7. Effetti di veder Beatrice. Tanto gentile e tanto onesta pare' La donna mia, quand' ella altrui saluta, Ch'ogni lingua divien tremando muta, E gli occhi non ardiscon di guardare. Ella sen va, sentendosi laudare, Benignamente d'umiltà vestuta; E par che sia una cosa venuta Di cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi si piacente a chi la mira, Che dà per gli occhi una dolcezza al Che intender non la può chi non la prova. E par che de la sua labbia 2 si muova Uno spirto soave e pien d'amore, Che va dicendo a l'anima: sospira. 8. Morte di Beatrice. core, Dante. Deh, peregrini, che pensosi andate Forse di cosa che non v'è presente, Venite voi di sì lontana gente, Come a la vista voi ne dimostrate? Chè non piangete, quando voi passate Per lo suo mezzo la città dolente, Come quelle persone, che nïente Par che intendesser la sua gravitate. Se voi restate per volere udire, Certo lo core ne' sospir mi dice, Che lagrimando n' uscirete pui 3. Ella ha perduto la sua Beatrice; E le parole, ch' uom di lei può dire, Hanno virtù di far pianger altrui. 9. Alla sua donna. Dante. Deh, Nuvoletta, che in ombra d'Amore Ne gli occhi miei di subito apparisti, Abbi pietà del cor che tu feristi, Che spera in te, e desiando muore. Tu, Nuvoletta, in forma più che umana, Foco mettesti dentro a la mia mente Col tuo parlar ch' ancide, Poi con atto di spirito cocente Creasti speme, che'n parte mi sana. Laddove tu mi ride, Deh non guardare perchè a lei mi fide, Ma drizza gli occhi al gran disio che m'arde: Chè mille donne già, per esser tarde, Sentito han pena de l'altrui dolore. 1 Appare. 2 Faccia, aspetto. Dante. 3 Poi. 10. In morte di Beatrice. Gli occhi dolenti per pietà del core Se non a cor gentil ch'n donna sia; Passò li cicli con tanta virtute, Lo giunse di chiamar tanta salute; 3 Partissi de la sua bella persona Dannomi angoscia li sospiri forte, Viveva 2 Voi. 3 Si è. 4 Benigno. iugnemi tanta pena in ogni parte, Ch'i' mi riscuoto per dolor ch'io sento; E sì fatto divento, Che da le genti vergogna mi parte : Pianger di doglia e sospirar d'angoscia però, donne mie, per ch'io volesse 1, [bandono, E tu, che sei figliuola di tristizia, 11. A Firenze. Dante. O patria, degna di trionfal fama, Che in te si fanno, con dolore ha onta. Falso per vero al popol tuo mostrando. Nel tuo giudicio; si che in te laudando Voller che le virtù fussin colonne : 1 Volessi. 2 Le altre canzoni. 3 Roma. Eri beata, e con le sette donne T. C'hanno fatto il tuo fior sudicio e vano, Resurga con giustizia e spada in mano. Si che le laudi'l mondo e 'l divin regno: Serena e gloriosa in su la ruota (Se questo fai) regnerai onorata : Dacchè l' affezïon t'avrà ornata, Felice l'alma che in te fia creata! Ma, se non muti a la tua nave guida, Che le passate tue piene di strida. Tu te n'andrai, canzone, ardina e fera, Dentro la terra mia, cui doglio e piango; Ma stan sommersi, e lor virtù nel fango. I Le sette virtù teologali e cardinali. 2 Luogo d'inferno ove Dante finge puniti i traditori della patria. 3 Insegna del comune di Firenze. Mille dubbi in un di, mille querele, Al tribunal de l'alta imperatrice 2, Amor contro me forma irato, e dice: Giudica chi di noi sia più fedele. Questi, sol mia cagion, spiega le vele Di fama al mondo ove saria 'n felice. Anzi d'ogni mio mal sei la radice, Dico; e provai già di tuo dolce il fele. Ed egli Ahi falso servo fuggitivo! È questo il merto che mi rendi, ingrato, Dandoti una a cui 'n terra egual non era? Che val, seguo, se tosto me n'hai privo? Jo no, risponde. Ed ella: A sì gran piato, Convien più tempo a dar sentenza vera. Cino da Pistoja. 13. In morte di Selvaggia. La dolce vista e 'l bel guardo soave De' più begli occhi che si vider mai, Ch'i' ho perduto, mi fa parer grave La vita si, ch'io vo traendo guai, E'n vece di pensier leggiadri e gai, Ch' aver solea, d'amore, Porto disii nel core [so Che nati son di morte, Per la partita che mi duol sì forte. Ohime! deh perchè, Amor, al primo pasNon mi feristi si ch'io fussi morto? Perchè non dipartisti da me, lasso, Lo spirito angoscioso chedio porto? Amor, al mio dolor non è conforto : Anzi, quanto più guardo, Al sospirar più ardo; Trovandomi partuto Da que' begli occhi ov'io t'ho già veduto. Io t'ho veduto in que'begli occhi, Amore, I Sotto il nome di Capaueo s'intenda la Superbia, di Crasso l'Avarizia, di Aglauro l'Invidia, di Simon Mago la simonia,, e fig. la vendita de' publici ufficii, del falso greco Sinone la Frode, di Maometto lo Scisma, di Faraone l'Ostinatezza, di Giugurta la Perfidia. 4 2 La Ragione. 3 Che. 4 Partito, diviso. Tal che la rimembranza me n'occide, Mi trovo dal bel viso [negro. Pel gran contrario ch'è tra 'l bianco e '! Quando per gentil atto di salute' Ver bella donna levo gli occhi alquanto, Si tutta si disvia la mia virtute Che dentro ritener non posso il pianto, Membrando di madonna, a cui son tanto Lontan di veder lei. ( dolenti occhi miei, Si per vostro voler, pur ch'Amor voglia. Si che lo spirto almen torni a Pistoja. 1. A una fanciulla. SCHERZO Madonna se ne vien da la fontana, Contro l'usanza, con vuoto l'orcetto; E ristoro non porta a questo petto Nè con l'acqua, nè con la vista umana. O ch'ella ha visto la biscia ruana Strisciar per l'erba in su quel vialetto; O che il can la persegue, o ch'ha sospetto Che stiavi dentro in guato la befana. Vien qua, Renzuola, vienne; chè vedrai Una fontana, e due, e quante vuoi: Ne dal padre severo avrai rampogna. Ecco che stillan gli occhi tutti e duoi. Cogline tanto quanto ti bisogna: E più crudel che sei, più ne trarrai. Brunelleschi. II. Sopra Amore. L'Amor m'ha fatto cieco; e non ha tanto Di carità, che mi conduca in via: Mi lassa per dispetto in mia balia,' E dice: or va, tu che presumi tanto. Ed io, perchè mi sento in forze alquanto, E stimo di trovar chi man mi dia, Vado: ma poi non so dove mi sia; Tal che mi fermo dritto sur un canto. Allora Amore, che mi sta guatando, Mi mostra per disprezzo e mi ostenta, E mi va canzonando in alto metro. Ne 'l dice tanto pian ch'io non lo senta: Ed io rispondo così barbottando: Mostrami almen la via che torna indietro. Leonello d'Este. E cominciò a parer buona fanciulla, E dice: e' par che tu sia così fioco: Al gallo parve che fusse un bel ginoco: Gran mercè, disse, che insegnato m'hai: E chiuse gli occhi, e cominciò a cantare, Perchè la volpe lo stesse ascoltare. Cantando questo semplice animale Con gli occhi chiusi, come i matti fanno, La volpe, come falsa e micidiale, Tosto lo prese, sotto questo inganno (E dovè poi mangiarsel sanza' sale ). Così interviene a que'che poco sanno. Pulci, Morgante, canto IX. 15. Lodi della vita mercantesca. Di varii luoghi, a ponente e levante, Chicercato ha la Francia e chi Lamagna, Nè stando in su gli amori o'n su conviti, Qual più contento è l'avere, e vedere Il mondo e guadagnare? E qual maggior piacere, Che poi saper di più cose parlare, Senza il qual mai s'acquista cosa alcuna. 1 Senza. Ch'han per tutto i mercanti; E in piume non pensar mai d'arricchire. O nobil Fiorentini, o alti ingegni, Dan più stato e favor che l'uom non brama. Quanto è più dolce, quanto è più sicuro Seguir le fere fuggitive in caccia, Fra boschi antichi, fuor di fossa o muro, E spiar lor covil per lunga traccia ! Veder la valle, e 'l colle, e l' aer puro, L'erbe, i fior, l'acqua viva, chiara e ghiac[cia; Udir gli augeisvernar, rimbombar l'onde, E dolce al vento mormorar le fronde ! Quanto giova a mirar pender da un'erta Le capre, e pascer questo e quel virgulto; E'l montanaro a l'ombra più conserta Destar la sua zampogna e'l verso inculto: Veder la terra di pomi coperta, Ogni arbor da' suo' frutti quasi occulto: Veder cozzar monton, vacche mugghiare, E le biade ondeggiar come fa il mare! Or de le pecorelle il rozzo mastro Si vede a la sua torma aprir la sbarra: Poi quando muove lor col suo vincastro, Dolce è a notar come a ciascuna garra 2. Or si vede il villan domar col rastro Le dure zolle, or maneggiar la marra; E la contadinella scinta e scalza 1 dappochi e dappoco, di poco conto. 2 Garrisca. Star con l'oche a filar sotto una balza. Poliziano, Stanze per la giostra del magnifico Giuliano de'Medici, libro I. V. Caccia di fiere. Zefiro già, di bei fioretti adorno, Avea da'monti tolta ogni pruina; Avea fatto al suo nido già ritorno La stanca rondinella peregrina; Risonava la selva intorno intorno Soavemente a l' ôra mattutina; E l'ingegnosa pecchia, al primo albore, Giva predando or uno or altro fiore. L'ardito Giulio, al giorno ancora acerbo1, Allor ch' al tufo torna la civetta, Fatto frenare il corridor superbo, Verso la selva con sua gente eletta Prese il cammino; e, sotto buon riserbo, Seguia de'fedei 2 can la schiera stretta, Di ciò che fa mestieri a caccia adorni, Con archi e lacci e spiedi e dardi e corni. Già cirondato avea la lieta schiera Il folto bosco; e già, con grave orrore, Del suo covil si destava ogni fiera: Givan seguendo i bracchi 'l lungo odore: Ogni varco da lacci e can chiuso era: Di stormir, d'abbajar cresce il romore; Di fischi e bussi tutto il bosco suona; Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor l'aer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba; Con tal tumulto, onde la gente assorda, Da l'alte cataratte il Nil rimbomba; Con tal orror, del latin sangue ingorda, Sonò Megera la tartarea tromba. Qual animal di stizza par si roda, Qual serra al ventre la tremante coda. 3 Spargesi tutta la bella compagna 3, Altri a le reti, altri a la via più stretta. Chi serba in coppia i can, chili scompagna, Chi già il suo ammette, chi'l richiama e al [letta; Chisprona il buon destrier per la campagna, [dardo. |