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del documento, che fra' testimoni intervenuto fosse anche Dante.

Fatta breve allusione alla dimora di Dante in Padova pel nesso importante di essa col propostomi assunto, chieggo: quando poi fu Dante a Venezia ? Qui mi si parano dinanzi due responsi: l'uno di un grave storico, l'altro di un classico burlevole, ma che questa volta alcuni vogliono veritiero. Abbiamo infatti da Giovanni Villani (Libro IX) avere l'altissimo poeta visitato Venezia come ambasciatore di Guido Novello da Polenta Signore di Ravenna ed ultimo ospite suo, ed essere egli morto poco dopo il suo ritorno a Ravenna (1321) accorato, credono alcuni, pel fallito esito della legazione.

L'altra risposta è data da Anton-Francesco Doni, il quale mandò per le stampe una discortese lettera come scritta da Dante in Venezia nel Marzo 1314 a Novello da Polenta, lettera da molti critici già ripudiata come apocrifa, perchè non trovata per quanto ne sapevano in codice alcuno (1) e perciò ascritta ad invenzione del Doni noto pei ghiribizzi del suo strano intelletto (2). Sull'autenticità di quel documento gli ulteriori studi sull'epistolario di Dante non recarono ancora irrefragabili prove, ma solo dimostrarono il fatto, che non era questa volta imputabile al Doni invenzione alcuna, perchè esistevano copie manoscritte di quella lettera anche anteriormente alla. pubblicazione fattane da esso Doni (3).

(continua)

(4) Balbo, vita citata Lib. II, cap. XVI, pag. 421.

G.

VARIETÀ

DI UN'OPERA PER IL CENTENARIO DI Dante.

Manifesto.

Il Municipio di Firenze decretando che nel 1865 si celebrasse solennemente il sesto secolare anniversario della nascita di Dante Allighieri, recava ad atto un desiderio non solamente del popolo fiorentino ma sì bene d'Italia tutta. E tutti dall'uno all'altro capo della penisola salutarono con gioia il decreto, che, ordinando solenni onoranze al Divino Poeta, dimostra l'Italia viepiù degna di Lui. In tutti allora il desiderio di partecipare, come meglio per ciascun si potesse, all'opera sacra dal Municipio iniziata. E a noi venne tosto in mente che bello sarebbe stato pubblicare in quel giorno un volume, che, raccogliendo i nomi e gli scritti d'illustri italiani, porgesse per così dire il tributo del secolo XIX al Poeta di tutti i secoli, e fosse come un monumento d'ingegno, a Lui in quella occasione votato. Era pertanto mestieri formare un libro non indegno del nome di Daute, e che uscisse fuori dal comune di quelle raccolte di prose e versi, di che fu già troppo feconda l'Italia. Il perchè nel compor questo libro ci parve che si dovesse principalmente guardare a scegliere argomenti che sebbene svolti da diversi scrittori, fossero collegati insieme da un solo concetto, e come un ordinato e pieno esplicamento di quello. Ed il concetto ci parve dovere essere d'illustrare così Dante

(2) Maffei, Storia della Letterat. ital. Firenze, Le Mon- ed il suo secolo, che se ne vedesse ad uno sguardo nier, 1853. Vol. 1, Lib. III, cap. X, pag. 421.

(3) Infatti delle undici lettere di Dante, fino a noi pervenute, appunto questa sola a Guido da Polenta non leggesi che in una antica versione italiana, mentre delle altre dieci si possiede l'originale dettato in latino. Così il Fraticelli a pag. 106 del Vol. III delle Opere minori di Dante, Firenze, Barbera, 1861-62. Lo stesso Fraticelli, ivi a pag. 478 librando le ragioni delle due parti contendenti per l'autenticità non dice « Io non affermerò che la lettera appartenga indubbiamente al nostro Allighieri », benchè poi risguardi preponderanti le ragioni dei propugnatori dell'autenticità.

a

La questione non fu e probabilmente non sarà mai compiutamente risolta. Per altro non so comprendere come Dante potesse risguardarsi tanto ostile a' Veneziani, che ebbero promiscua con lui l'avversione a Papa Clemente V di cui sostennero un terribilissimo interdetto, l'avversione ai Genovesi con cui avevano da qualche secolo cominciato la fierissima lotta, l'ossequio ad Arrigo di Lucemburgo imperatore, cui fecero facoltà d'assoldar gente, perfino in Venezia che non furono mai dal poeta nominati con biasimo nella Divina Commedia, e soprattutto che non discendevano punto da progenitori Dalmati o Greci, cosa che è impossibile ritener creduta dall'Allighieri, eppure si trova scritta nella lettera in questione..

come il secolo facesse Dante, e Dante riuscisse ad essere vate ed auspice dei secoli avvenire per l'Italia, diffondendo tal lume d'ingegno da splendere al mondo intero, ed esser gloria perenne del genere umano. Ardua e quasi impossibile impresa ci dovette a prima vista sembrare il recare ad effetto il nostro disegno, perchè malagevole cosa rispondere al desiderio ed all'indole di ciascuno scrittore, e perchè anco non agevole unire al nostro disegno dalle diverse Occorreva a fare parti d'Italia gli scrittori, come opera veramente italiana, e che fosse come un nuovo e devoto studio degli italici intelletti intorno a Lui che al pensiero italico dette fondo e misura.

Pure non ne smetteumo il pensiero, e ne andammo per consiglio da dotti ed autorevoli uomini, i quali ci confortarono all'impresa. E rinfrancati da loro, demmo opera a promuovere ed apprestare scritti, che tutti rivolti a discorrere di Dante e del suo tempo, formassero come un commento alle opere di Lui, senza riescire a quelle minute ed aride annotazioni de'chiosatori, e mettessero per larga via ed a gran tratti

nello intendimento de'concetti di Lui e nel sentimento di quell'animo magno.

E vane non tornarono le nostre cure, tanto che oggi siamo lieti di potere annunziare che molti illustri scrittori d'Italia hanno consentito di dedicare il loro ingegno a quest'opera di solenne riverenza al Divino Poeta. Davanti a Lui non vi sono fazioni, nè divisioni di parte; non vi ha che l'Italia, che è in Lui esemplata, e che vorrà sempre specchiarsi in Lui, a ricomporre le sue membra e pigliarne abito degno: l'Italia che tutti riunisce nel suo splendido nome. E così tutti concordi all'opera, noi possiamo oggimai dare il disegno del libro, indicando nel loro ordine gli speciali argomenti che vi saranno discorsi, nome degli autori che hanno preso a trattarli.

Prefazione.

Epigrafe di Luigi Muzzi.

L'Europa dal 1250 al 1350, Cesare Cantù.

col

Lo stato politico dell'Italia nel secolo di Dante, Giuseppe Canestrini.

Lo stato economico d'Italia, Luigi Cibrario.

Delle condizioni della Città e della Repubblica di Firenze nell' età di Dante, Gino Capponi.

Ordinamento economico di Firenze, Giuseppe Canestrini.
Costituzione di Firenze, Giunio Carbone.
Famiglia Allighieri, Luigi Passerini.

La Religione e la Pietà di Dante, Mauro Ricci D. S. P.
La Teologia di Dante, Pagano Paganini.

La Filosofia di Dante, Augusto Conti.

Le Dottrine Politiche di Dante, Terenzio Mamiani Della Rovere.

La Civiltà e la Poesia nella Divina Commedia, Silvestro Centofanti.

Allegoria di Beatrice, Giuseppe Puccianti.

Il Veltro, Niccolò Tommaseo.

Le tre Belve, Giacinto Casella.

Gli Angeli, Padre Vincenzo Marchese.

I Dannati, Francesco Domenico Guerrazzi.

Beatrice e le altre Donne nominate nel Poema, Giulia Molino Colombini.

Gentucca e gli altri Lucchesi nominati nel Poema, Carlo
Minutoli.

La Famiglia nel secolo di Dante, Enrico Mayer.
I Ghibellini nel secolo di Dante, Pasquale Villari.
Gli Ordini monastici nel secolo di Dante, Abbate Luigi

Tosti.

Accenni del Poema alle Dottrine astronomiche, Giovanni Antonelli D. S. P.

Accenni alle Scienze fisiche e matematiche, Guglielmo Libri.

Dante e Virgilio, Ignazio Montanari.
Dante e Shakspeare, Giulio Carcano.
Bellezza drammatica del Poema, Francesco Dall' On-
garo.

Dante commentato con Dante, Giovambattista Giuliani. Delle Varianti nelle lezioni della Divina Commedia, · Francesco Palermo.

Lingua del popolo nelle opere volgari di Dante, Pietro Fanfani.

Che cosa intendesse Dante per idioma Illustre, Cardinale, Aulico, Curiale. Raffaello Lambruschini. Analogia dell'antica lingua italica con la greca e la latina e co'dialetti viventi a illustrare il libro della volgare eloquenza, Ariodante Fabretti.

La Latinità di Dante, Michele Ferrucci.

Le Rime di Dante comparate a quelle degli altri poeti del suo tempo, Giosuè Carducci.

Le Prose di Dante comparate a quelle degli altri prosatori del suo tempo, Iacopo Ferrazzi.

Il Convivio, Vito Fornari.

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Ogni scrittore dovendo essere libero di esporre quelle opinioni e quei pensieri che crederà più opportuni, e non dovendo giustamente rispondere che del proprio scritto a cui egli pone il suo nome; non vuolsi temere per questo che Dante Allighieri ne debba comparire fuori in abito variato e difforme. La figura di Dante è omai così ferma in sè stessa, ed il suo concetto è così determinato e sì dentro la coscienza di tutti, che, anzi che doverne patire danno nell'opera che noi annunciamo quella figura e quel concetto serviranno a dare all'opera stessa ordine ed unità.

Aloysio Juvara, di cui basta annunziare il nome, ha pure graziosamente consentito d'incidere il ritratto che di Dante ne lasciò l'amico suo, Giotto, e la cui incisione sarà raro ornamento di quest'opera.

Ed altro ornamento di questo libro sarà la fotografia del quadro raffigurante la Divina Commedia, dipinto da Vogel di Vogelstein, del quale scriverà

l'illustrazione il P. Giovambattista Giuliani.

Il Municipio di Firenze, il cui favore ci parve giustamente non poter mancare ad un'opera che sarà buona parte e testimonio durevole della solennità che Egli ha promosso, ha di buon grado, e con consi

Accenni alle Dottrine geologiche e specialmente geografi- gliare deliberazione, acconsentito di porre sotto i

che, Lorenzo Pareto.

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suoi auspicii questa nobile impresa. Noi ne siamo ben lieti, perchè gli onori a Dante Allighieri devono essere non solamente il fatto di particolari persone, ma un atto ancora solenne della Nazione tutta: e la nazionalità dell'atto in quest'opera non può essere meglio

Manifesto del di primo di marzo, firmato Mariano Cellini e Gaetano Ghivizzani a noi fermamente promessi dagl'illustri Scrittori di cui nel Manifesto stesso si leggono i nomi.

significata ed espressa che dal concorso dei Municipi | teri del Manifesto, e conterrà gli scritti indicati nel che rechino l'omaggio di tutta Italia a Lui, che, nato a Firenze, fu cittadino e vate d'Italia tutta. Nè egli fu solo d'Italia. Egli fu l'Omero della nuova civiltà per tutte le nazioni, che non hanno mai cessato e non cessano di studiare in Lui, e fargli onore per opera dei maggiori ingegni: e l'Italia non manca certamente di essere loro riconoscente di tanti studii onde l'hanno aiutata nella estimazione e nel culto del suo Autore. Quindi è che noi raccomandiamo ad ogni civil nazione la impresa nostra, sembrandoci di potere giustamente aspettarcene da tutte favore.

Da Firenze, il dì 4.° di marzo 1864

MARIANO CELLINI
GAETANO GHIVIZZANI.

Seguono i patti d'associazione.

Il volume, da potersi dividere in due parti, non sarà minore di 800 pagine in 4.o massimo nei carat

Porterà in fronte il ritratto di Dante secondo il dipinto di Giotto, inciso dal celebre italiano Aloysio Juvara.

Altro ornamento sarà la fotografia del quadro di Vogel di Vogelstein, rappresentante la Divina Commedia, fatta dal valente Bernoud.

Il prezzo d'ogni copia è per i soscrittori di lire 30 italiane, non comprese le spese di porto.

Per chi ne avesse desiderio, saranno stampate copie in carta speciale, numerate progressivamente, e porteranno impresso il nome del soscrittore. Il lor prezzo sarà di 50 lire italiane.

I nomi dei soscrittori verranno pubblicati coi loro titoli e il numero delle copie per cui si saranno soscritti, in un elenco che anderà unito al libro, a testimonianza del culto prestato dagl' Italiani del secolo XIX al Divino Poeta.

VVERTENZA. Gli Editori i quali desiderano che il Giornale del Centenario annunzi edizioni dantesche da loo pubblicate o da pubblicarsi, avranno diritto alla inserzione dal relativo avviso per sei numeri consecutivi. mediante l'invio alla Direzione di una copia dell'opera stampata della quale sarà tenuto anche parola nella Rassegna Bibliografica del giornale.

SI

Opere su Dante, che si trovano in numero presso la Società Tipografica de' Classici italiani in Mi

lano.

Gozzi (Gaspero). Dialoghi, e la Difesa di Dante.

Milano, Classici, 1832, in 24mo. . . Ln. 3. 00 HELL (Teodoro). Viaggio in Italia sulle orme

> 2. 60

di Dante, versione italiana con note. Seconda edizione. Venezia, 1841, in 8vo. » 3.00 MONTI (Pietro). Saggio di Vocabolario della Gallia cisalpina e Celtico; e Proposta d' illustrazione d'alcune voci della Divina Commedia. Milano, Classici, 1856, in 8vo. » 3. 05 MONTI (Vincenzo). Saggio di molti e gravi errori scorsi nelle edizioni del Convito di Dante. Milano, Classici, 1820, in 8vo. » OZANAM (A. F.). Dante e la Filosofia cattolica nel XII secolo, versione dal francese con note di Pietro Molinelli. Milano, Classici, 1841, in 12mo ... PICCHIONI (Luigi). Cenni critici sulla Divina Commedia illustrata da Köpisch, Picci e Ponta. Milano, Classici, 1846, in 12mo. » 6. 00 VILLARDI (Francesco). Sopra la lingua degli Atti dell'Accademia della Crusca. L'Esiglio di Dante, visione ec. Milano, Classici, 1820, in 8vo. » 1.50

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI B C.

(1)

» 4.00

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona,
Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino,
Via Carlo Alberto, N.° 5.

d. una serie infinita di patimenti studiosamente elaDorati ad tur volea fare un cadavere, onde saziare la propria fame schifosamente esosa.

Religione, coscienza, amori, passioni, scienze, lettere, arti, tutti fu buono in mano di gente scaltra che ben conosceva la vecchia scuola di stritolare i popoli sotto il carro de' loro trofei e delle loro armi medesime.

La Inquisizione, ora superba ora vile, gravò di un manto di terrore una religione d'amore, di fede di verità. I lavori delle menti robuste, che avrebbero fatta troppo presto la luce, furono impediti, guerreggiati, dissipati, sbanditi, maledetti: e non fu raro si spegnesse da ignota mano in ignoto modo la scintilla stessa che Iddio avea mandata sulla terra a far prova della sua vegliante misericordia. Il sofisma, l'errore, la menzogna s'assisero vittoriosi, blanditi, onorati ad estendere più largamente il campo dell' ignoranza per la mala messe dei tristi. Le città furono spinte contro le città, quasi fiere affamate sguinzagliate alla preda; si inventarono nomi a far divisioni; si fe' scempio e strazio d'ogni più santo affetto. Ma non bastò: il genio d'Italia avrebbe potuto ricoverarsi fiducioso e tranquillo al suo nido naturale, alle arti sorelle, e spaventarne

i nemici. Bisognava adunque fare offesa alla nipote di Dio, e trascinare l'arte a mentire: e fu fatto. Si profusero oro, ed onori; si accarezzarono ambizioni ed invidie; si fomentarono discordie anche fra chi non potevano nè dovevano essere: ed alle vergognose dissensioni politiche risposero in lettere ed arti due parole infernalmente architettate, Romantici e Puristi, e la divisione fu. L'intolleranza, la rabbia, il vitupero, lo scandalo, le invidie, le ire, gli odi ebbero scettro colà ove dovean tenerlo dirittura, coscienza, civiltà; e fu nuova rovina più vergognosa delle altre sulla misera Italia.

Ma il vero, il buono, il bello non si impediscono per forza d' uomini, solo se ne ritardano gli effetti. Essi quindi di tempo in tempo mandarono fuori prepotenti la loro luce, e la loro voce; attraversarono vittoriosi gl' ingrati secoli, e pazienti fra il reo adoperarsi delle nemiche forze prepararono l'opera della rigenerazione. Iddio finalmente si stancò dei suoi bestemmiatori e li percosse dell' ira sua. L'ora, che fu di sventura pe' nemici, fu di vita per l' Italia, la quale ne profittò e vinse ma un'ora non distrugge l'opera de'secoli. I secoli non ponno numerarsi come anni per le nazioni, se non quando scorrono nell'ordine prescritto dalla mente creatrice che li poneva quali periodi della sua grand'opera, cui svolge il tempo come un capitolo dell'eternità; ma quando scorrono in compagnia della sventura e del dolore a preparare tremendi cataclismi, che sono lo effetto della volontà umana ricalcitrante, allora tutta mantengono la loro grave misura, e lasciano dietro è tracce tali cui non ponno cancellare che altri secoli.

Malgrado quindi i prodigi operati dagli Italiani restano tuttavia i mali elementi a fare urto e rovine; restano i nemici ad aumentarne gli effetti e le apparenze; restano gli errori, le superstizioni, gli odi, le fazioni, le ire cittadine, che qua furono seminate a larga mano.

L'Italia ha un Re grande ed onestissimo, ha un esercito compatto e valorosissimo, ha vittorie ed amici; ma non basta. Le abbisogna un popolo ; ed un popolo non s'improvvisa. Siano onesti que'che gridano al disordine; ed assegnino un po' meglio le colpe, i mali ed i rimedi.

In Italia sono a rifare il concetto religioso, il sentimento morale, l'onestà civile; sono a rifare le scienze, le lettere, le arti; e tutto porre in armonia col principio nazionale. E quando la preponderante forza della verità avrà mostrata universalmente l'orrendezza de' mostri che le erano stati sostituiti, allora sarà fatto il popolo; i nemici pochi ma instancabili, si troveranno mozzata in mano anche l'ultima arma, e si potrà finalmente intuonare con sicurezza l'inno della redenzione.

Ma finchè questo non sia, a noi pare che ogni agitazione che si mova in Italia, ron tendente al fine essenzialissimo di ristorare gli elementi necessari all' unità rinunciando alle meschinità provinciali e municipali, sperda miseramente le forze della nazione, impedisca sempre con nuovi ostacoli il bene, e continui un triste passato a tutte spese dello avvenire.

Ecco perchè osammo affermare doversi condurre al vantaggio della salvezza nazionale la celebrazione del secentesimo anno della nascita di Dante, agli ammaestramenti del quale sentono già tutti dover informare l'intelletto e la volontà; e direste che lo spirito stesso del magno Poeta metta ora in tutti i cuori un fremito salutare, che li spinge a cercare le pagine di quel libro, il quale vince il tempo perchè è l'intinerario segnato da Dio a condurre tutto un popolo nella terra promessa.

Fatto è che il grande lavoro che tuttavia abbisogna in Italia non può che essere compito dalla mente. Ma questa reagendo rigogliosa contro l'oppressione lungamente patita dall'autorità rifiuta forse in odio dell'abuso che se n'è fatto, ogni principio apodittico nella scienza; e così precipitando in un abisso ancor più profondo che non quello da cui viene sorgendo, corre pericolo di far sentire anche in Italia gli orrori di una libertà tiranna, e preparare sciagure, dolori, vergogne anco più spaventose che le passate. È adunque mestieri che gli studi italiani movano da conosciuto porto, e si volgano a sicuro faro. E a noi pare che le due faci le quali dai due punti estremi del risorgimento d'Italia mandano raggi splendidissimi che convergono in un solo e danno così quella pienezza di luce, che essendo quiete all' intelletto mostra al cuore la via del bene, siano Dante e Gioberti; due grandi ne' quali si compendia tutta la civiltà della nazione. Nè certo è questa la prima volta che accenniamo allo studio comparativo de'due italiani per l'opera dei quali germinò e fu maturato il risorgimento della patria. E, senza pretesa di voler qui precorrere le idee, non dubiteremo affermare: niuno mai aver sì profondamente studiato e sì largamente compreso Dante, come Gioberti. E dica pure chi lo ha letto a suo modo che Gioberti fu d'intelletto mobile assai, che non fu filosofo, che cadde in frequenti contraddizioni; e s'aggiunga ancora da chi non l' ha mai saputo leggere che le opere di lui sono labirinti tenebrosi di grecismi e di astrattezze inutili; anche di Dante fu detto che ora tenne per Guelfi ora per Ghibellini, e che specialmente le due ultime parti della Divina Commedia non erano che un prunaio di quistioni metafisiche e teologiche di nessuno costrutto. Noi non ci incarichiamo di investigare da che movano giudizi di tale natura; ve

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