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Getta l'arbor da sè tutte foglie.

Di quelle bestie che mordon coloro

Berni, Orlando innammorato, canto XX. Che fanno poi pazzie da spiritati,

XVIII. L'uomo descritto come

piccolo mondo.

Colui che pose nome piccol mondo A l'uomo, ebbe d'ingegno un ricro dono: Chè, da l'esser in fuor, com'egli, tondo, Tutte l'altre faccende in esso sono. Ha del largo, del lungo, del profondo, Del mediocre, del tristo e del buono : Tutte le qualità de gli elementi Produce, piogge e nevi e nebbie e venti.

Si rannugola spesso e rasserena: La terra sua or si or no fa frutto; Perch'ell'è dove grassa e dove rena, Or ha troppo del molle or de l'asciutto. Torrenti e fosse d'acqua e fiumi mena, Che fanno 'l corso loro or bello or brutto: Questi potrian chiamarsi gli appetiti, Che sempre van, perchè sono infiniti,

E son da le due ripe raffrenati : Vergogna è l' una, e l'altra è la ragione: Le quai quando trapassan, son gonfiati, E non han nè cervel nè discrezione: Quando corron quieti, chiari e grati, Sono appetiti de le cose buone. Que' venti, piogge, nevi, giorni e notti Indovinate voi, che siete dotti.

Tra gli elementi, la disgrazia vuole Che de la terra noi più parte abbiamo; E che siccome è quella al cielo e al sole, Così noi anche sottoposti siamo: In essa or quel pianeta or questo suole Produr quel che miniere noi chiamiamo, E questa cosa è in noi per eccellenzia In numero, in grandezza, in differenzia. Chi crederà ch'ognun le sue miniere Abbia de l'oro e de gli altri metalli, Fin al salnitro? e pur son cose vere: Ma la fatica è a saper trovalli 2. Chi si diletta d'ozio, chi d'avere; Di lettere uno, un altro di cavalli; Piace a questo il cantare, a quello il suono: E queste le miniere nostre sono.

Le quai, secondo che son più o meno Degne, hanno più del piombo e più de l'oro. Un che sappia conoscere il terreno, È mo atto a scoprir questo tesoro. Come in Puglia si fa contra al veleno

1 Eccettuato l'essere.

2 Trovarli,

E chiamansi in vulgar tarantolati ;

E bisogna trovare un che, sonando Un pezzo, trovi un suon ch'al morso' piac[cia; Sul qual ballando, e nel ballar sudando, Colui da sè la fiera peste caccia. Chi questo e quello andasse stuzzicando Con qualche cosa che gli satisfaccia, La vena e la miniera troverebbe, E gli studii d'ognun conoscerebbe.

Berni, Orlando innamorato, canto XLVI. XIX. Sopra l'effetto che fa negli uomini ben nali il racconto delle azioni nobili e virtuose.

Quando la tromba a l'aspra orrenda festa De l'armi suona, e sveglia il crudo gioco; Il buon corsier, superbo alza la testa, Levato in piedi; e sbuffa fumo e foco : Gli orecchi ei crini squassa;e zappa e pesta, E salta in qua e'n là, nè trova loco, Traendo calci a chi se gli avvicina: Ciò che trova fracassa, urta e rovina.

Tal ad ogni atto degno e signorile Che scriva prosa o canti poesia, S'allegra il cor magnanimo e gentile Ch' amico di virtù, di gloria sia; E manifesta il cor alto e virile Pel viso fuor quel che dentro disia. Berni, Orlando innamorato, canto LIII.

XX. Alla città di Roma.

Degna nutrice de le chiare genti, Ch'a di men foschi trionfàr del mondo; Albergo già di Dio fido e giocondo, Or di lagrime triste e di lamenti;

Come posso udir io le tue dolenti Voci, e mirar, senza dolor profondo, Il sommo imperio tuo caduto al fondo, Tante tue pompe e tanti pregi spenti?

Tal, così ancella, maestà riserbi, E si dentro al mio cor suona il tuo nome, Che i tuoi sparsi vestigi inchino e adoro.

Che fu a vederti in tanti onor superba Seder reina e incoronata d'oro Le gloriose venerabil chiome!

'Al morsicato.

Guidiccioni.

XXI. Velocità del tempo; caducità

umana.

Quando miro la terra ornata e bella Di mille vaghi ed odorati fiori; E siccome nel ciel luce ogni stella, Così splendono in lei varii colori; Ed ogni fiera solitaria e snella, Mossa da natural istinto, fuori De' boschi uscendo e de l'antiche grotte, Va cercando il compagno giorno e notte; E quando miro le vestite piante Pur di be' fiori e di novelle fronde; E de gli uccelli le diverse e tante Odo voci cantar dolci e gioconde, E con grato romor ogni sonante Fiume baguar le sue fiorite sponde ; Tal che di sè invaghita la natura, Gode in mirar la bella sua fattura ; Dico fra me pensando quanto è breve Questa nostra mortal misera vita ! Pur dianzi tutta piena era di neve Questa piaggia, or sì verde e sì fiorita ; E d'un aer turbato, oscuro e greve La bellezza del ciel era impedita; E queste fiere vaghe ed amorose Stavan sole fra monti e boschi ascose.

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Ne s'udivan cantar dolci concenti

Per le tenere piante i vaghi augelli : Chè del soffiar de' più rabbiosi venti S'atterran secche queste, e muti quelli E si veggion fermar i più correnti Fiumi dal ghiaccio, e' piccioli ruscelli: E quanto ora si mostra e bello e allegro, Era per la stagion languido ed egro.

Così si fugge il tempo e col fuggire Ne porta gli anni e 'l viver nostro insieme. Chè a noi, colpa del Ciel, di più fiorire, Come queste faran, manca la speme : Certi non d'altro mai che di morire, O d'alto sangue nati o di vil seme: Ne quanto può donar benigna sorte, Farà verso di noi pietosa morte.

Vittoria Colonna.

:

Che ti solean parer già così belli.

L'infinita, ineffabile bellezza
Che sempre miri in ciel, non ti distorni
Che gli occhi a me non torni;
A me, cui già mirando ti credesti
Di spender ben tutte le notti e i giorni.
E se 'l levarli a la superna altezza
Ti leva ogni vaghezza

Di quanto mai qua giù più caro avesti,
La pietà almen cortese mi ti presti,
Ch' in terra unqua non fu da te lontana:
Ed ora io n'ho d'aver più chiaro segno;
Quando nel divin regno,

Dove senza me sei, n'è la fontana.
S'amor non può, dunque pietà ti pieghi
D'inchinar il bel guardo a li miei preghi.

Io sono, io son ben dessa. Or vedi come M'ha cangiata il dolor fiero ed atroce; Ch' a fatica la voce

Può di me dar la conoscenza vera.
Lassa, ch'al tuo partir, partì veloce
Da le guance, da gli occhi e da le chiome
Questa, a cui davi nome

:

Tu di beltate ed io n'andava altera : Che mel credea, poichè in tal pregio t'era. Ch'ella da me partisse allora, ed anco Non tornasse mai più, non mi dà noja; Poi che tu, a cui sol gioja

Di lei dar intendea, mi venne manco. Non voglio, no, s'anch' io non vengo dove Tusei, che questo ed altro ben mi giove

Come possibil è, quando sovviemme 2 Del bel guardo soave ad ora ad ora, Che spento ha sì breve ora, Ond'è quel dolce e lieto riso estinto; Che mille volte non sia morta o muora ? Vitoria Colonna,

XXIII. Lodi della bellezza.

Molte son le virtù : nè si ritrova
Ch'uom o donna già mai tutte l'avesse ;
Anzi son cosa inusitata e nuova

Una di tante, e due 'n un'alma impresse.
Donne mie, questa è tal, ch'ei non si trova
Cosa che senza lei piacer potesse.

XXII. Vittoria Colonna al marito Scevra da l'altre una virtù si prezza;

morto.

Gli occhi, che già mi fur benigni tanto, Volgi ora a i miei, ch' al pianto Apron si larga e sì continua uscita: Vedi come mutati son da quelli

Ma che piacque già mai senza bellezza ?

Volete voi veder, donne, il valore Ch'a questa sua diletta ha dato Dio? Di tutti gli altri ben ch'agogna un core,

I Giovi.

2 Sovvieumi. Mi sov viene,

Venuto il posseder, sazio è il desio ;
Di costei d'or in or cresce l'ardore,
Come per pioggia tempestosa rio:
Chè dopo il vostro bel l'anima altera
Novo bel cerca; e 'n ciel trovarlo spera.
Qual è giogo più dolce e più soave
Di quel ch'alta bellezza a l'alme pone ?
L'esser vinto ad ogni uom suol parer grave
Di ricchezza, di forza e di ragione;
Costei sola non par che'l vinto aggrave';
Anzi acuto divien di gloria sprone;
E fa lieti obbedir gli animi alteri,
Più ch'oro posseder, gemme ed imperi.
Lodovico Martelli, Lode delle donne.

XXIV. Esortazione all'agricoltore perchè s'industrii di migliorare lo stato del suo terreno.

Il pio cultor non deve solo Sostener quello in piè, ch'il padre o l'avo De le fatiche sue 2 gli ha dato in sorte; Ma far,col bene oprar,che d'anno in anno Cresca il patrio terren di nuovi frutti, Quando l'albergo umìl di figli abbonda. Ne veggia, oimè, tra pecorelle e buoi La figlia errar dopo il vigesimo anno, Senza ancor d'Imeneo gustar i doni, Discinta e scalza, e di vergogna piena Fuggir piangendo per boschetti e prati L'antica compagnia, che in pari etade Già si sente chiamar consorte e madre: Ne i miseri figliuoi, pasciuti un tempo Pur largamente nel paterno ostello, E di quel sol che ne i suoi campi accolse Dolci e nativi; in tenerella etade, Di peregrin maestro 3 impio flagello Sentir, la madre pia chiamando indarno, A le fouti menando, a i verdi prati Le non sue 4 gregge; e le cipolle e l'erba, Lassi, mangiar, vedendo in mano a i figli Del suo nuovo signor formaggio e latte : Siccome oggi addivien tra i colli toschi De i miseri cultor; non già lor colpa, Ma de l'ira civil, di chi l'indusse A guastar il più bel ch'Italia avesse. Or chi vuol ne l'età canuta e stanca Di pigra povertà non esser preda, E poter la famiglia aver d'intorno Lieta, e la mensa di vivande carca; Ne la nuova stagion non segga in vano: Aggravi.

3 Padrone.

2 Loro.

4 Loro,

Ch'or rinnovi or rivesta or pianti or cangi, Pur secondo il bisogno,or vigne or frutti. Alamanni, Coltivazione, libro 1.

XXV. La vita dell'agricoltore. Lo stato del popolo italiano nel secolo decimosesto. Lodi della Francia.

O beato colui che in pace vive De i lieti campi suoi proprio cultore: A cui, stando lontan da l'altre genti, La giustissima terra il cibo apporta; E sicuro il suo ben si gode in seno ! Se ricca compagnia non hai d'intorno Di gemme e d'ostro, nè le case ornate Di legui peregrin, di statue e d'oro; Ne le muraglie tue coperte e tinte Di pregiati color, di veste aurate, Opre chiare e sottil di Perso e d'Indo; Se'l letto genial di regie spoglie E di si bel lavor non aggia il fregio Da far tutta arrestar la gente ignara; Se non spegni la sete, e toi 2 la fame Con vasi antichi, in cui dubbioso sembri Tra bellezza e valor chi vada innante; Se le soglie non hai dentro e di fuore Di chi parte e chi vien calcate e cinte; Ne mille vani onor ti scorgi intorno; Sicuro almen nel poverello albergo, Che di legni vicin del natio bosco, E di semplici pietre ivi entro accolte, Thai di tua propria man fondato e strutto, Con la famiglia pia t'adagi e dormi. Tu non temi d'altrui forze nè inganni, Se non del lupo: e la tua guardia è il cane, Il cui fedel amor non cede a prezzo. Quando ti svegli a l'apparir de l'alba, Non trovi fuor chi le novelle apporte Di mille a i tuoi desir contrarii effetti: Nè, camminando o stando, a te conviene A l'altrui satisfar più ch'al tuo core. Or sopra il verde prato, or sotto il bosco, Or ne l'erboso colle, or lungo il rio, Or lento or ratto, a tuo diporto vai: Or la scure, or l'aratro, or falce, or marra, Or quinci or quindi,ov'il bisogno sprona, Quando è il tempo miglior, soletto adopri. L'offeso vulgo non ti grida intorno Che derelitte in te dormin 4 le leggi.

3

Come a null'altra par 5 dolcezza reca De l'arbor proprio, e da te stesso inser to, 2 Togli. 3 Apporti

'Abbia. 4 Dormano.

5 Pari.

Tra la casta consorte e i cari figli
Quasi in ogni stagion goderse 'i frutti!
Poi darne al suo vicin, contando d'essi
La natura, il valor, la patria e 'l nome,
E del suo coltivar la gloria e l'arte.
Indi menar talor uel cavo albergo
Del prezioso vin l'eletto amico;
Divisar de i sapor, mostrando come [gia;
L'uno ha grasso il terren, l'altro ebbe piog-
E di questo e di quel di tempo in tempo
Ogni cosa narrar che torni in mente.
Quinci mostrar le pecorelle e i buoi;
Mostrargli il fido can; mostrar le vacche,
E mostrar la ragion che d'anno in anno
Han doppiato più volte i figli e 'l latte:
Poi menarlo ove stan le biade e i grani
In varii monticei 2 posti in disparte.
E la sposa fedel, ch'anco ella vuole [po,
Mostrar ch'indarno mai non passe 3iltem
Lietamente a veder d'intorno il mena
La lana, il lin, le sue galline e l'uova,
Che di dannesco oprar son frutti e lode.
E di poi ritrovar, montando in alto,
La mensa inculta di vivande piena
Semplici e vaghe; le cipolle e l'erba
Del suo fresco giardin, l'agnel ch'il giorno
Avea tratto il pastor di bocca al lupo,
Che mangiato gli avea la testa e'l fianco.
Ivi, senza temer cicuta e tosco

Di chi cerchi il tuo regno o 'l tuo tesoro,
Cacciar la fame, senz'affanno e cura
D'altro che di dormir la notte intera,
E trovarsi al lavor nel nuovo sole.

Ma qual paese è quello ove oggi possa,
Glorioso Francesco, in questa guisa
Il rustico cultor goderse in pace
L'alte fatiche sue sicuro e lieto?
Non già il bel nido ond'io mi sto lontano;
Non già l'Italia mia: che, poi che lunge
Ebbe, altissimo re, le vostre insegne,
Altro non ebbe mai,che pianto e guerra.
I colti campi suoi son fatti boschi,
Son fatti albergo di selvagge fere,,
Lasciati in abbandono a gente iniqua.
Il bifolco e 'l pastor non puote appena
In mezzo a le città viver sicuro
Nel grembo al suo siguor; che di lui stesso,
Che 'l devria 4 vendicar, "divien rapina.
Il vomero, il marron, la falce adunca
Han cangiate le forme, e fatte sono
Impie spade taglienti e lance acute,
'Godersi. 2 Monticelli.
4 Dovria. Dovrebbe.

3 Passi.

Per bagnare il terren di sangue pio.

Fuggasi lunge omai dal seggio antico
L'italico villan, trapassi l' Alpi,
Truove il gallico sen, sicuro posi
Sotto l'ali, signor, del vostro impero.
E, se qui non avrà, come ebbe altrove,
Cosi tepido il sol, si chiaro il cielo ;
Se non vedrà quei verdi colli toschi,
Ove ha il nido più bel Palla e Pomona;
Se non vedrà quei cetri, lauri e mirti
Che del Partenopeo veston le piagge;
Se del Benaco, e di mill' altri insieme,
Non saprà qui trovar le rive e l'onde;
Se non l'ombra, gli odor, gli scogli ameni
Che 'I bel ligure mar circonda e bagna;
Se non l'ample pianure e i verdi prati
Che'l Po, l'Adda e'l Tesin girando infiora;
Qui vedrà le campagne aperte e liete,
Che, senza fine aver, vincon lo sguardo;
Ove il buono arator si degna a pena
Di partir i vicin con fossa o pietra :
Vedra i colli gentil, sì dolci e vaghi,
E'n si leggiadro andar tra lor disgiunti
Da si chiari ruscei 2, si ombrose valli,
Che farieno arrestar chi più s'affretta.
Quante belle sacrate selve opache
Vedrà in mezzo d'un pian, tutte ricinte,
Non da crude montagne o sassi alpestri,
Ma da bei campi dolci, e piagge apriche!
La ghiandifera quercia; il cerro e l'eschio
Con si raro vigor si leva in alto,

3

Ch'ei mostran minacciar co' rami il cielo,
Ben partiti tra lor; ch'ogni uom direbbe
Dal più dotto cultor nodrite e poste 4
Per compir quanto bel si truove in terra.
Ivi il buon cacciator sicuro vada,
Nè di sterpo o di sasso incontro tema,
Che gli squarce la veste, o serre il corso.
Qui dirà poi con maraviglia forse,
Ch' al suo caro liquor tal grazia infonde
Bacco, Lesbo obliando, Creta e Rodo;
Che l'antico Falerno invidia n'aggia 7.
Quanti chiari, benigni, amici fiumi
Correr sempre vedrà di merce colmi!
Ne disdegnarse un sol d'aver incarco
Ch' al suo corso contrario indietro torni,
Alma sacra Ceranta, Esa cortese,
Rodan, Senna, Garonna, Era e Matrona,
Troppo lungo saria contarvi a pieno.

I Trovi.

8

2 Ruscelli.

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[ se

Vedrà il gallico mar soave e piano:
Vedrà il padre Oceán superbo in vista
Calcar le rive, e spesse volte, irato,
Trionfante scacciar i fiumi al monte;
Che ben sembra a colui che dona e toglie
A quanti altri ne son le forze e l'onde.
Ma,quel ch'assai più val,qui non vedran-
I divisi voler, l'ingorde brame
Del cieco dominar, che spoglie 2 altrui
Di virtù, di pietà, d'onore e fede;
Come or sentiam nel dispietato grembo
D'Italia inferma, ove un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
Qui ripiena d'amor, di pace vera
Vedrà la gente; e 'n carità congiunti
I più ricchi signor, l'ignobil plebe,
Viverse 3 insieme, ritenendo ognuno,
Senza oltraggio d'altrui, le sue fortune.
Alamanni, Coltivazione, libro I.

XXVI.Invocazione a Cerere.

E tu, madre onorata, che lasciasti,
Per consiglio divin, la figlia sposa
Al suo gran rapitor, del tutto erede;
Vien meco a dimorar nel tuo bel regno:
Ch'or che in alto sta il Sol, ch'egli arde il
[ giorno

Tra i più lieti villan, discinto e scalzo,
Velato il capo sol de le tue spighe,
Qui cantar m'udirai per campi e piagge
L'altere lodi tue; pur che tu voglia,
Quando il bisogno fia, compagna farte 4.
Vien tosto, vieni a noi succinta e snella:
Nè quella bionda treccia oggi si sdegni
Di talor sostener la corba e'l vaglio
E gli altri arnesi tuoi. Non tardar molto:
Chè già ti chiaman le campagne e i colli,
Ch' hanno a l'ultimo di condotto il parto,
Per riposarlo poi nel tuo gran seno.
Alamanni, Coltivazione, libro II.

XXVII. Il cavallo.

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Corte l'acute orecchie, e largo e piano.
Sia l'occhio e lieto, non intorno cavo :
Grandi e gonfiate le fumose nari.
Sia squarciata la bocca, e raro il crino;
Doppio, eguale, spianato e dritto il dorso;
L'ampia groppa spaziosa; il petto aperto;
Ben carnose le cosce, e stretto il ventre.
Sian nervose le gambe, asciutte e grosse ;
Alta l' unghia, sonante, cava e dura;
Corto il tallon, che non si pieghi a terra:
Sia ritondo il ginocchio: e sia la coda
Larga, crespa, setosa, e giunta a l'anche;
Ne fatica o timor la smuova in alto.

Poi del vario vestir, quello è più in pregio
Tra i miglior cavalier, che più risembra
A la nuova castagna, allor che saglie
Da l'ambergo spinoso, e 'n terra cade,
A gli alpestri animai matura preda :
Pur che tutte le chiome, e'l piede in basso
Al più fosco color più sieno appresso.
Poi levi alte le gambe, e'l passo snodi
Vago, snello e leggier. La testa alquanto
Dal drittissimo collo in arco pieghi;
Esia ferma ad ognor: ma l'occhio e'l guardo
Sempre lieto e leggiadro intorno giri
E rimordendo il fren di spuma imbianchi.
Al fuggir, al tornar sinistro e destro 2,
Come quasi il pensier sia pronto e leve.
Poscia al fero sonar di trombe e d'arme
Si svegli e 'nnalzi, e non ritruove 3 posa,
Ma con mille segnai 4 s'acconci a guerra.
Nol ritenga nel corso o fosso o varco
Contra al voler già mai del suo signore.
Non gli dia tema, ove il bisogno sproni,
Minaccioso il torrente, o fiume, o stagno;
Non con la rabbia sua Nettuno istesso:
Nol spaventi romor presso o lontano
D'improvviso cader di tronco o pietra ;
Non quell'orrendo tuon, che s'assomiglia
Al fero fulminar di Giove in alto,
Di quell'arme fatal: che mostra aperto
Quanto sia più d'ogni altro il secol nostro
Già per mille cagion là sù nemico.

Alamanni, Coltivazione, libro II. XXVIII. Lodi di Bacco e del vino.

O famoso guerrier, di Giove figlio,
Il cui divino onor dispiacque tanto
A la fera Giunon, ch'a morte acerba

'Salta fuori. Esce.

2 Al volgersi a sinistra e a destra. 3 Ritrovi, 4 Segnali.

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