Quella vita arditissima ed amante Di scienza e di gloria e di giustizia Alzarmi imprometteva a gioje sante. Ne sol fremeva dell'altrui nequizia, Ma quando reo me stesso io discopriva, L'ore mi s'avvolgean d'onta e mestizia. Poi dal perturbamento io risaliva A proposti elevati ed a preghiere, Me concitando carità più viva. Perocchè m'avvedea ch' uom possedere Stima non può di sè medesmo e pace, S'ei non calca del bel le vie sincere. Ma allor che fulger più parea la face Di mia virtù, vi si mescea repente D'innato orgoglio il luccicar fallace. E allor Dio si scostava da mia mente, E a gravi rischi mi traca baldanza, Ed infelice er'io novellamente. Se così vissi in lunga titubanza, Ond'or vergogno, ah! tu pur sai, mio Dio, Che tremenda cingeami ostil possanza. Sfavillante d'ingegno il secol mio, Ma da irreligiose ire insanito, Parlava audace, ed ascoltaval io. E perocchè tra' suoi sofismi ordito Pur tralucea qualche pregevol lampo, Spesso da quelli io mi sentia irretito. [po, Egli, imprecando ogni maligno inciamSciogliea della ragion laudi stupende, Mainsiem menava di bestemmie vampo. Ed io, come colui che intento pende Da labbra eloquentissime e divine, E ogni lor detto all'alma gli s'apprende; Meditando del secol le dottrine, Inclinava i miei sensi alcuna volta Di servil riverenza entro il confine. Tardi vidio ch'a indegne colpe avvolta Era sua sapienza, e vidi tardi Ch'ei debaccava per superbia stolta. Trasvolaron frattanto i di gagliardi Della mia giovinezza, e sovra mille Splendide larve io posto avea gli sguardi; E nulla oprai che d'alta luce brille! E si sprecàr fra inani desidéri Dell'alma mia bollente le faville! Lamento sui fuggiti anni primieri Che d'eccelse speranze ebbi fecondi E di ricchi d'amore alti pensieri! Ma sien grazie al Signor che, ne'profondi Delirii mici, pur non sorrisi io mai Agl' inimici suoi più furibondi: Sempre, attraverso tutte nebbie, i rai Del Vangel mi venian racconsolando; Sempre la croce occultamente amai. Ed il maggior mio gaudio era allorquanIn una chiesa io stava, i dì beati [ do Di mia credente infanzia rammentando: Que' di pieni di fede in che insegnati Dal caro mi venian labbro materno I portenti onde al ciel siamo appellati! Di nuovo fean di me poscia governo La incostanza, gli esempi ed il timore Dell'altrui vile e tracotante scherno, E l'ira tua mertai per tanto errore: Ma gl'indelebili anni che passaro Kitesser non m'è dato, o mio Signore ! Presentarti non posso altro riparo Che duolo e preci e fe nel divo sangue Di cui non fosti sulla terra avaro Per chiunque a'tuoi piè pentito langue. S. Pellico, Poesie. Son servi a una gente di strania favella, Sottesso le verghe chiamati a stentar. Che vuol questa turba nel tempio si [ spessa? Quest' altra che anela, che all' atrio fa [ pressa, Dolente che l'occhio più lunge non va? Vuol forse i fratelli strappar dal periglio? Ai brandi,alle ronche dar tutti di piglio? Scacciar lo straniero? gridar libertà? Aravan sul monte; sentito han la [squilla, Son corsi alla strada, son scesi alla villa, Siccome fanciulli traenti al romor. Che voglion? Del giorno raccoglier gli [ eventi, Attendere ai detti, spiare i lamenti, Ma sangue, ma vita non è nel lor petto? Del giogo tedesco non v'arde il dispetto? Nol punge vergogna del tanto patir? Sudanti alla gleba d'inetti signori, N'han tollo l'esempio, ne' trepidi cuori Ne s via da sè il colpo, che al petto gli vien. Han detto: Che giova? siam nati a ser- Bestemmian feriti. Che gesti! che voci ! [vir. Gli stolti!... Ma i padri ? S' accoran [ pensosi, S' inoltran cercando con guardi pietosi Le nuore, le mogli piangenti all'altar. Su i figli ridesti coll' alba primiera Si disser beati; chi sa se la sera Su i sonni de' figli potranno esultar! E mentre che il volgo s' avvolta e bi[sbiglia, Chi fia quest' immota che a uiun rasso[miglia, Ne sai se più sdegno la vinca o pietà? Non bassa mai 'l volto, nol chiude nel [ velo, Non parla, non piange, non guarda che La misera guarda, ravvisa i feroci : [ rito Di man de' garzoni le tessere aduna, Non scerne, non cura chi intorno le sta.[mai È Giulia, è una madre. Due figli ha Con tanto d'amore su lui non ristè. [ cresciuto Oh angoscia! Ode un nome; non e [ quel di Carlo ; Un altro, ed un altro; -non sente chia[ marlo; Indarno! L'un d'essi già '1 chiama per [duto: È l' esul che sempre l'è fitto nel cor. Ed or si tormenta dell'altro fratello, Rilevan già il quinto;-no, Carlo non è. ma è il figlio [d'altrui; È un'altra la madre che piange per lui. Ah! forse fu invano che Giuliatremo. Com'aura che fresca l'infermo ravviva, Soave una voce dal cor le deriva Che grazia il suo prego su in cielo trovò. Le cresce la fede: nel sen la pressura Le allevia un sospiro: con men di paura La settima sorte sta Giulia ad udir. L'han detta;-è il suo figlio : doman [ vergognato, [pina Travalica il tempo, va incontro indovina Ai raggi d'un giorno che nato non è : Al cenno insolente d'estranio soldato, Tien dietro a un clangore di trombe Con l'aquila in fronte vedrallo partir. [ guerriere; Pon l'orme su un campo ; si abbatte in G. Berchet, Poesie. [ischiere 65. Quando nel 1830Modena e Bologna levaronsi in armi. Che alacri dell'Alpi discendono al piè. Che sboccano al piano per altri sentieri, Su, figli d'Italia! su in armi! coraggio! Che il varco ai vegnenti son corsi a tagliar; Il suolo qui è nostro; del nostro retaggio Là gridano: Italia! Redimer l' oppressa! I turpe mercato finisce pei re. Qui giuran protervi serbarla sommessa: Un popol diviso per sette destini, L'un'oste su l'altra sguaina l'acciar. In sette spezzato da sette confini, Da ritta spronando si slancia un fu- Si fonde in un solo, più servo non è [rente, Su, Italia! su in armi! venuto è il tuo di! Dei re congiurati la tresca finì. Un sprona da manca, lo assal col fendente, 16 [tutti! Dall' Alpi allo Stretto fratelli siam Per tre valli quell' eco muggi ; Sui limiti schiusi, su i troni distrutti Gli orgogli minuti via tutti all'obblio! Deposte le gare d'un secol disfatto, Su, Italia novella! su libera ed una ! All'arme all'arme!- è il grido Giuriam giuriam sul brando Giuriam giuriam sul brando Ma qual plauso si leva dal centro ! Al plauso che più cresce Giuriam giuriam sul brando Siam fratelli-nel centro risuona: Siam fratelli fratelli fratelli; Giuriam giuriam sul brando - Questo fuoco che all'alme s'apprende Che infiamma a sante imprese, Tutti sclamar ci fa : - Giuriam ginriam sul brando O morte o libertà! Sette siri ci colman di mali Pari ai sette peccati mortali ; Pari ai capi dell'idra lernea Cui d'Alcide la clava mietė. Tristi capi d' un' idra più rea Nuovo Alcide lontano non è! Quanti la patria ha fidi Tanti saran gli Alcidi: Deh, un giorno memorando Cangi una lunga età! Giuriam giuriam sul brando Ci divise perfidia e sciagura, Chi in sette ti partio Giuriam giuriam sul brando Giuriam giuriam sul brando Finchè quel servo culto -- Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà! Divo fonte del culto più bello Che quell'empia converte in flagello, Tu che inspiri si nobile impresa, Scudo e spada d'Italia sii tu, Mira una madre oppressa, Giuriam giuriam sul brando G, Rossetti, Poesie. 67. La battaglia di Navarrino. (30 ottobre 1827.) È caduta! omai non sogna Patteggiando lungo il lito Ov'è l'oste, u'son le vele Tal vantossi, e tal cadeo Caro al volgo e caro al saggio Ma stranier che passa i mari Che diserta i santuari, Ne' suoi barbari soggiorni; Pace al Greco! A lui ben ferve La virtù paterna in petto; Scendi scendi! L'armi e l'ossa Con man ferma e senza pianto. Oh perchè dell'anglo Bardo, Più pietoso che guerriero Dio strappògli, e sovra il monte Lo gitto sul proprio acciar. G. Borghi, Poesie. Indivisibile E, di te memore, T'amo, e non posso, Mio pover abito, Trarti di dosso. Quei che volubili Vedi quel nobile Chi può distinguerlo Il volgo ignobile, debiti Però la solita Di quei che trovano 1 |