Nella prefazione della Crestomazia italiana di prosa, il compilatore propose di fare una Crestomazia poetica con quei medesimi ordini e in quella stessa forma, la quale non era d'invenzione sua, ma tenuta in tutti i migliori libri di tal genere pubblicati in lingua francese, inglese ed altre, e approvata per buona dal consenso dei letterati di quelle nazioni. Postosi all'opera, conobbe che la cosa non poteva appena convenire al caso nostro; perchè il porgere distribuite per classi le impressioni poetiche, gli parve primieramente impossibile, e poi di pessimo effetto se si fosse potuto fare. Per questa ragione, in cambio dell'ordine delle materie, ha seguito quello dei tempi: ordine non contrario all'effetto poetico, ed utile, come è manifesto, alla cognizione storica della poesia nazionale. Di Dante e del Petrarca, del Furioso e delle Satire dell'Ariosto, della Gerusalemme e dell' Aminta del Tasso, del Pastor Fido, del Giorno del Parini, non ha tolto cosa alcuna; perchè ha creduto, prima, che a voler conoscere la poesia nostra, è necessario che quelle opere si leggano tutte intiere; poi, che il farle in pezzi, o il dire questo è il meglio che hanno, sia un profanarle. LEOPARDI, Crestomazia. II. 1 E generalmente da tragedie o drammi di ogni sorta, non ha creduto che si potesse prender nulla, che, poslo fuori del luogo suo, e diviso dal corpo dell'opera, stesse bene. Ne meno ha preso nulla da traduzioni, per non allargar troppo il campo. Finalmente si è astenuto dalle cose di autori viventi (*). Dell'altra moltitudine che abbiamo di versi, quasi infinita, ha scelto ciò che gli è riuscito o più elegante, o anche più filosofico, e, in fine, più bello; incominciando dagli autori del secolo decimoquinto, e non prima ; perchè de'più antichi, fuori di Dante e del Petrarca crede egli, e crederanno forse tutti, che quantunque si trovino rime, non si trovi poesia. Sarà poco meno che superfluo l'avvertire i giovani italiani e gli stranieri, che nei passi che qui si propongono di poeti o di verseggiatori di questo secolo e della seconda metà del decimottavo, cerchino sentimenti e pensieri filosofici, ed ancora invenzioni e spirito poetieo, ma non esempio di buona lingua, nè anche di buono stile. Dell'oggetto e dell'uso delle noterelle poste appiè delle pagine, si è detto nella prefazione dell'altra Crestomazia. (*) Per questa ragione il Compilatore erasi astenuto dall' inserire in questa Scelta alcuna cosa del Monti. Ma, avendo la morte con dolore universale tolto ai vivi quel sommo poeta prima che la stampa fosse compiuta, ne parve che sarebbe stata una grave mancanza il non fare raccolta anche dei più bei fiori della sua musa, e principalmente di quelli che sapevansi essere stati da lui prediletti. Della scelta di questi preziosi fiori noi andiamo debitori ad un amico del Monti medesimo, zelantissimo della sua gloria; e vogliamo sperare che ogni animo gentile ne rimarrà soddisfatto (Nota degli Editori milanesi.). 1. A Maria Vergine. Donna del cielo, gloriosa madre Del buon Gesù, la cui sacrata morte, Per liberarci da le infernal porte, Tolse l'error del primo nostro padre; Risguarda Amor con saette aspre e quadre A che strazio n'adduce ed a qual sorte; Madre pietosa, a noi cara consorte 2, Ritrâne dal seguir sue turbe e squadre. Infondi in me di quel divino amore, Che tira l'alma nostra al primo loco, Si ch'io disciolga l'amoroso nodo. Cotal rimedio ha questo aspro furore, Tal acqua suole spegner questo foco, Come d'asse si trae chiodo con chiodo. Fra Guittone. 2. Esilio ed Amore. Ballatetta dolente, Va' mostrando il mio pianto, Come m'ha tutto infranto Il tristo bando, che mi colse al canto. 4 S'ella si volge verso te pietosa Ad ascoltar le pene che tu porti, 'Iraendo guai dolente e vergognosa, Lei 5 pingi come gli occhi mia son morti Per li gran colpi e forti Che ricevetter tanto Da' suoi nel mio partir, ch' or piango in Poi fa'si ch'entrine la mente a Guido 7, [canto. 1 Signora. 2 Partecipe della stessa sorte. 3 dim. di ballata, specie di poesia. 4 Mi prese a tradimento. 5 A lei. 6 Miei. Guido Cavalcanti, amico del poeta. 3 Perch'io no spero di tornar giammai, Tu porterai novelle de' sospiri, Tu senti, Ballatetta, che la morte Deh, Ballatetta, a la tua amistale Quest'anima, che triema, raccomando: Menala teco ne la sua piatate 6 I Metterà. 3 Non. 6 5 Affetto. 2 Sospirerà. 4 Impedita. pietate, pietà; voce antica, Ella mi fiere sì, quand’io la guardo, Ch'i'sento lo sospir tremar nel core; Esce da gli occhi suoi, là ond'io ardo, 2 Un gentiletto spirito d'Amore, Lo quale è pieno di tanto valore, Che, quando giugne, l'anima va via, Come colei che soffrir nol poria. lo sento poi gir fuor gli miei sospiri, Quando la mente di lei mi ragiona; E veggio piover per l'aer martiri, Che struggon di dolor la mia persona, Si che ciascuna virtù m'abbandona In guisa, ch'io non so là ov'io mi sia: Sol par che morte m'aggia in sua balía. Si mi sento disfatto, che mercede Già non ardisco nel pensier chiamare: Ch'i' trovo Amor, che dice: ella si vede Tanto gentil, che non può immaginare Ch'uom d'esto mondo l'ardisca mirare, Che non convegna lui tremare in pria: Ed io, s'i'la guardassi, ne morria. Ballata, quando tu sarai presente A gentil donna, so che tu dirai De la mia angoscia dolorosamente. Di': quegli, che mi manda a voi,trae guai: Perocchè dice, che non spera mai Trovar pietà di tanta cortesia, Ch'a la sua donna faccia compagnia. G. Cavalcanti. 5. In morte della sua donna. La forte e nova mia disavventura M'ha disfatto nel cuore Ogni dolce pensier, ch'i' avea, d'Amore. Disfatta m'ha già tanto de la vita, Possa comprender ne la mente fiore. I Che gira la fortuna del dolore. Pien d'ogni angoscia in loco di paura Lo spirito del cor dolente giace Per la fortuna, che di me non cura, C'ha volta morte dov'assai mi spiace : E dà speranza, ch'è stata fallace. Nel tempo che si more, M'ha fatto perder dilettevoli ore. Parole mie disfatte e paurose, Dove di gir vi piace, ve n'andate, Ma sempre sospirando e vergognose Lo nome de la mia donna chiamate: Io pur rimango in tanta avversitate, Che qual mira di fore Vede la morte sotto 'l mio colore. G. Cavalcanti. 6. Atti e parole di Beatrice. Ne gli occhi porta la mia donna Amore; Per che si fa gentil ciò ch'ella mira: Ov'ella passa, ogni uom vêr lei si gira, E cui saluta fa tremar lo core. Sicche, bassando il viso, tutto smuore, E d'ogni suo difetto allor sospira: Fuggon dinanzi a lei superbia ed ira: Ajutatemi, donne, a farle onore. Ogni dolcezza, ogni pensiero umile Nasce nel core a chi parlar la sente; Ond'è beato chi prima la vide. Quel ch'ella par quand'un poco sorride, Non si può dicer 3, nè tener a mente, Si è nuovo miracolo gentile. Dante Alighieri, 3 Dire, |