Venuto poi per la seconda volta al consolato Baccio Valori (1587), uno de' più teneri della memoria di Dante, si adoperò gagliardamente per tornarvi in amore lo studio dell'Allighieri, e i lettori di quell'anno, come subietto principale, presero ad isvolgere ed illustrare il divino poema. Il primo a leggervi fu Jacopo Mazzoni, illustre filosofo e letterato romagnolo, l'amico e il maestro più caro che avesse il Galileo, e già notissimo pel suo discorso che nel 1573 avea pubblicato in difesa del sovrano poeta. Rincuorato dal maestro suo, giovine a ventiquattro anni, il Galileo, la più gran mente che abbia onorato l'Italia nella scienza, creatore della vera fisica e della meccanica, discese nell' onorevole palestra, difensore del Manetti e

il

IV.

Se non che gl'ingegni, al dire dell' egregio abate Finazzi, erano da per tutto fortemente percossi alla nuova luce e al nuovo sole che facea sorgere quel sommo, che nel sacro poema avea tolto a cantare giorni non nati. Dante traeva a sè gli animi di tutti i suoi contemporanei, che riguardavano in lui non solo il poeta, ma pure il filosofo ed il teologo del suo secolo, e riputavano doversi volgere gli studi alla sua Commedia, come alla somma letteraria, filosofica e teologica di tutto il medio evo. Onde non solo nella sua patria, ma nelle città più cospicue d'Italia sorgevano a questo apposite cattedre, e solenni maestri si deputavano a schiudere i germi della profonda dottrina, che ben credevano ascondersi sotto il velame dei versi del divino poema. Francesco di Bartolo da Buti (1375 a 1394) chiosavalo a Pisa; nel qual magistero ebbe a degno successore il Buonmattei (1634, 1637). Il Rambaldi (1375) sponeva Dante a Bologna e intitolava il suo Comento al Marchese Niccolò II d' Este; Filippo da Reggio (1399) interpretavalo a Piacenza, e più tardi. Gabriello Squario (Squarcione) veronese, a Venezia; e Marianno da Tortona a Milano (1).

(4) Anche in Ferrara nel 1459 leggevasi pubblicamente la Divina Commedia, come si ha dall' Esortazione allo studio del sacro poema, di autor anonimo, indirizzata a Borso d' Este I, Duca di Ferrara, Ferrariae, XIII, Kal. Majas MCCCCLVIII), e in cui efficamente il conforta a studiare e med tåre l'opera del poeta fiorentino, come quella in che troverà maestralmente trattata ogni disciplina e nobile scienza, secondo ch' egli prova per esempi continui. « Sono indutto, così egli, e commosso a persuadere alla tua celsitudine, provocando ella allo studio e meditazione del sacratissimo poema di Dante Alighieri fiorentino poeta, la cui gloriosa fama rendendomi certo esserti nota, ma curi esplicarla massimamente perchè ne' superiori giorni avendo

Nè a questo movimento degli studiosi erano straniere le corti dei principi e le aule dei potenti, in quella, tra le altre, de' Visconti, più che mai venerato suonava il nome del fiorentino poeta. Ivi fin dal 1350, Giovanni, arcivescovo e signor di Milano, chiamato dal Foscolo arcighibellino, cardinale di un antipapa (Sez. CLXXIX), raccoglieva a sè il fior dei dotti italiani, due teologi, due filosofi e due letterati, e forse tra questi il Petrarca, onde degnamentre interpretassero la Divina Commedia. Se è vero che il loro libro sia tuttavia da vedersi nella libreria Laurenziana, soggiunge il Foscolo, forse che n' uscirebbero dichiarazioni più libere d'allusioni toccate timidamente o trasandate dagl' interpreti destituiti di protettori. Ma forse anche paleserebbesi il pessimo dei comenti, quanto è fatale a' letterati, qualvolta seggano in concistoro, d'essere, chi più chi meno, codardi tutti, non per natura, ma perchè ove anche ciascuno fosse disposto a professare le proprie dottrine da martire, chi mai vorrebbe star a pericolo per le altrui? (Sez, CLXXIX).- E memore per avventura di questo nobile esempio, più tardi Filippo Maria, quantunque nella fortunosa sua vita poco agio avesse di poter coltivare e promuovere le lettere, nondimeno, considerando il profitto che si potea sperare dal tener vivi gli studi sulla Divina Commedia, volle che di leggerla e di spiegarla a pubblico beneficio si incaricasse il bergamasco Guiniforti Barziza (1450 circa).

Per infino i Padri del Concilio di Costanza occupavansi della lettura di Dante; e Giovanni di Seravalle, arcivescovo di Fermo, ad istanza di molti vescovi e cardinali, e segnatamente degli inglesi Niccolò Bubwich, vescovo di Bath, Roberto Halm vescovo di Salisburg, prese a scrivere un comentario latino sull'immortale poema.

V.

Nel secolo nostro non v'aveano più cattedre speciali della Divina Commedia, onde il Perticari gri

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noi pubblicamente letto in questa tua alma città di Ferrara, avendomi la tua signoria concesso il comento di Benvenuto da Imola sopra la prima parte dell' Inferno, mediante il favore del preclarissimo maestro Girolamo da Castello, tuo familiare fisico il perchè a tutto il popolo si è divulgato il divino ingegno e suttilissima invenzione. Quest'opera adunque, eccelso principe, potrà facilmente adempiere e quietare ogni tuo desiderio e volontà di sapere, perché ella è tanto e sì universale, che qualunque scienza è venuta a cognizione delle umane menti in essa si comprende.... Per la qual cosa supplico io alla tua celsitudine, illustrissimo principe, ti voglia degnare, adducendo io alla tua excellentia si gloriosa opera volere presenzialmente trovarsi a dare audita alle mie lezioni, quantunque io sia indegno che un tanto signore mi venga ascoltare.... » (Dal Codice Riccardiano, N. 2560. V. Fanfani, il Borghini, I, 144, a. 1863).

dava: Essere vergogna verissima dell'età presente non vi fosse scuola in Italia dove sieno esposte e predicate le opere del padre nostro (Giorn. Arcad. XV, p. 184) (1). – Ma se coloro che sortirono il freno delle belle contrade, credettero pericolosa o per lo meno inopportuna una cattedra speciale dantesca, non mancarono di tratto in tratto alcuni benemeriti, che, meditando come quelle pagine sacre contenessero a un tempo le memorie antiche del passato ed i responsi infallibili dell'avvenire, a renderle direi popolari, impresero pubblici corsi di lezioni nelle più cospicue città d'Italia. L'illustre professore Rosini sponeva Dante, specialmente negli anni 1841-42 e 43 nell'Ateneo pisano; il chiarissimo Centofanti nel 1844; il Ciardi di S. Croce nel 1845; C. Scartabelli in una sala terrena del villino Buggiani, in via Michelangelo nel 1857; il Casella a Firenze nel 1840, in Roma nel 1846, in Milano nel 1862; Cesare Malapica (1858) nel poliorama di Napoli; il P. Manera ed il Parravia nel liceo di Torino, il Critico napoletano prof. de Sanctis, nelle sale di S. Francesco, pure in Torino (1854-55), e poi con tanto grido nel politecnico di Zurigo; Dall' Ongaro con vivace ed ornata parola nel 1846-47 a Trieste, nel 1854 a Londra nelle sale del signor Milner Gibson, e 1859 nella sala dello Spettatore italiano a Firenze; il professor Ab. Pietro Canal (1856-59) con molto acume di senno e di critica nel seminario filologico di Padova (2). Onde il valentissimo prof. Paolo Emí

(4) Anche il Giordani sentiva il bisogno di questa cattedra dantesca, da lui altamente accarezzata. Ond'egli al marchese di Montrone, il 24 sett. 1806: « Un giorno parlando con Giusti egli disse: erano una volta cattedre per Dante; voglio dire ad Aldini che ne proponga una per Bologna, l'altra per Pavia: uno dei nominati potresti esser tux Come al nome Tisbe in sulla morte ec., così io a quel di Dante. Sai una sola scintilla che incendio mette nella mia imaginazione; la quale presto divampando, cominciai ad esporre un piano per questa cattedra, nuovo affatto affatto, grandissimo e luminosissimo. Cominciai dall'osservare che tutte le nazioni civili hanno un poeta che fa l'onore della nazione ma due soli hanno un poema che possa chiamarsi nazionale.... poemi di Omero e di Dante sono nazionali per la Grecia e per l'Italia.... la Divina Commedia è un tesoro di sapienza per noi. Poi concepii una prolusione a questa cattedra, di genere affatto nuovo e di effetto mirabile come d'inaspettata e sorprendente scena, e quindi imaginai cinque o sei discorsi, i quali andar porrebbero sino a trecento o più, non volendo io formare un comento come gli altri, ma tante dissertazioni, le quali potessero anche stare ciascuna da sè, e tutte insieme facessero un corpo magnifico e bene organizzato, essendo mio scopo di riprodurre il secolo di Dante, tal quale si presentava a quella divina fantasia: e alle occasioni poi far sentire quale utile trar si possa da quel poema e per raddrizzare le arti, e per destare il calor civile ». E il 4 dicembre 1807 scriveva allo stesso marchese di Montrone: « Se Aldini vuol proporre all'imperatore una cattedra di Dante, già sa Aldini ch'io sono sufficiente a questa ».

(2) E queste pubbliche letture su Dante e sulla Divina Commedia continuano applauditissime nelle città più cospicue d' Ita

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